Anno Verdiano

Librettitudini Verdiane: I Masnadieri

Essere invitati a comporre per i teatri londinesi non capitava tutti i giorni. Per dire,giuseppe verdi,friedrich schiller,andrea maffei,jenny lind al pur osannato Rossini non capitò mai… Per cui noi ci immaginiamo che, nel vedersi offrire un contratto per dieci opere allo Her Majesty’s Theatre, un giovane compositore di celebrità crescente dovesse accettare con grato entusiasmo, giusto?

Ma Verdi no. Verdi fece sapere che tre opere erano più che sufficienti – e ciascuna a una cifra cinque volte superiore al prezzo di mercato, e potevano aggiungerci una residenza in campagna e una carrozza per tutto il suo soggiorno, per favore?

E bisogna dire che ce lo volessero proprio, a Londra, perché fu in buona parte accontentato. Con tutto questo, Verdi sull’Isoletta ci andò svogliato e svagato, armato di un libretto così così e con un’inedita propensione al laissez-faire artistico per quel che riguardava la compagnia.

Poco promettente, eh?

giuseppe verdi, friedrich schiller, andrea maffei, jenny lindE le cose cominciarono male fin dal libretto, che Andrea Maffei trasse dallo Schilleriano Die Räuber. Con Maffei Verdi non ebbe la voglia o il coraggio di far la voce grossa come con Piave – povero Piave! – e il risultato si fu che, lasciato a se stesso, il librettista addomesticò la tumultuosa e moralmente grigia tragedia tedesca in una storiellona blanda nonostante le tinte forti. 

Maffei era un verseggiatore raffinato, ma un gran senso del teatro non lo aveva…

Figuratevi che l’Atto Primo inizia con Carlo Moor (tenore) che legge Plutarco e dichiara il suo disprezzo per l’era imbelle in cui si ritrova a vivere, mentre un coro di giovani traviati gozzoviglia offstage. E quando riceve la lettera con cui credeva di vedersi perdonato dal vecchio babbo e invece si ritrova bandito, il nostro comincia a smaniare di vendetta e a cercare la sua spada…

Noi l’abbiam. Ti calma e senti.giuseppe verdi, friedrich schiller, andrea maffei, jenny lind
Comporremo una masnada. . .

Suggerisce il coro di giovani traviati. E Carlo sobbalza e inorridisce:

Ladri noi? chi v’ha piovuto,
spirti iniqui, un tal pensiero?

Gli spirti iniqui non si scompongono, e anzi, hanno un’idea ancora migliore:

E tu capo condottiero.

E questo piccolo ottonario costituisce la scena di persuasione più breve della storia del teatro, perché la successiva replica di Carlo è:

Per la morte, io non rifiuto!

E così eccolo masnadiere e capo di masnadieri eponimi. Truci giuramenti vengono scambiati, buoni propositi à la Cecco Angiolieri – ma un pochino più concreti – vengono fatti, e noi, sulle ali del primo cambio di scena del primo atto, ci spostiamo in Franconia, nella magione avita dei Moor, a fare la conoscenza di Francesco.

giuseppe verdi,friedrich schiller,andrea maffei,jenny lindFrancesco è il fratello minore di Carlo, è un baritono e, cosa abbastanza inconsueta per Verdi, è cattivo cattivo cattivo. Irredimibilmente, stupidamente, piattamente cattivo. In Schiller non era così, ma Maffei ha fatto di lui un esecrabile giovanotto che, risentito della sua condizione di secondogenito, ha pensato bene di farla pagare al padre e al fratello. Ha intercettato la lettera con cui Carlo chiedeva perdono; ha scritto di persona quella con cui il padre bandiva Carlo; e adesso, visto che il padre non ha il garbo di morire e togliersi di torno, ha avuto un’idea su come affrettare il corso delle cose.

Per un po’ farnetica di piangolose lettere, fiacche animucce e vecchiardi, e poi predispone il finto messaggero che deve portare la notizia fasulla della morte di Carlo in battaglia. Con un minimo di fortuna, al vecchio babbo verrà il coccolone risolutivo.

E va bene, ma voi chi scegliereste per la parte del messaggero? Di certo non il camerlengo di casa, fidato servitore che si presume il vecchio conte conosca abbastanza bene, giusto? Ma Francesco no. Francesco sceglie proprio il camerlengo… ve l’avevo detto che, per essere un baritono, non è un fulmine di guerra, vero? 

Intanto, noi ci spostiamo un’altra volta* nella camera da letto del vecchio conte Massimiliano (basso), che sonnecchia vegliato dalla bella nipote orfana Amalia (soprano). Amalia non è del tutto contenta che lo zio abbia bandito il Carlo di cui era tanto innamorata – e non si fa per dire, ma i baci suoi stillavano gioir di paradiso… – ma è troppo affezionata al vecchio signore per fargliene una colpa. Tanto più che il vecchio signore in questione è già pieno di dubbi e rimorsi per conto suo.

