Anno Verdiano

Librettitudini Verdiane: Il Trovatore (Parte II)

E rieccoci qui, con la seconda parte del Trovatore.

Ricorderete che l’eponimo stornellatore ha rapito Leonora e se l’è portata a Castellor – con grave scorno del Conte di Luna che, all’aprirsi del sipario sull’Atto Terzo, prepara l’assalto insieme ai suoi soldati pieni di entusiasmo.

giuseppe verdi, il trovatore, salvadore cammarano, emanuele bardareMa intanto che aspettiamo l’orario delle battaglie, guarda chi ti arriva catturata: una vecchia zingara. E chi sarà mai? Che domande: è Azucena che, trascinata davanti al Conte, cerca d’impietosirlo con la storia del figlio ingrato e vagabondo che è venuta a cercare a piedi fin dai monti della Biscaglia. Biscaglia? Il Conte drizza subito le antenne, e chiede alla vecchia se ricordi la storia di un contino ammaliato e rapito… Azucena nega, ma si confonde – e il fido Ferrando fa due più due…

Afferrata e legata, e sapendo perfettamente in che mani è caduta, Azucena non trova di meglio che invocare a gran voce l’aiuto di Manrico… figurarsi il Conte, che all’improvviso si trova tra le mani la sua vendetta e il mezzo di rifarsi sul Trovatore – tutto in un’unica comoda confezione, pronta per essere arrostita con o senza contorno di patatine.

E noi restiamo con il dubbio se Azucena sia stupida a livelli terminali, o una perfida manipolatrice con tendenze suicide… Voi che dite?

Come la prenderà Manrico? Sinceriamocene raggiungendolo a Castellor, dove lo troviamo intento a scambiare tenere – seppure un nonnulla lugubri – effusioni con Leonora, in attesa di un matrimonio lampo. Ma mentre già schiude loro il tempio gioie di casto amor, irrompe il fido Ruiz* con la notizia che dalle mura si vede Azucena sulla pira già accesa.giuseppe verdi, il trovatore, salvadore cammarano, emanuele bardare

E Manrico? Manrico, nel momento che sceglierei a ispirazione se dovessi erigere un monumento al Tenore Quintessenziale, si assesta il mantello sulla spalla, getta indietro la testa e, a tempo di valzerino, c’informa che di quella pira l’orrendo foco tutte le fibre gli arse, avvampò. E già che c’è, ingiunge a distanza agli empi di spegnerla (la pira), o che lui tra poco col loro sangue la spegnerà…

E siccome quelli non la spengono, il nostro impulsivo giovanotto parte, nonostante le rimostranze di Leonora – cui, scopriamo, non aveva ancora trovato il tempo di raccontare della sua mamma zingara. E Leonora tenta di supplicare ancora un po’ – ma avete mai visto il Trovatore dar retta ad alcunchì? O, a ben pensarci, alcunchì dar retta a Leonora?

Non reggo a colpi tanto funesti…
Oh, quanto meglio sarìa morir!

Mormora la poveretta – non sappiamo se per il matrimonio andato a carte e quarantotto, o per l’eterodosso pedigree del fidanzato – e il sipario cala.

Atto Quarto – Il Supplizio

E già non è come se il titolo promettesse bene, vero? Oh well. Siamo tornati all’Aliaferia, e non solo è notte, ma notte oscurissima. Siamo davanti alla torre-prigione dove, c’informa Leonora, Manrico è stato rinchiuso dopo la batosta. E lei è lì per conforto e, se può, per salvarlo – con l’aiuto, si direbbe, dell’anello che porta al dito. E quando all’opera qualcuno si mette a far conversazione col proprio anello,** sappiamo tutti come va a finire, vero?

