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Charlotte, Frances, Rudyard: Relazioni Non Intenzionali

booktiesCapita a volte di leggere qualcosa e riconoscerci l’ombra di qualcosa d’altro.

Una somiglianza nella trama, il profilo di un personaggio, un incidente, un posto… qualcosa che ha l’aria di un’ispirazione o di un omaggio. O a volte di una scopiazzatura – ma questo è un altro discorso.

Forse vi ho già detto di come il Will (Shakespeare) di Robert Brustein in The English Channel a me sembri irresistibilmente simile a quello di Shaw in The Dark Lady of the Sonnets. A parte tutto il resto, lo stesso modo di interrompere se stesso e tutti gli altri per annotare scampoli di conversazione – perché potrebbero tornare buoni…

Solo che tra i precedenti e le influenze del suo play Brustein non cita affatto Shaw.

Oppure la somiglianza che a me pare evidentissima tra la Piccola Principessa di Frances. H. Burnett e la vicenda del piccolo Kipling, così come compare nella sua autobiografia, ne La Luce che si Spense e in Bee Bee Pecora Nera. Voglio dire – e lasciate che vi metta qui una tabella:

SaraPunch

Si nota, non trovate? Si nota un certo qual parallelismo nelle due storie. Epperò poi si scopre che, apparentemente, l’ispirazione per Sara Crewe non ha nulla a che fare con Kipling. Pare avere radici, invece, nella Emma di Charlotte Brontë.

No, non mi sono sbagliata, non volevo dire Jane Austen. C’è una Emma brontiana – solo che è incompiuta e poco sconosciuta. C’è questa ereditiera abbandonata in un collegio… E quindi sì, le somiglianze ci sono – ma come la mettiamo con Kipling? In realtà Sara Crewe (in forma di novella a puntate) e Punch arrivano alle stampe lo stesso anno, il 1888 – e anzi, il primo episodio di Sara precede Punch di qualche mese. Ma Punch è troppo autobiografico perché l’ispirazione possa avere funzionato all’altro modo…

Che bisogna pensarne? Che capita di scrivere la stessa storia senza saperlo – cosa di cui sono dolorosamente consapevole dal giorno in cui ho scoperto che W.S. Maugham aveva già scritto quello che mi piaceva chiamare il mio primo romanzo, molti anni prima di me e molto meglio… Capita. A volta sembra impossibile che non ci sia una corrente di ispirazione, un ramo di parentela, un legame di qualche genere… e invece non c’è.

O meglio, c’è – ma non necessariamente quella che saremmo portati a pensare.

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* Il clima inglese… sì.

** E in realtà, da adulta non posso fare a meno di domandarmi: ma possibile che nessun’altra bambina ne faccia mai parola con i genitori? Insomma, fino a un certo punto Sara è la star del collegio, l’ereditiera dalle romantiche circostanze di cui la direttrice è sempre pronta a parlare agli altri genitori, perché avere una “principessa dei diamanti” tra le allieve è un motivo di vanto. Poi all’improvviso la rimarchevole ragazzina decade a sguattera maltrattata… Nessuna bambina ne racconta a casa? Nessun genitore leva un sopracciglio? Diciannovesimo secolo, I know, but…

2 pensieri riguardo “Charlotte, Frances, Rudyard: Relazioni Non Intenzionali

  1. Una volta ho sentito Michela Murgia sostenere che ciò che conta non è tanto raccontare una storia nuova, mai raccontata prima. Anzi, che la ricerca ossessiva dell’originalità a tutti i costi, potrebbe esitare nel rischio dell’iperstoria, dell’inaudito, dello straordinario eccessivo e grottesco. Secondo Murgia, ciò che davvero è importante, è raccontare anche storie già sentite, ma in modo diverso, unico, con voce nuova. A sostegno di questa sua tesi apportava alcuni esempi.
    Murgia afferma che Anna Karenina e Madame Bovary sono la stessa storia, così come – udite udite – sono la stessa storia anche Romeo e Giulietta e Tre metri sopra il cielo (non inorridire Chiara): la storia dell’amore impossibile tra due ragazzi che vivono in contesti troppo lontani per potersi avvicinare.
    E anche in Harry Potter e Star Wars si racconta la stessa storia: la storia di due orfani allevati dagli zii che vengono raggiunti da un messaggero esterno che comunicherà loro la provenienza nascosta e che sono destinati ad alti scopi.
    Murgia però non si esprime sull’intenzionalità o meno di queste analogie…

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  2. C’è chi sostiene che esistano soltanto dodici, o sette, o due storie – e che da tempo immemorabile l’umanità non faccia altro che raccontarsene infinite variazioni… Non mi pronuncio sul numero – ma è fuori discussione che certi elementi, certe strutture, certe sequenze di eventi, certi tipi di personaggi tornino ancora e ancora attraverso i millenni. Come in musica, d’altra parte: un numero limitato di note combinate e ricombinate in una notevole – ma non infinita – varietà di modi… Immagino che il nostro orecchio, fisico o metaforico che sia, voglia la giusta misura di riconoscibilità e originalità?

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