Figuriamoci quando arriva Francesco col finto giuseppe verdi,friedrich schiller,andrea maffei,jenny lindestraneo…

E, miracolo della scarsa illuminazione al Secolo XVIII, né il conte né Amalia riconoscono il Camerlengo. Lo ascoltano con crescente orrore mentre snocciola la storia che Francesco gli ha insegnato, prendono per buona la spada insanguinata che salta fuori molto opportunamente, e ingollano persino il messaggio scritto col sangue sulla spada stessa. E in effetti, quale moribondo sul campo di battaglia non trova l’agio di vergare col proprio sangue un distico in rima baciatasu una lama?

“Dal giuro, Amalia, ci scioglie la morte.
Sii tu, Francesco, d’Amalia consorte.”

Orrore orror! Amalia strilla, il vecchio conte sviene così bene che sembra morto, Arminio è colto da rimorso, Francesco giubila, il sipario cala.

Atto Secondo

Sepolcri gotici. Due. Uno è quello del vecchio conte. L’altro non si sa. Amalia prega e piange mentre fuori scena Francesco, nonostante il lutto, gozzoviglia con un altro coro debosciato e un filo blasfemo. Dev’essere un talento di famiglia, quello di scegliersi cori discutibili… Ad ogni modo, ricordate la crisi di coscienza di Arminio?** Ebbene, adesso ne vediamo le conseguenze: il camerlengo entra di soppiatto e confessa ad Amalia che sono tutti vivi – Carlo e anche il vecchio Massimiliano.

giuseppe verdi,friedrich schiller,andrea maffei,jenny lindDove poi siano è tutta un’altra faccenda, ma Amalia è già in tutt’altra disposizione d’animo all’arrivo di Francesco, che le dichiara il suo amore con la delicatezza che gli è propria. E quando Amalia lo rifiuta, lui la minaccia di rabbassar la sua cervice rinchiudendola. Amalia commette l’errore tattico di dichiararsi ben felice di qualunque prigionia le risparmi la compagnia del perfido cugino, al che il perfido cugino esplode:

oh no, proterva!
Qui starai! mia druda e serva.

Amalia, soprano da battaglia, gli sottrae la spada, lo minaccia, ma Francesco la blocca e giura prigionia, catene, tormenti e vendetta anche contro di lei – e così adesso ce l’ha a morte con tutta la distribuzione.

Ma noi spostiamoci in quel di Praga, signore e signori, a scoprire che Carlo Moor il Masnadiere è diventato un terrore generale, capace di mettere a ferro e a fuoco Praga intera per salvare dalla forca un luogotenente catturato…

Non che ne sia contento, sia ben chiaro. Adorato dai suoi uomini, odiato dai nemici, temuto dai civili, Carlo è è amareggiato, pieno di disgusto di sé (seppur con una tendenza a biasimare i suoi accoliti) e di nostalgia di casa – ma soprattutto di Amalia, che non potrà più nemmeno pensar di guardare in faccia, dopo tutti gli spaventi che ha commesso…

Ma chi viene? Nemici! Mille soldati! Carlo si raccoglie attorno i suoi, li incita al combattimento – e l’atto finisce bruscamente prima della battaglia. Oh well.

Atto Terzo

Amalia fuggitiva cammina sola e smarrita… in un luogo deserto che mette alla foresta presso al castello. Ebbene sì, si è persa dietro casa. – ma che vogliamo farci? È un soprano… e poi, se non si fosse persa, come farebbe a terrorizzarsi delle voci nel bosco?

Le rube, gli stupri, gl’incendi, le morti,
per noi son balocchi, son meri diporti,

c’informano le voci, e Amalia è comprensibilmente scossa. Tanto che, quando Carlo compare tra gli alberi, impiega una vita a riconoscerlo.

Ei non m’è novo,

mormora a un tratto la perspicace fanciulla, ma bisogna che lui si presenti per nome. Dopodiché, estasi e delirio – con la riserva, da parte di lui, che Amalia non deve sapere il ver. Cosicché Carlo elude tutte le domande, seppure in termini di cui chiunque non fosse un’eroina d’opera s’inquieterebbe un nonnulla…

AMALIA:
Mendaci novelle ti dissero ucciso.

CARLO:
Beato se chiuso m’avesse l’avel!

AMALIA:
Tu pure, o mio Carlo, provasti gli affanni?

CARLO:
Li possa il tuo core per sempre ignorar!

AMALIA:
Anch’io, derelitta, ti piansi lung’anni…

E tutti noi dubitiamo che Amalia Moor sarà mai candidata al Nobel per la fisica, vero? E infatti il suo mestiere non è quello di scovar neutrini, ma solo di riassumere a Carlo in pochi versi l’atto primo e l’atto secondo, cosicché lui, pur tormentato dalla candida fiducia di lei, possa giurar vendetta contro il malvagio fratello.giuseppe verdi,friedrich schiller,andrea maffei,jenny lind

E poi ci spostiamo nel cuore della foresta, dove ci sono le rovine di una torre. Stavolta niente grotta e niente caverna, ma abbiamo le ruine di antica ròcca – che sono teatralmente equivalenti. Tra le ruine il coro si compiace del proprio ruvido cuore di sasso per un po’, poi arriva Carlo e si mette di sentinella. I Masnadieri dormono, e Carlo una volta di più maledice se stesso e i suoi uomini – cosa che personalmente comincio a trovare più che un po’ irritante. Non gliel’ha ordinato il medico di mettersi alla loro testa, giusto? Ci ha messo un ottonario a superare i suoi scrupoli un paio d’atti orsono, e poi ha condotto questa pur discutibile gente di atrocità in atrocità… Per cui che adesso li chiami “malvagi” implicando che lui è diverso, è davvero piuttosto gratuito. E forse il dubbio viene anche a lui: piuttosto che affrontare un futuro disonorevole e senza Amalia, è pronto a farsi saltare le cervella… Ma poi ci ripensa, perché sarebbe troppo facile.