Leonora se ne sta lì, ascolta l’ufficio dei morti, ascolta il Trovatore che se la canta, ascolta il Conte di Luna che arriva a dar disposizioni (in cortile!) per la morte di Manrico&Azucena e a lamentarsi. Perché, vedete, come tanti vilains operistici, il Conte di suo sarebbe anche un bravo ragazzo: è l’ossessione non corrisposta per Leonora a renderlo feroce… E dove sarà Leonora, tra l’altro? Lui l’ha cercata tanto, dopo la battaglia, ma tutte le ricerche sono state ondarne

giuseppe verdi, il trovatore, salvadore cammarano, emanuele bardareEd eccola, Leonora, che si fa avanti per supplicare la grazia. Ora, vedete, di Baritoni Rivali In Amore ce ne sono due tipi. C’è il genere che di fronte alle suppliche del soprano si commuove e cede, e c’è quello che più lei supplica, più s’ingelosisce. Leonora impiega un po’ a costatare che il Conte appartiene alla varietà tetragona, e solo allora mette in atto il suo piano: si promette in cambio della grazia e, appena l’incredulo Conte si distrae un istante, beve (anzi, sugge) il non precisamente salutare contenuto dell’anello.

A dire il vero, al Conte – come usa dirsi dalle mie parti con rustica ma colorita espressione – balla un occhio. Chiede un giuramento e Leonora, spudorata casuista della domenica, giura salvo poi compiacersi tra sé di come lui l’avrà – ma morta…

E, in quello che credo debba essere un caso unico nella storia dell’opera ottocentesca, il Conte la sente! Well, non capisce – ma la sente. Se (com’è capitato a me a suo tempo) arrivate al Trovatore dopo esservi abituati all’idea che nessuno senta quel che viene cantato “a parte” a quaranta centimetri di distanza, quel “Fra te che parli?” è cosa da sobbalzo.

Sarà che il Conte è – non a torto – diffidente, e rammenta a Leonora il giuramento…

È sacra la mia fe’,

dice lei, nell’avviarsi all’ultimo colloquio pattuito con il Trovatore – e noi non ci facciamo un’opinione elevatissima del suo senso dell’onore.

Ma precediamola nella torre, anzi nell’orrido carcere dove Azucena delira e Manrico di dispera, ed entrambi aspettano la fine.

Entra Leonora e segue una di quelle scene che ogni tanto all’opera capitano.

Lei: Sei libero!

Lui: Libero? Libero… libero! E come hai ottenuto la grazia?

Lei: Ne parliamo un altro momento…

Lui: Ah! Sciagurata, ti sei venduta! T’odio, t’aborro, ti maledico! giuseppe verdi, il trovatore, salvadore cammarano, emanuele bardare

E a questo punto le cose possono variare da opera a opera. Leonora, l’abbiamo visto, non è il tipo che pugnala il baritono con un coltellino da dessert – e anzi, comincia a stare proprio poco bene, perché il veleno a timer era programmato per fare effetto proprio al momento della prevedibile maledizione. A Manrico sorge il dubbio di avere interpretato male la situazione. Ah, rimorso atroce…

Ma adesso non aspettatevi una di quelle lunghe, lunghe scene di congedo, perché il finale Verdi lo voleva breve, breve, breve.

Pronti? Attenti… via!

giuseppe verdi, il trovatore, salvadore cammarano, emanuele bardareEntra il Conte, Leonora muore e poi, nel giro di dodici brevissimi versi, Manrico viene portato via***, il Conte costringe Azucena a guardare la decapitazione dalla finestra, Azucena rivela che l’ormai defunto Manrico era il fratello rapito, il Conte inorridisce, Azucena si dichiara vendicata, cala il sipario.

Fine.

Non vi avevo detto che era tutto molto frenetico? Manco a dirlo, successone travolgente – a riprova del fatto che all’opera non, non, non si va per amor di logica. E però… Sapete una cosa? Ho detto che non mi piace – e non mi piace, ma credo che, se dovessi iniziare a Verdi qualcuno di digiuno e/o tetragono, comincerei proprio da qui, con le notti oscurissime, le serenate, gli zingari, le vendette e il veleno negli anelli. 

E spero che apprezziate le meravigliose figurine Liebig che illustrano in parte questo post (e adesso anche il precedente).

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* Come spesso accade in queste circostanze, c’è un Fido Qualcuno per schieramento. Qui Ruiz, là Ferrando.

** Che detto così, fa molto Gollum, mi rendo conto… E comunque, non avete idea della ciclopica bigiotteria che si usa nel tentativo di rendere la scena leggibile anche per i loggionisti.

