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Pezzettini di Teschio: parte V e Ultima

Oh, dunque: il finale.

 

Premessa 1: se si stabiliscono delle regole interne al mondo che si crea nel libro, queste regole vanno rispettate. Anche se significa che il protagonista deve prenderla nelle costole. Sennò non vale.

 

Premessa 2: se per tutto il libro si conduce il lettore ad aspettarsi un finale, è perfettamente legittimo sorprenderlo; molto meno legittimo scodellargli il finale di una storia differente e lasciare senza risposta due terzi delle domande sollevate. Anche se si ha in programma una trilogia.

 

Detto ciò, vediamo come va a finire.

 

Dunque, sappiamo che ci sono tredici teschi di cristallo, il più importante dei quali è la nostra Azzurra Pietra del Cuore (e no: non sappiamo perché sia la più importante, dobbiamo fidarci sulla parola). Sappiamo anche che, se posizionate in altrettanti luoghi giusti, le pietre daranno all’umanità una chance di evitare la Grande Catastrofe. Vago, ma tant’è. La GC, per amor di cronaca, è attesa, sulla base dell’infinitamente preciso calendario Maya, per il 21 dicembre 2012. Inoltre sappiamo (perché ci è stato ripetuto spesso) che che tutti i Custodi delle Pietre muoiono/sono morti/devono morire portando a termine il loro compito, e che Stella è l’ultima Custode della Pietra Azzurra che, per motivi che non vengono mai chiariti, ha i suoi stessi lineamenti (e anche quelli della nonna di Owen, il quale a sua volta somiglia al nonno di Stella, benché non ci sia parentela).

 

Date queste premesse, ci aspetteremmo svariate cose, giusto?

 

Di cento non ci aspetteremmo che il Momento Critico per mettere la Pietra al Posto Giusto arrivi nel 2007. Perché mai? Non ci viene detto. E il 2012? E chi lo sa? Forse c’è un secondo volume in programma.

 

Ma allora, cosa succede? Be’, francamente non è chiaro. Stella, una volta entrata nel Posto Giusto, ha una breve visione di gente e draghi, poi Cedric Owen (che è già morto per la Pietra da vari secoli) le dice che è stata brava e, molto cavallerescamente, prende il suo posto, consentendole di non morire e tornare invece da Kit.

 

Quando Stella emerge dalla catacomba, che era il Posto Giusto e dove non è successo molto, Fraser è defunto, Davy Law e Antony Bookless se ne sono tornati a casa e Kit è lì che aspetta, molto impressionato e molto in salute, e anche molto noncurante in generale, considerando che pochi capitoli prima aveva rifiutato di essere curato dalla Pietra con quel tipo di veemenza che – tanto nei libri quanto nella vita reale – di solito conduce nello studio di un divorzista. Ma no, nulla di tutto ciò: Stella e Kit si baciano felici. Fine.

 

Un nonnulla di un anticlimax? Già.

 

Veniamo ancora informati succintamente che i Nostri riescono a far passare sotto silenzio le circostanze della morte di Fraser, e tutti si riuniscono dopo il funerale: Stella trionfante, Bookless riabilitato, Ursula guarita dalle ustioni (un miracolo della medicina, tra l’altro) e Davy Law improvvisamente riconciliato con Kit dopo dieci anni di feroce ostilità.

 

Er… e la fine del mondo? E chi lo sa? E chi se ne importa?

 

Morale (dell’autopsia, non del TdC): questo è un libro con dei seri difetti di trama, temi e caratterizzazione. La qualità della scrittura è buona, ci sono alcuni personaggi attraenti, delle bellissime descrizioni, dell’atmosfera, dei solidi dialoghi, e abbastanza tensione (soprattutto nella porzione elisabettiana) da catturare l’attenzione del lettore, ma tutto questo non basta.

 

E’ davvero un peccato che Manda Scott non abbia dedicato un po’ più di cura alla costruzione della trama e che non abbia maneggiato i suoi temi in modo un po’ più sottile: indipendentemente dal genere, ci sono alcune leggi della fisica narrativa che non si possono infrangere con impunità. Una è che la storia deve stare in piedi da sé, non per un atto di fede del lettore; un’altra è che le domande devono trovare risposta – non necessariamente le questioni filosofiche di fondo, ma di sicuro le domande sollevate dalla logica interna della storia; una terza ha a che fare con le regole interne della storia: l’autore crea queste regole, ma poi è tenuto a rispettarle se non vuole che la sua storia si afflosci su se stessa come un soufflé mal cotto; e un’altra ancora vorrebbe che si rispettasse sempre l’intelligenza del lettore, senza barare con le sue aspettative, senza sbattergli il messaggio sulla testa a ogni piè sospinto, senza pretendere che creda a tutto quello che l’autore gli dice.

