Avete fatto l’albero, o Lettori? Magari già il giorno dell’Immacolata? Per lunga tradizione famigliare, a casa mia lo si fa il pomeriggio del 12 – vigilia di Santa Lucia. E ci ho messo quasi dieci giorni a pensare che si potevano anche raccogliere un po’ di alberi di carta…
Perché il fatto è che l’albero di Natale spunta sporadicamente in letteratura – non solo in quel genere di storia fattapposta che si pubblica sotto Natale a edificazione stagionale di fanciulli e famigliole. Sono tanti gli autori che infilano un albero di Natale o due in memorie d’infanzia, racconti e altre cose “minori”*.
Per esempio, Truman Capote racconta la caccia all’albero di Natale perfetto in A Christmas Memory. La scelta cade su un abete “alto due volte un bambino, così che i bambini non riescano a rubare la stella in cima”, e l’albero è “una bella bestia vigorosa” che richiede trenta colpi d’ascia per essere abbattuto. Riportarlo in paese – per l’ammirazione e l’invidia generali – sarebbe quasi impossibile, se non fosse per l’entusiasmo dei due cacciatori trionfanti e il profumo fresco e pungente della preda.
Una versione cittadina si trova in Un Albero Cresce a Brooklyn, in cui – bizzarramente, if you ask me – a fine giornata i venditori di alberi di Natale regalano gli alberi invenduti a chiunque riesca a restare in piedi quando l’albero in questione gli vien tirato addosso. La protagonista Francie e il fratellino Neeley sorvegliano per ore un certo bellissimo albero che non possono assolutamente permettersi e, all’ora di chiusura, si fanno avanti per la prova, in concorrenza con un robusto giovanotto. Tutti fanno il tifo per i due bambini, ma sembra impossibile che siano capaci di reggere l’albero enorme… invece ci riescono, e se ne tornano a casa con il più meraviglioso abete che Boggart Street abbia mai visto.
L’albero di Jack Kerouack in The Town And The City, invece, è già addobbato di fili d’argento e lucine, per la gioia del piccolo Mickey, che ama la sera della Vigilia, con la radio che trasmette Dickens e le carole nella casa silenziosa, con le luci dell’albero e i regali da aprire al ritorno dalla messa di mezzanotte. Ma anche nella festa del giorno di Natale, mentre sua madre suona il pianoforte e gli ospiti cantano, le gioie principali di Mickey sono due: la musica della mamma e la contemplazione dell’albero.
Le cose vanno diversamente ne L’Albero Di Natale E Il Matrimonio, di Dostoevskij – ma si sa: i Russi sono Russi. E così, attorno al’albero ornato di frutta e di dolci, i bambini trovano regali accuratamente appropriati alla loro posizione sociale presente e futura: la bambola più bella è per la principessina che possiede già una favolosa dote di rubini, e poi giù giù, fino al figlio della governante, per il quale c’è solo un libro di racconti di animali senza nemmeno un’illustrazione.
Gli autori anglosassoni sembrano mantenere una ben più candida fede nell’albero e in tutto ciò che lo circonda, anche quando diventano malinconici. In Un Albero Di Natale**, Dickens descrive bambini che ammirano l’albero di Natale con “occhi di diamante”, e più tardi, sveglio nel suo letto, ricorda i Natali della sua infanzia e immagina “un albero d’ombra”, che cresce libero e maestoso dal soffitto – ogni ramo ed ogni luce un ricordo natalizio.
In My Antonia (che non è un’opera minore), i personaggi di Willa Cather dispongono frutta candita e ghirlande di pop-corn sul loro alberello freddo e profumato, ma è dal baule dell’immigrato austriaco che escono le vere meraviglie: ornamenti di cartone colorato a forma di Sacra Famiglia e Re Magi con il loro serraglio – cosicché l’abete, provvisto anche di finta neve di cotone e lago di vetro, diventa una sorta di albero-presepio, l’albero parlante delle favole natalizie, carico di “storie e leggende annidate tra le sue fronde come uccelli”.
Torniamo momentaneamente in Russia con l’orfanello Vanka che, in un racconto giovanile di Checov, ricorda i preparativi natalizi della grande casa di campagna dove suo nonno lavora come custode – incaricato tra l’altro di procurare ogni anno l’albero da decorare con la frutta. Come vorrebbe, povero Vanka, che la signorina Olga – la sua preferita tra le padroncine – gli mettesse da parte una noce dorata come accadeva ogni anno… ma, Cechov essendo Cechov, sappiamo tutti che le lettere natalizie non vanno mai a buon fine.
Persino Thackeray, in Attorno All’Albero Di Natale, riesce ad essere un po’ più lieto: tutto passa, la gioventù passa, passa il tempo dei sogni, proprio così come passa l’inverno. Ma stanotte è ancora Natale, è consentito indugiare sui ricordi e fingere che la neve non debba sciogliersi.
Elizabeth Cummings goes for tears nella poesia The Little Tree, parlando all’abetino smarrito e confortandolo – solo e lontano dalla sua foresta: “ti consolo e ti abbraccio stretto come farebbe una mamma, ma non avere paura”. E in effetti, la malinconia degli alberi tagliati è uno degli aspetti meno gioiosi di tutta la faccenda.
Va meglio all’abete in giardino che si ritrova ornato di candele ne La Verga di Aronne di Lawrence, e si ritrova persino al centro delle danze dei suoi improvvisati adoratori della luce.
