Così c’è questo spot sportivo-patriottico – lo avete visto? Mi si dice che preceda le partite di calcio, ma è evidente che lo passano anche in altre circostanze.
C’è una piazzetta indorata dal sole, con i vecchietti che giocano a carte, le donne sedute sulla porta e, soprattutto, i ragazzini che giocano a calcio – finché il pallone (di cuoio scuro, di quelli che forse si trovano ancora in qualche soffitta) non finisce sull’albero.
Nessuno, né i ragazzini, né i giocatori di briscola, né le presunte madri, fa anche solo finta di recuperarlo, il pallone. Gioco finito. I bambini fanno per andarsene sconsolati – tranne uno. Quell’uno ha sentito qualcosa nell’aria, quattro note fischiettate… e lui risponde fischiettando a sua volta, e guarda caso, la melodia è l’Inno di Mameli.
Mentre la banda del paese (che, si vede, guarda caso passava di lì in uniforme) attacca a sua volta l’inno, altri bambini si uniscono al primo e, quando la camera li inquadra da dietro, i numeri delle loro magliette formano due date. 1861 e 2011, ça va sans dire.
Ma il meglio deve ancora arrivare, nella forma di un drappello di Garibaldini a cavallo che caracollano entro la piazza, recuperano il pallone e lo restituiscono ai ragazzini festanti. Proprio in quel momento le Frecce Tricolori sorvolano in formazione. Luce vieppiù dorata, tripudio generale, il ragazzino dai capelli rossi augura “Buon compleanno, Italia!”, e la voce fuori campo declama “Nata per unire”.
So cute. Carino, ben fotografato, immerso in un’atmosfera di fiaba. E oleografico. E sentimentale. E un nonnulla confuso nel messaggio.
Dunque, ricapitoliamo: c’è questo luogo irreale, un’Italia da brochure turistica, placida, estiva, pittoresca e finta, senza macchine, con quest’aria di vacanza. Il pallone è come non si usa più da decenni, la piazzetta linda come uno scenario d’opera, e i bambini giocano per strada vestiti in uniformi candide, molto chic e immacolate. E di fronte alla piccola contrarietà, che fanno gli abitanti di questa cartolina? Nulla – però fischiettano l’Inno e, come per magia, ecco gli eroi in camicia rossa che risolvono tutto (namely: riprendono il pallone da un albero). D’accordo: è una fiaba, e chi l’ha scritta s’è dovuto arrabattare a coniugare in qualche modo calcio e Unità, perché così dev’essere quest’anno…
Però è una fiaba deboluccia, che cerca di compensare la mancanza di concetto con lo zucchero e i bei colori. Perché forse sarò densa, ma il concetto quale sarebbe? che la storia è fonte d’ispirazione e sostegno nelle avversità piccole e grandi del presente? Che passato e presente sono legati in una felice continuità d’affetti? Che i piccoli crescono più felici e migliori se sono consapevoli delle loro radici? Tutte ammirevoli idee che però, una volta afflosciate su un’immagine tanto leziosa, decadono a figurine vagamente edificanti. La storiellina simbolica è troppo piccola per la bisogna e fa cilecca. E se non fa cilecca, allora c’è di che preoccuparsi.
A volte anche il senso dello Stato è questione di buona scrittura. Mi piacerebbe tanto che l’Unità si celebrasse con misura e con senso delle proporzioni, con la consapevolezza che non tutti gli ambiti si prestano alle celebrazioni ed evitando di annegare il tutto in colate di melassa retorica e di ricatto morale… Mi piacerebbe che non si tentasse di farne una cosa carina.
Questo spot, ammetterete, non è che lasci troppo ben sperare.
Me lo sono perso!
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Oh, vedrai che ti capiterà. Mi pare che, semmai, ne stiano intensificando la messa in onda.
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A dire il vero non ho affatto presente questo spot. Me lo sono perso anche io. Il tuo discorso è condivisibile, però cerco di reperire prima il video dello spot, così mi faccio anche io un’opinione completa e poi mi sentirò in pieno diritto di dire la mia…
Carmine
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Hai ragione: ne staranno intensificando la messa in onda, visto che sono riuscito a vedere questo spot anche io, che guardo davvero poco la televisione.
A mio modesto parere, esso esemplifica appieno l’atteggiamento di molti italiani: si guarda ad un passato che può essere stato grande, ma che è indubbiamente finito. Si guarda ad esso, ma meno al futuro, alle sfide che attendono la Nazione.
Insomma, un compleanno non è soltanto l’occasione per fare il bilancio di ciò che è stato, ma anche un momento per gettare lo sguardo avanti.
E che sguardo avanti vi può essere tra garibaldini, inno nazionale e vecchietti che guardano bimbi giocare a calcio?
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A me sembra che abbiano voluto arraffare il possibile per costruire il concetto di “patria” che oramai non è più sentito come 150 anni fa (ammesso che anche allora fosse sentito da tutta la popolazione italiana, e ne dubito).
L’unica fonte di patriottismo è il calcio: gli italiani si sentono tali quando seguono i mondiali, solo allora sentono la loro appartenenza in modo forte. Il che, paradossalmente, è proprio segno di debolezza del sentimento. Patria? Il concetto fa già storcere il naso quando ce lo rifilano per giustificare la morte dei nostri soldati nelle missioni di pace…
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@ Carmine: sarà perché, indipendentemente dall’unità nazionale, siamo una civiltà vecchia e senza più molta forza di propulsione?
@ Elisa: non è del tutto un caso, perché in definitiva gli sport competitivi sono un’alternativa socialmente *soft* alla guerra. Non ricordo più chi dicesse che le cronache sportive sono l’ultimo rifugio del linguaggio epico. Insomma, le identità si costruiscono attorno a quello che c’è a disposizione… Secondo mio padre (Colonnello degli Alpini che, tra parentesi, diceva che non esistono “missioni di pace”), è una specie di prezzo che pagano le generazioni cresciute nella pace e prosperità ininterrotte.
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