 

Un romanzo, in fondo, è una bugia di quattrocento pagine – e il lettore lo sa benissimo quando prende in mano il libro. Il mestiere dell’autore non è raccontare la verità, ma raccontare storie con tanta efficacia e intelligenza che, giunto all’ultima pagina, il lettore sia al tempo stesso appagato dall’esperienza ed estremamente dispiaciuto di dover lasciare il mondo che è stato creato per lui. Se invece il lettore si sente imbrogliato e deluso, se non ha avuto quello che gli era stato promesso – o qualcosa di sorprendente in cambio – allora qualcosa non va.

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Pezzettini di Teschio: parte IV

E veniamo, come promesso, all’Azzurra Pietra del Cuore.

 

La Pietra è un personaggio a pieno titolo. Splende, canta, parla per via telepatica, piange, rende il suo coustode molto felice, dà l’allarme quando ci sono i ladri in casa, insegna come effettuare complesse operazione chirurgiche, fa un ottimo caffè… Ok, il caffè me lo sono inventato io, ma tutto il resto viene pari pari dal romanzo: chi non vorrebbe un’Azzurra Pietra del Cuore? Non è meravigliosa? Be’, ecco, forse lo sarebbe come coinquilino. Come elemento di un romanzo, lo è assai di meno. Capiamoci: è un simpatico oggetto, ma spesso diventa un vero e proprio deus ex machina, specialmente nella storyline contemporanea. Proprio quel d.e.m. che era tanto di moda ai tempi di Sofocle, non so se mi spiego.

 

La Pietra non solo avverte Stella del pericolo imminente, ma le indica chi è degno di fiducia (con qualche eccezione, se vogliamo, visto che si fa sfuggire completamente il vero assassino, ma diffida per tutto il tempo di un innocente), la spinge nella direzione giusta quando Stella divaga, la conduce sempre al posto giusto per gli snodi della trama, offre folgorazioni intuitive al momento opportuno… Curerebbe persino le menomazioni di Kit, se lui lo permettesse, e anzi: alla fine lo fa, con o senza il suo consenso.

 

Insomma, per la maggior parte del tempo è la Pietra a muovere il libro in avanti, e se posso capire la fiducia implicita che Cedric Owen, uomo del Rinascimento, ripone nell’oggetto che ha guidato la sua famiglia per generazioni, con Stella è tutta un’altra questione. Quest’astrofisica del XXI Secolo, tosta e razionale, che non impiega nemmeno dieci minuti ad innamorarsi della Pietra, tanto da fidarsene più che di suo marito, mi resta un po’ di traverso.

 

Non che abbia torto: la Pietra parla con la voce dell’Autrice, e l’Autrice sa che cosa è bene per la sua protagonista. Forse anch’io, se mi capitasse per le mani uno zaffirone tanto gentile da passarmi le dritte del mio Autore in vista del Lieto Fine, gli darei retta… Oh, ma aspettate: non dovrei sapere che le dritte arrivano dall’Autore, giusto? Sapevo che c’era qualcosa che non andava…

 

E ormai siamo in dirittura d’arrivo: non ci resta che il finale.

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Pezzettini di Teschio: parte III – in cui si parla di casse di sapone

Scatole di sapone è un modo di dire, naturalmente. Get off the soap-box, ovvero scendi dalla scatola di sapone, significa: piantala di predicare. E’ un invito che avrei volentieri rivolto alla signora Scott, molte volte in corso di lettura.

A tutti piacciono i libri con un messaggio; a tutti piace che il messaggio arrivi attraverso le scelte di personaggi convincenti, messi alla prova in una trama avvincente e imprevedibile; a tutti piace assai di meno quando il messaggio viene ripetutamente sbattuto sulla testa del lettore attraverso il semplice meccanismo di far predicare i personaggi. Predicare, predicare, e ancora predicare.