*** In un cortile molto vicino, bisogna dedurre…

Anno Verdiano

Librettitudini Verdiane: Il Trovatore (Parte I)

Perdonate, ci risiamo: inconvenienti, impicci e fato avverso hanno decretato che le Librettitudini odierne escano in versione dimezzata e senza illustrazioni.

Ci rifaremo, piacendo alla divinità dei blog, lunedì prossimo. Intanto…

giuseppe verdi, salvadore cammarano, antonio garcia gutierrez, il trovatore, emanuele bardareNon c’è nulla da fare: il Trovatore, che Cammarano cominciò a trarre da un drammone spagnolo appena un mese dopo il debutto veneziano del Rigoletto, comunica un certo qual senso di frenesia.

Sarà anche quest’inizio di gran carriera (benché Verdi ancora non avesse deciso a quale teatro destinare la nuova opera), e poi la morte di Cammarano a libretto quasi completato, e la necessità di far salire in corsa il giovane Emanuele Bardare per gli ultimi ritocchi – ma è anche l’opera in sé.

Scena su scena, melodia su melodia e, francamente, assurdità su assurdità si rincorrono senza posa e senza riguardo veruno per la logica, in un tripudio di torri merlate, valli scoscese, città sotto assedio, agnizioni, vendette, malefici, amori contrastati, battaglie, roghi, veleni, sacrifici, gelosie, e chi più ne ha più ne metta. E quanto precipitoso e quanto illogico sia l’insieme, lo vediamo subito.

Atto Primo – Il Duello

È notte a Saragozza – e tanto vale che vi ci abituiate, perché sarà quasi sempre notte. Al palazzo dell’Aliaferia, per ingannare il tempo mentre il Conte di Luna monta gelosa guardia sotto il verone della nobile Leonora – metti mai che si faccia vivo il Trovatore, l’altro e più fortunato spasimante – il fido Ferrando tiene sveglio un coro maschile raccontando la vera storia di Garzia, germano al nostro conte. E anche noi apprendiamo che da bambino il Conte aveva un fratellino, affatturato e rapito da un’abbietta zingara, fosca vegliarda, poi bruciata al rogo. E la figlia di costei, per vendetta, aveva gettato sulla pira anche il contino rapito. Allora il conte padre era morto di dolore, ma non prima d’ingiungere al figlioletto superstite di continuare a cercare il fratellino.

“Ma non era stato arrostito, o Clarina?”

Così pareva, ma ignoto del cor presentimento suggeriva al padre che forse, forse…

“E allora, perché è morto di dolore?”

E sennò, come faceva il nostro baritono a crescere malaggiustato, con una ricerca/vendetta più grande di lui e mica troppo equilibrato? E comunque, miei cari, se cercate logica narrativa in quest’opera, state freschi.

E non parlo tanto del fatto che la zingara defunta abbia infestato il castello in forma di gufo negli ultimi quindici anni, quanto di come la nobile e bellissima Leonora si sia fatalmente innamorata dell’eroe eponimo dopo averlo a) visto vincere un torneo in armatura nera e scudo senza stemma à la Ivanhoe, e b) averlo sentito cantare da lontano tra gli alberi. E sì, lo so, siamo all’opera ed è così che all’opera la gente s’innamora fino a morirne, but still, si può capire anche il Conte di Luna.

E il Conte arriva un attimo troppo tardi per udire il contenuto del paragrafo precedente in forma di confidenze tra fanciulle, ma giusto in tempo per esserci quando il Trovatore, nascosto tra gli alberelli, comincia a stornellare definendosi deserto sulla terra, col rio destino in guerra

Figurarsi quando, in risposta alle quartine, la stordita di Leonora scende e, in uno di quegli scambi di persona che solo all’opera, si getta tra le braccia del Conte. Essì, il buio, i fari blu, l’agitazione – ma non sono considerazioni che smuovano il Trovatore, che entra in scena al grido di “Infida!”

Triangolo amoroso! Il Conte è furibondo, Leonora supplica, Manrico si rivela anche nemico del Conte nella guerra civile in corso… Sprezzantemente invitato a chiamare le guardie e fare del suo peggio, il Conte sguaina invece la spada, e non è come se Manrico si tirasse indietro. Leonora supplica ancora un po’, ma nessuno le dà troppa retta. I due rivali escono brandendo le spade per battersi offstage, e indovinate che fa Leonora per suggellare il finale d’atto? Ma sviene, of course, mentre cala il sipario.