E infine torniamo in Europa per un’ultima dose di buon vecchio ricatto emotivo: La Piccola Fiammifferaia di Andersen, che prima di morire accende tutti i suoi fiammiferi che nessuno ha voluto comprare, nella luce di ciascuno vede una meravigliosa immagine natalizia e, subito prima della più bella di tutte – la Nonna che viene a prenderla – c’è un albero decorato con migliaia di candeline e allegre figure colorate. Poi sappiamo tutti quel che succede: ricatto emotivo, appunto.
Insomma, gli alberi di Natale sono sempre una faccenda emotiva, ma non necessariamente lieta: ricordi, nostalgie, innocenza perduta, meraviglia e fiabesca memoria.
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* Minori, a meno che non vogliamo parlare di Goethe, con gli insopportabili fratellini di Lotte che cantano O Tannembaum intorno all’albero di Natale proprio mentre il giovane Werther si tira la pistolettata fatale…
** Pubblicato 170 fa di questi giorni – e potete trovarlo qui in originale e qui nella traduzione di Marcello Jatosti.
Ciao Chiara, buone feste di cuore a te e a tutti i lettori.
Per rispondere alla domanda che poni, no, non ho fatto l’albero. Io faccio il presepio.
Come in tante famiglie, ognuno porta avanti la propria tradizione. Fin da piccola la mamma mi spiegava che la tradizione dell’albero è una tradizione pagana (credo celtica) mentre il presepe
(anche se preferisco chiamarlo presepio), rappresenta la Natività così com’è narrata nei Vangeli.
Il presepio, oltre a rappresentare la tradizione natalizia nel cristianesimo, pare abbia anche origini tutte italiane.
Quindi da sempre, anche adesso che non vivo più con i miei da vent’anni, continuo a fare il presepio. E mi accorgo sempre di più di essere una voce fuori dal coro. Quando gli anni scorsi ci si poteva recare nelle case degli amici per gli auguri di Natale, nove volte su dieci vedevo solo alberi. E quando c’era anche il presepe, era sempre piccolo e stilizzato e affiancato ad alberi alti e maestosi.
Credo che quanto detto sia più vero nelle regioni del Nord d’Italia. Al sud, la tradizione del presepio è ancora radicata, non so per quanto.
Mentre resistono ancora (a parte quest’anno naturalmente) i presepi viventi. Ma solitamente vengono organizzati e gestiti dalle parrocchie, quindi non fanno statistica.
Amo rivendicare la nostra tradizione e invito tutti a fare il presepio o almeno anche il presepio. Non per fanatismo religioso ma per amore delle tradizioni nostrane e per idiosincrasia spiccata nei confronti di quelle importate. Come ad esempio festeggiare halloween e far portare i doni ai bambini mantovani non da S.Lucia ma da Babbo Natale.
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Ciao, Benedetta – e auguri!
Allora, in casa mia per la verità si fanno entrambi: albero E presepio. Da una ventina d’anni mi confesso colpevole di presepio piccolo e stilizzato e albero maestoso…
Francamente credo che la simbologia dell’albero illuminato e decorato sia stata assorbita nel Natale cristiano da ben prima che la Regina Vittoria e Dickens ci mettessero del loro – ma ti racconterò una piccola storia.
Temo che la famiglia di mia madre faccia parte degli introduttori di… shall we say “allotradizioni”?
Leggenda famigliare vuole che, nella seconda metà degli anni Quaranta, mio nonno si trovasse in quel di Bolzano a dicembre, e restasse deliziato dagli alberi di Natale in albergo, nei negozi, a casa di amici e in giro per la città. Così, prima di tornarsene a casa, comprò qualche ninnolo di vetro e una dozzina di candeline rosse con quelle piccole molle d’argento per fissarle ai rami.. La notte di Santa Lucia, lui e mia nonna prepararono, più che un vero albero, un grosso ramo decorato e, la mattina successiva all’alba, mia madre piccolissima e suo fratello, poco più grande, trovarono in soggiorno questa meraviglia luccicante.
Mio zio, che allora andava alle elementari, una volta a scuola ne scrisse nel suo temino – con tanto di maldestra illustrazione – e la maestra lesse il risultato ad alta voce.
Ora, i miei nonni vivevano in un paesino sperduto della campagna mantovana, dove di alberi di Natale non si era mai nemmeno sentito parlare… la storia fece colpo, e i bambini la raccontarono a casa… morale, prima di sera mezzo paese era passato a casa dei nonni per vedere il non-proprio-albero-di-Natale…
Altra piccola storia famigliare: durante la guerra, la mia nonna paterna, sfollata in montagna con due bambini, non aveva le statuine del presepio – ma ogni natale riusciva a mettere insieme un alberello decorato per mio padre e mia zia.
Hence, la passione di tutta la famiglia per l’albero.
E sono piuttosto certa che, se chiedessi ai tuoi conoscenti che fanno l’albero di Natale, troveresti molte storie di questo genere, prima che deliberata consapevolezza delle radici pagane della tradizione.
Then again, considera che il Natale si celebra a fine dicembre perché il Cristianesimo ha assorbito e adattato le celebrazioni del solstizio antecedenti – per cui non so…
Sono d’accordo sul fatto che il presepio sia una tradizione da non smarrire – ma forse lo si può perpetuare accanto all’albero, anziché “invece.”
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