 

Oh no, ripetono ad nauseam I Buoni del TdC, non crediamo affatto che ci sarà qualche apocalisse soprannaturale nel 2012: crediamo invece che l’improvvida umanità per allora sarà riuscita a distruggere questo meraviglioso mondo che abitiamo.

 

Un momento, però: l’umanità? No, è chiaro, non tutta l’umanità, bensì l’egoistico, capitalistico, consumistico, guerrafondaio Occidente! Perché, vedete, gli sciamani Lapponi, che conducono una vita semplice e pura tra le nevi perenni sono innocenti e buoni. Loro non distruggerebbero mai il mondo, loro. Così come le altre brave persone che conducono vite altrettanto semplici e pure, che so, nelle savane, nei deserti, nelle steppe…

 

E sapete, tuttavia, chi è ancora peggio di un Occidentale? Provate a indovinare… ci siete quasi… fuochino, fuochino… Fuoco: un Occidentale maschio! Perché non so voi, ma mi rifiuto di credere che sia un caso se tutti i papabili assassini sono uomini, e tutte le donne del libro sono invece buone, sagge e capaci. L’Autrice non tenta mai nemmeno per sbaglio di insinuare il più lontano dubbio su Ursula Walker, Najakmul, Martha o Stella. Persino nel breve interludio con la Polizia dello Yorkshire, l’Ispettore (maschio) è un idiota superficiale e pieno di sé, e i neuroni in dotazione al reparto li ha tutti il Sergente (femmina). Tutte le donne del TdC sono profonde, intuitive e pure di cuore. Nella peggiore delle ipotesi, anche quando sono ossessionate da teorie bizzarre (e allora però sono meno che comparse), sono in buona fede. Il solito Davy Law ci dice che non ha mai visto una fossa comune di cui fosse responsabile una donna. Yawn. Gli uomini, invece, oh gli uomini hanno tutti le loro debolezze, I loro secondi fini, le loro zone d’ombra, il loro lato oscuro – il che, si potrebbe sostenere, fa di loro dei personaggi più complessi, ma ho tanto il sospetto che questa non fosse la preoccupazione principale dell’Autrice.

 

E chiudiamo l’argomento con un ultimo indovinello: Chi è persino peggio di un Occidentale maschio? Ma un militare maschio occidentale, ça va sans dire! Prendiamo Antony Bookless. Ci viene ripetuto in continuazione (e in un modo che vorrebbe essere sottile) che Antony Bookless è stato ufficiale dell’Esercito, che ha prestato servizio nell’Irlanda del Nord, che è stato un consulente militare per l’Iraq, e che è ancora uno storico militare. E’ vero, alla fin fine non è lui l’assassino, ma è chiaro che l’Autrice si aspetta da noi che diffidiamo di un uomo con un background militare. E una volta di più, qualora qualche lettore particolarmente denso avesse mancato di cogliere l’ovvia implicazione, il solito Davy Law, il Reietto Brutto e Incompreso, dal Cuore d’Oro e dalla Lingua Tagliente è lì per dirlo a chiare lettere: Bookless ha portato un’uniforme! Come ci si può fidare di lui?

 

Infine,  la ciliegina sulla torta: si direbbe che all’Autrice sia dispiaciuto un po’ non poter fare del Maggiore (o era Colonnello?) Bookless l’assassino. Perché sarà un caso, un candido, perfetto, assoluto caso, ma quando la malvagità, colpevolezza e avidità  del fintamente gioviale Fraser si rivelano nel dénouement, indovinate che cosa assume la sua voce? Una durezza militare!

 

Sottile, vero? Ma se vogliamo parlare di sottigliezza, la prossima volta ci occupiamo dell’Azzurra Pietra del Cuore.

 

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Pezzettini di Teschio: parte II – in cui, a fini scientifici, si svela il finale

Lunga e interessante conversazione post-prove con la regista e il primattore, ieri sera: una di quelle cose in cui si parla d’arte, vita e massimi sistemi. Tra l’altro, facevamo paralleli tra il modo in cui un musicista ascolta musica e il modo in cui uno scrittore affronta roba scritta: sempre con un lobo del cervello teso a catturare struttura, elementi, costruzione, sviluppo e ammenicoli vari.