Atto Secondo – La Gitana

E siamo in un diruto abituro sulla falda di un monte in Biscaglia – siete contenti? Per una volta, è l’alba, e gli zingari occupano il tempo chiedendosi l’un l’altro chi del gitano i giorni abbella… E sapete chi abbella i giorni del gitano? Ma perbacco, è la zingarella! 

E poi, in mezzo a tutta questa joie de vivre, piomba l’allarmante zingara Azucena, con una truce canzone di vecchie zingare mandate al rogo, conti tirannici e vendette da compiere… Non incomprensibilmente, e con l’aria di avere già sentito questa storia più di una volta, il coro si dilegua, lasciando Azucena sola con Manrico che, apprendiamo, è ancora vivo, figlio di Azucena, convalescente di molte ferite, e desideroso di sapere una buona volta chi sia la vecchia arrostita. Azucena ci informa tutti che la vittima nerovestita, discinta e scalza della canzone era sua madre – e nonna di Manrico – e che lei, per vendetta, aveva gettato sulla stessa pira il figlio del conte… suo figlio… il figlio del conte.

“Tuo figlio?” si sbalordisce Manrico. “Ma allora, io chi sono?”

E Azucena, tutta trambasciata, risponde di essersi confusa e svia il discorso e torna ai suoi eterni propositi di vendetta. E noi ci diciamo che non è il genere di dettaglio su cui ci si confonde: non sa di chi era il figlio che ha bruciato? E comunque, se il contino è finito sulle fiamme, non era vendetta sufficiente? Perché, dopo quindici anni, ritiene ancora di doversi vendicare?

Ma questo ce lo domandiamo noi, perché Manrico prende tutto per buono… ma che vogliamo mai? Ha altro per il capo, è tenore, è convalescente… E mica per il duello, sapete? Oh, no: le ferite se le è procurate in battaglia, dopo avere battuto in duello e graziato il Conte.

“E perché mai?” chiede Azucena – più che altro per dar voce alla stessa legittima curiosità da parte nostra. E non lo sa nemmeno lui, ma un istante prima di vibrare il colpo fatale, Manrico ha udito una voce dal cielo intimargli di non ferir.

“Che strano,” mormora la zingara. “Ma la prossima volta…”

E mentre Manrico promette che sì, oh sì, la prossima volta– entra il fido Ruiz, ad annunciare che Leonora, credendolo morto, sta per prendere il velo in quel di Castellor. E Manrico si precipita, nonostante i patemi della mamma, cui pare che il ragazzo non stia ancora abbastanza bene per scapicollarsi a rapir novizie.

E noi, che non abbiamo bisogno di galoppare ventre a terra per lunghi sentieri sconnessi e pietrosi, precediamolo al ritiro in quel di Castellor, dove Leonora intende farsi monaca. E ci giungiamo di notte, tanto per cambiare, e ci troviamo il Conte, deciso a sua volta alle misure drastiche, perché nemmeno il cielo deve aver Leonora, se non la può avere lui…

E mentre Leonora esorta il perplesso Seguito Muliebre a tergere i rai, il Conte esce con un balzo di tra gli alberi rimando giammai! e pronto a strappare a Dio stesso la fanciulla che vuole sua. E Leonora è piena di obiezioni ad essere sottratta al chiostro – obiezioni che si volatilizzano nell’istante in cui dagli alberi esce anche Manrico, che tutti credevano morto.

La gioia, lo sgomento, la furia, il sollievo e lo sconcerto distribuiti per il palco ve li immaginate. Il Conte questa volta dà veramente di matto: possibile che quest’accidenti di Trovatore debba sempre essere tra i piedi? Ma il fatto è che l’accidenti non è venuto solo: si è portato tanti coristi armati da poter sopraffare all’istante il Conte e i suoi quattro gatti.

E sipario…

E per oggi, perdonate, ci femiamo qui. Che ne sarà dei due amanti fuggitivi? Che vuole veramente la zingara? Chi è davvero Manrico? E che farà il Conte? Per saperlo, non perdete la seconda puntata de Il Trovatore, tra sette giorni.