gente che scrive

Il Gomito Di Tolstoj

tolstoj, stevenson, stephenie meyerNon è che agli scrittori si debba credere troppo. Gli scrittori ricamano, modificano, tirano a lucido, spostano, tirano e inclinano finché quel che raccontano non ha la giusta inclinazione e il giusto colore.

Per cui, quando Tolstoj raccontava di essersi appisolato sul divano un bel giorno, e di avere visto un gomito, e di avere immaginato attorno al gomito una bella donna triste in abito da ballo, e di aver finito col cavarne Anna Karenina, forse faremmo bene a prendere la storia con un granellin di sale? 

ma perché, poi?

Di sicuro la storia suona bene. C’è un che di russo e, al tempo stesso, un che di pittorico, non trovate? Il gomito, la posa malinconica, l’abito da ballo – tutto così adatto ad AK, forse persino un po’ troppo adatto, ed è per questo che siamo tentati di essere cinici… e comunque per quanto mi riguarda è una lotta perduta in partenza. Il fatto è che non voglio essere cinica. Voglio credere alla storia del gomito, thank you very much.

Così come voglio credere a Stevenson che disegna mappe per ingannare il tempo in un’estate scozzese particolarmente piovosa e a un certo punto, folgorato dalla mappa di un’isola, scrive Treasure Island in due settimane.

Il fatto che invece sia capacissima di essere cinica quando leggo di Stephenie Meyer che si sveglia dall’aver sognato Edward&Bella sdraiati in un prato a discutere d’amore – lei tutta ordinaria e lui tutto luccicante e vampiresco – probabilmente è una prova ulteriore della mia genre-snobbishness

Ma forse no, aspettate. Forse per questa volta mi salvo.

Perché la faccenda funziona così: c’è una grazia sottile nella storia di Tolstoj, che manca alla Meyer. La linea di un gomito – tutto qui. Il resto è farina del sacco dello scrittore, che ha intravisto una donna in sogno e le intreccia attorno tutto un romanzo. E lo stesso vale per Stevenson, con i suoi pirati che germogliano dalle linee di una mappa immaginaria. C’è un piccolo seme caduto da chissà dove – e poi interviene l’immaginazione dello scrittore.

E se l’intenzione della Meyer era di raccontare una storia simile, ha calcolato male i suoi effetti. Perché magari è anche vero – anzi guardate: in tutta probabilità lo è. Capita. Si sognano le scene, si sognano i personaggi. Scommetto che tutti abbiamo il nostro aneddoto in proposito*. Ma il fatto che sia vero non ha nulla a che vedere con la bontà della storia. Ms. Meyer ga schiacciato un pisolo post-prandiale, ha sognato un vampiro e una ragazzotta che si dolevano della difficoltà del loro amore, si è svegliata e a scritto Twilight, che parla di un vampiro e una ragazzotta eccetera eccetera.

Piatto. Banale. Ovvio. Non dico Twilight – sì, ok, anche Twilight, ma sto parlando della storia del sogno. Un po’ di grazia, perbacco. Un po’ di mistero. Un po’ di magia della creazione – e magari vorremo essere cinici, ma poi decideremo di non esserlo, perché da qualcuno che ci offre storie, è proprio questo che vogliamo: storie. Belle storie. Buone storie. Storie ben raccontate.

Per la realtà c’è il telegiornale.

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* Qui c’è il mio: Il Giglio e la Falce l’ho concepito nel passagio pseudosotterraneo di un parco a tema (don’t ask) in Vandea.

* Qui c’è il mio: viaggiavo su un trenino locale nell’ovest della Francia. Mi sono addormentata e ho sognato questa gente che danzava in cerchio attorno a un falò. E da quel ballo all’aperto è nato Il Giglio e la Falce.

* Qui c’è il mio: durante una nottata afosissima e insonne in un piccolo albergo francese, ho cominciato a strologare sulla storia locale, e sono emersi dal nulla i quattro fratell d’Aubray, i protagonisti de Il Giglio e la Falce.

grilloleggente

Qualcuno Mi Spieghi Twilight

Confession time. Sto leggendo Twilight, di Stephenie Meyer.

Qualifichiamo: lo sto leggendo più o meno per scommessa – o meglio, sto cercando di leggerlo, ma è davvero, davvero faticoso. E’ faticoso perché sono più o meno a metà e ancora non è successo nulla. Ma nulla. O meglio, è successo che (Isa)Bella Swan, diciassettenne goffa e inconsapevole del suo fascino*, si è trasferita dalla solatia Arizona in un posto piovosissimo dello Stato di Washington (credo – ma potrei sbagliarmi) e si è ritrovata in classe con un ragazzo bellissimo e misterioso. Fatale attrazione reciproca. C’è il piccolo particolare che lui è un vampiro, ma Bella, che all’inizio sembrava possedere qualcosa di vagamente simile a una personalità, è così persa dietro al giovinotto che i lunghi canini e le malsane abitudini alimentari le fanno un baffo.