 

Il che mi porta ad applicare al TdC una considerazione che ieri sera applicavamo ai gialli televisivi, ma che vale per qualsiasi storia abbia un colpevole da smascherare.

 

Prima, però, badate bene e ritenetevi avvertiti: se non volete sapere chi è il colpevole nel Teschio di Cristallo, non leggete questo post.

 

Se non v’interessa, o se v’interessa meno dell’ingegneria delle trame, tirem innanz.

 

Allora, quando in un giallo si può indovinare l’assassino sulla base della meccanica della trama, allora qualcosa non funziona. Non sto parlando di logica, ma di puro e semplice processo d’esclusione, in base al quale certi personaggi hanno una funzione così evidente (fornire informazioni al lettore, esprimere le convinzioni dell’autore…) che non possono essere il colpevole. Ora, non voglio negare che ci sia un certo grado di costruzione nel TdC, ma è quasi tutta nella sezione elisabettiana: il lettore sa fin dal primo capitolo che qualcuno è morto nella caverna dove è nascosta la pietra, e a un certo punto scopre che si tratta di Cedric Owen. Come ciò sia possibile, visto che tutti e ciascuno non fanno che ripetere come Owen sia morto e seppellito a Cambridge, rimane l’unico, e intendo davvero l’unico, elemento di dubbio.

 

Per quanto riguarda il giallo contemporaneo, temo che sia svolto in modo un nonnulla goffo. Per cominciare, c’è il modo in cui Stella va raccontando il suo grande “segreto” a chiunque le capiti a tiro. Ben prima della crisi finale, mezza Cambridge sa della Pietra Azzurra, e anche diversa gente ad Oxford. E se parte della comunità accademica inglese rimane all’oscuro, è solo grazie alla cautela del resto della combriccola, perché Stella proprio non sembra conoscere il significato della parola “discrezione”.

 

Ad ogni modo, la loquacità di Stella provvede il lettore di una teorica serie di possibili colpevoli (con il dubbio aggiuntivo che Kit possa essere in combutta con qualcuno di loro), ma quando il colpevole alla fine è rivelato, non è una sorpresa.

 

No, è piuttosto uno di quei momenti ‘Embè?’, non so se mi spiego. Se c’è un personaggio che non mostra mai un’ombra d’interesse a possedere la Pietra, e anzi ne ha paura, quello è proprio Fraser, l’allegro, amichevole, speleologico, saggio, scozzesissimo Fraser. E’ vero, ci viene detto che in realtà Fraser fingeva soltanto di temere la Pietra, ma il punto è proprio questo: ci viene detto, e mai mostrato, neppure obliquamente, neppure per finta. Così come ci viene detto che Fraser ha cercato disperatamente la Pietra per trent’anni, ma a quanto pare nessuno lo sapeva, e la cosa salta fuori dal nulla nella terz’ultima pagina, quando Fraser sta puntando una pistola alla tempia di Kit, e spiegando tutto a tutti quanti.

 

Della spiegazione, d’altra parte, c’è un gran bisogno, perché non c’erano indizi che conducessero a Fraser. Non aspettatevi di battervi la fronte ed esclamare almeno una volta ‘ah, ecco dove conduceva in realtà questo particolare che sembrava condurre altrove! A posteriori, è così chiaro!” No. Non è chiaro nemmeno a posteriori. Non ce lo saremmo potuti aspettare, semplicemente perché non c’era nulla da aspettarsi in proposito, e questo, a parer mio, si chiama barare. Peggio ancora, si chiama barare goffamente, perché in realtà, per il processo di esclusione di cui sopra, visto che quella di Antony Bookless è troppo ovviamente una falsa pista*, e ci è stato ripetuto fino alla nausea che Stella e la Pietra si fidano di Davy Law, l’assassino poteva essere soltanto il cugino Lawrence oppure Fraser. Dei due, l’uno. E quando Lawrence non compare sulla scena del climax finale (e che ne è di lui, a proposito? Vaporizzato nell’incendio della casa di Ursula?), rimane un solo sospettato. All’autrice piacerebbe che dubitassimo fino alla fine anche di Kit, ma siamo sinceri: quand’anche foste un malvagio in pelli d’agnello, se il vostro complice tentasse (con un certo grado di efficacia) di farvi fuori a pagina dieci, sareste ancora il suo complice a pagina duecentonovanta?