Come sapete, sto combattendo una dura battaglia contro lo snobismo di genere, il mio prima di tutto. E così, quando un’amica e collega d’Oltreoceano mi ha regalato la versione elettronica di T. completa di scommessa dai circostanziati (e tecnicissimi) termini, ho cominciato con le migliori intenzioni di non avere pregiudizi.

Anche perché Randy Ingermanson ha scritto un’interessante analisi del Romanzone Più Amato Dalle Adolescenti, mettendone in luce un particolare aspetto di solidità narrativa di cui una volta o l’altra parleremo: la coerenza interna delle premesse paranormal/vampiresche.

E il primo capitolo o giù di lì, tutto sommato, mi aveva fatto dire “Be’, dopo tutto c’è di peggio.”

Sia chiaro: le motivazioni di Bella appaiono fumosette anzichenò fin dall’inizio, ma la voce narrante (seppur non proprio diciassettennissima) non era del tutto male, con una certa asciuttezza e un genere di sarcasmo self-deprecating

Ma questo accadeva, appunto, attorno al primo capitolo.

Adesso, qualche centinaio di pagine più tardi** sono un tantino idrofoba. A parte la quantità industriale di coincidenze di improbabilità e di forzature su cui poggia la trama (se vogliamo proprio chiamarla così), a parte l’infallibile e adolescentissima maniera in cui piove sempre al momento giusto, a parte la ripetitività della vita scolastica descritta in puntiglioso dettaglio***… a parte tutto ciò, in chiusura del capitolo terzo ero già repleta e satolla di sentir insistere sulla preternaturale goffaggine fisica di Bella e – ancora di più – sulla perfetta, sovrumana, abbagliante bellezza di Piccoli Vampiri Crescono.

i_libri_preferiti_da_edward_e_bella.jpgAnche perché non c’è granché d’altro: l’immediata elettricità che cresce rapidamente in reciproca attrazione, la supina adorazione di Bella, che smette di ragionare, smette di pensare, smette di fare qualsiasi cosa non sia struggersi per Edward, e questa inspiegata propensione della fanciulla a mettersi nei guai/attirare pericoli. Mi auguro vivamente che quest’ultimo particolare venga spiegato e si evolva in qualcosa di simile a una trama, ma comincio a disperare.

Ciò detto, Twilight ha uno straordinario successo – tanto da generare non solo una serie di film, ma anche qualcosa che non so come definire se non come una specie di indotto. Mi si dice che Across The Pond sia in vendita un tripudio di guide, istruzioni, libri di ricette per organizzare la perfetta festa di Halloween ispirata alla saga della Meyer, e ho visto personalmente un ebook di ricette per fare dolcetti con nomi come Bella’s First Kiss e simili. Sul nostro lato, Mondadori ha pensato bene di capitalizzare sul successo di Twilight pubblicando nuove edizioni tascabili di classici della letteratura con copertina nera e tanto di bollino rosso fuoco che recita “I Libri Preferiti di Bella e Edward”. Se siete curiosi di sapere chi hanno scomodato, ve lo dico io: Shakespeare, Emily Bronte e Jane Austen, per dire. E una breve ricerchina in rete mi ha condotta su un sito pieno di entusiastici commenti divisibili in tre filoni: a) Corro a comprarli! b) Che bella idea per avvicinare i giovani alla letteratura! c) gente più sana che leva un sopracciglio all’idea che Shakespeare abbia bisogno di essere sponsorizzato da Bella e Edward****.

Insomma, le ragazz(in)e sono in delirio – e io vorrei capire bene perché. A metà libro, mi pare che il fenomeno Meyer si spieghi molto meno di altri casi editoriali paragonabili. Qualsiasi altra cosa si possa pensare di loro e della loro scrittura, bisogna ammetterlo: Dan Brown prende temi controversi e ci costruisce attorno trame adrenaliniche, mentre J.K. Rowling ha avuto una brillante idea di partenza e, almeno per un certo numero di libri, l’ha sviluppata in modo fantasioso e avvincente.

Ma Twilight? Supponiamo pure che la bigia vita quotidiana di Bella (scuola, compiti, qualche lavoretto di casa, una spedizione in città con le compagne di classe…) sia il genere di realtà da cui milioni di adolescenti sognano di evadere. E poi? Milioni di adolescenti sognano di aspettare passivamente l’arrivo di un moroso da urlo – meglio se non del tutto raccomandabile – dal quale lasciarsi proteggere e salvare ogni volta che si ritrovano (altrettanto passivamente o per semi-attiva stupidità) nei guai?

Perché questa storia non somiglia a niente come a una gigantesca fantasia collettiva in cui una Mary Sue che si crede ordinaria viene scelta dal Principe Azzurro problematico e ne diventa del tutto succube – un inno alla passività completa.

Lo ammetto: non ho più sedici anni da molto tempo e quindi forse mi sfugge qualcosa. Ma mi piacerebbe capire.

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* Of course. E altrettanto naturalmente, questo fascino è notevole…

** Non so di preciso: Kindle dà una percentuale invece di un numero di pagina…

*** Biologia, trigonometria, lettere, educazione civica e ginnastica: ma non studiano altro nei licei americani?

**** Sì, lo so: manca una -d- eufonica. Mondadori’s wording, not mine.