 

E qualora tutto ciò non bastasse, badate bene a questo: dopo che ci è stato ripetuto in ogni possibile salsa che la Pietra è la chiave per salvare il mondo, a Fraser non importa un bottone dell’armageddon impendente, del folklore maya e lappone, e di tutto l’alone mistico della faccenda. Lui vuole la Pietra perché è “uno dei più grossi zaffiri al mondo.” Ah.

 

Mi piacerebbe sperare che la conclusione voglia essere ironica, ma temo di no. Temo tanto che l’autrice stia predicando. Sarà un caso che il vilain della storia sia proprio l’unico cui importa molto meno dei poteri mistici della Pietra che del suo valore in denaro? Cattivo, Fraser! Cattivo!

 

Ma è pur vero che una tendenza alla predicazione permea tutto il libro, come si vedrà nel prossimo post.

 

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* Per indicare una falsa pista, un depistamento deliberato, l’Inglese ha questa bellissima espressione, a red herring, ovvero un’aringa rossa. A quanto pare, la locuzione origina nell’uso di trascinare un’aringa sul terreno per confondere l’olfatto dei segugi durante la caccia alla volpe. Certe volte, solo gl’Inglesi, vero?

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Pezzettini di Teschio: parte I

Cominciamo col dire che Il Teschio di Cristallo è un romanzo “multiperiod“, cioè combina due storie ambientate in periodi storici diversi, una delle quali è la chiave dell’altra. Nello specifico, la parte elisabettiana riguarda un medico (fittizio), custode di un misterioso artefatto di cristallo blu dotato di volontà (più o meno) propria. La Pietra del Cuore è un’eredità di famiglia, e Cedric Owen non sa troppo bene che cosa farne. Nel corso della sua metà della storia viaggerà fin nel Nuovo Mondo per scoprire di essere invischiato in una serie di profezie Maya riguardo alla fine del mondo nel 2012; farà abbastanza fortuna da rendere ricco il suo College (fittizio) di Cambridge; e infine metterà la pietra Là Dove Deve Essere, per il bene dell’umanità tutta (e dell’altra metà del libro). Nel 2007 a Cambridge, l’astrofisica e speleologa Stella Cody ha appena sposato Kit O’Connor (a sua volta dottore in qualcosa che non capiamo fino in fondo, ma probabilmente qualcosa d’informatico applicato alla crittografia/steganografia). Kit, vedete, è l’astro montante del College (fittizio) di Cedric Owen, e il suo sogno accademico è ritrovare la Pietra del Cuore. Perché si suppone che la Pietra sia un segreto segretissimo, eppurtuttavia, tutti lo sanno, e ancora più gente lo saprà prima della fine. E siccome Kit e Stella non sono i soli a volerla, prima della fine ci saranno anche morti e feriti. Quindi, per riassumere: stiamo parlando di un giallo intrecciato con un romanzo storico, entrambi conditi con una generosa spruzzata di fantasy.

Ciò detto, passiamo a chiarire che il TdC ha i suoi pregi. Personaggi, per dirne uno, cominciando da Cedric Owen, intelligente, intenso, di mente aperta, goffo e autoironico. E il suo grande amico Aguilar, nonostante sembri uscito da un film di Erroll Flynn. In età moderna, direi che le mie simpatie vanno a Kit, combattuto tra la sua passione per la Pietra e ogni genere di insicurezze improvvise dopo il ritrovamento della Pietra e il primo incidente… oh be’, immagino che svegliarsi invalidi dopo un volo di cinquanta metri, e scoprire che la propria moglie ha improvvisamente sviluppato una specie di unione mistica con quello che si credeva il proprio tesoro ritrovato non faccia bene all’autostima. Già, la moglie. Stella non è del tutto mal caratterizzata, e per esempio mantiene fino alla fine un certo scetticismo a proposito della profezia Maya, in un modo che contrasta bene con la pronta accettazione della storia da parte di Cedric Owen. Anche la frustrazione di Stella verso le reazioni tra il geloso e il depressivo di Kit è trattata in modo convincente; il modo in cui s’impadronisce allegramente del sogno di suo marito lo è un po’ meno. Stella non fa altro che ripetere che ‘deve’ fare questo o quello, e che ‘è la Pietra a decidere’ per lei… Non fa gran meraviglia che Kit, costretto su una sedia a rotelle, diventi un nonnulla insicuro. Ma su questo torneremo.

Con i personaggi minori, ahimè, veniamo alle dolenti note. Antony Bookless, Master del Bede’s College e mentore di Kit, presenta qualche ombra di complessità, completamente sacrificata alla necessità d’indirizzare tutti i sospetti su di lui, sospetti così ovvi, tra l’altro, da poter essere soltanto un tentativo di depistaggio. Gli altri personaggi sono malinconicamente tutti bidimensionali e/o nient’altro che plot-devices. Prima tra tutti Ursula Walker, la tosta-ma-raffinata antropolga che non solo è la maggiore esperta sulle profezie Maya ma, guarda caso, ha il segreto di Cedric Owen nascosto nella casa dei suoi avi; poi c’è Najakmul, sciamana (o si dice sciamanessa? Insomma, uno sciamano femmina) Maya, che tutto sa e tutto comprende; e che dire di Martha Huntley, la bella vedova intrepida che entra in scena a dieci pagine dalla fine senz’altro scopo che far innamorare il Capitano Aguilar, perché DEVE esserci una discendenza? poi ci sono Padre Calderon, il cugino Lawrence, Edward Wainwright, Nostradamus, e il sergente Jones, che entrano ed escono di scena per dispensare l’informazione giusta al momento giusto; e Davy Law, che (viene chiarito in modo singolarmente poco sottile) deve piacerci, Perché L’Autrice Ha Detto Così; e Fraser, lo Scozzese pittoresco per cui non si può non avere simpatia… Tutta gente che se ne va in giro utile ed inespressiva come i segnaposti del Cluedo, e tu, Lettore, li conti sulle dita: da una parte quelli puramente funzionali ad una svolta della trama, dall’altra quelli che sono lì soltanto come candidati al ruolo di Vilain. Chi fa cosa?

E questo ci porta ad un altro enorme difetto di questo libro… da vedersi nel prossimo post!

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Pezzettini di Teschio: le truci intenzioni

Non è che non legga mai fantasy, ma davvero non mi sono scomposta per la quantità di storiellone fantastico-avventurose fiorite attorno alla supposta fine del mondo nel 2012. Conto seriamente che i Maya si sbagliassero e prendo atto delle potenzialità che una profezia del genere offre al cinema e al mercato editoriale. Unico tra i numerosi titoli, Il Teschio di Cristallo di Manda Scott aveva suscitato in me qualche curiosità per un solo motivo: una parte della storia è ambientata in epoca elisabettiana. Può non sembrare granché, ma per me è abbastanza da giustificare almeno un tentativo. Tra l’altro, l’autrice si era creata un certo nome con una serie di romanzi incentrati su Boadicea, regina degli Iceni, tutt’altro che male. Metti mai…

Adesso, avendolo letto qualche tempo fa, posso dire con cognizione di causa che Il Teschio di Cristallo è un libro bizzarro. Premetto che si fa leggere, perché la signora Scott sa come creare ritmo e tensione, e le sue descrizioni sono spesso una meraviglia. La qualità della scrittura è davvero buona, abbastanza da trasparire inequivocabilmente anche in traduzione… E allora? si chiedeva un lembo del mio cervello mentre leggevo. Che cosa c’è che non va? E’ ben scritto; è mezzo giallo e mezzo romanzo storico; la parte storica è ragionevolmente accurata; la parte contemporanea è ambientata a Cambridge… perché diavolo mi lascia insoddisfatta?

Ebbene, mi lasciava insoddisfatta perché è un libro insoddisfacente. Sotto la vernice della buona scrittura, c’è tutta una varia ed affascinante collezione di difetti. Difetti gravi, difetti strutturali, difetti di caratterizzazione, difetti d’intento. Difetti che si sarebbero potuti eliminare, facendo de Il Teschio di Cristallo un buon libro ben scritto, anzi che un libro mediocre nonostante il modo in cui è scritto.

Ci ho rimuginato su, ed essendo la collezione di difetti in questione molto, molto istruttiva, ho intenzione di dissezionare molto dettagliatamente questo libro nel giro di quattro o cinque post. 

Sarà un’operazione un tantino sanguinolenta, e il finale sarà rivelato senza misericordia, ma è come Galvani: spellando la rana (povera rana!) si fanno interessanti scoperte sull’elettricità.