E chi ti entra, molto opportunamente, a questo punto? Arminio il camerlengo, che viene a portare vettovaglie a qualcuno di affamato e invisibile, rinchiuso sotterra nelle rovine. Col dubbio che ai suoi possa essere sfuggito qualcosa, Carlo ferma Arminio, lo interroga senza farsi riconoscere, poi Arminio fugge e Carlo trova nella segreta un vecchio attenuato come uno scheletro.

Dapprima lo scambia per un fantasma, poi riconosce suo padre, il quale racconta di come Francesco, delusissimo nel costatare che il vecchio genitore era meno morto di quanto sembrasse, lo avesse fatto gettare là sotto per completare l’opera. Poi sviene un’altra volta – e non fa granché d’altro questo anziano signore, vero? Espone e sviene, espone e sviene… 

Carlo, indignato e sconvolto, convoca i suoi Masnadieri e li nomina sul campo angeli ministri dell’ira divina. In altre parole, li spedisce ad assaltare il castello e catturargli il fratello – vivo. E chi l’avrebbe mai detto? Ai Masnadieri il ruolo piace proprio tanto. Sipario.

Atto Quartogiuseppe verdi,friedrich schiller,andrea maffei,jenny lind

Intanto, al castello, Francesco ha gli incubi – questo esantema comune tra i tiranni e/o assassini all’opera, ed è tanto sconvolto che ha mandato a chiamare il pastore. Intanto racconta ad Arminio di essersi sognato un giudizio universale privato, con tanto d’implacabile giuria di vittime… Arminio, ci dice Maffei, si allontana con atti di raccapriccio.

Ma si sa che un incubo condiviso è un incubo dimezzato: quando arriva il Pastore Moser, Francesco si è ripreso abbastanza da fingersi tracotante – almeno finché Moser gli dice che i peggiori peccati sono il parricidio e il fratricidio…

Ops.

Ma non c’è tempo per discutere il punto dottrinale: Arminio arriva annunciando l’assalto. Francesco perde la testa, vuole che si preghi per lui, vuole l’assoluzione (che Moser gli nega), vuole il perdono, vuole pregare pro se, non vuole affatto… Alla fine s’impicca – e non è nulla che conduca al perdono divino, giusto?

E intanto nella foresta il vecchio conte si dispera proprio per Francesco – cosa che fa dubitare a Carlo di essere stato un nonnulla precipitoso. Non potendoci più fare granché, tuttavia, si limita a liberare il padre e a chiedergli la sua benedizione senza farsi riconoscere. La gente non è sveglissimissima in questa storia: il vecchio Massimiliano, lungi dal fare due più due, si sente molto in colpa per tutto quello che è capitato ai figli, tra i figli e con i figli, ed è fin troppo contento di sentirsi dire dal presunto sconosciuto che Carlo di certo lo perdonerebbe…

Ma ecco arrivare i Masnadieri: alcuni confessano a testa bassa di non essere riusciti a catturare Francesco, altri trascinano Amalia catturata.

Segue confusione, perché ormai non c’è più modo di tenere nascosto che Carlo è il capo di questa gentaglia… E una volta di più, Carlo se la prende con i Masnadieri, improvvisamente declassati da angeli vindici a demonii:

Ma voi che nel fondo
dal ciel mi traeste,
ministri esecrati dell’ira celeste . . .

Come se fosse colpa loro! E a dire il vero non serve nemmeno più di tanto, perché Amalia, ditzier than ever, è dispostissima a fingere che dettagli come incendi, stragi, stupri e ruberie non siano mai accaduti.

giuseppe verdi,friedrich schiller,andrea maffei,jenny lindChi non è disposto a passarci sopra, è il coro che, in seguito ai truci giuramenti dell’Atto Primo, ha servito Carlo lealmente, con sprezzo del pericolo, e spesso in rima baciata – e adesso non vuol saperne di lasciarlo andare. Carlo li insulta ancora un po’, ma riconosce che non hanno tutti i torti. Niente da fare, Amalia cara.

E allora va’, singulta Amalia, ma prima uccidimi. E bisognerebbe stare attenti a quel che si chiede, perché Carlo la prende sul serio e, con un’altra bordata di insulti per i suoi uomini, la pugnala tra lo sconcerto generale. Al conte Massimiliano viene il coccolone definitivo, Carlo si avvia a consegnarsi***, Amalia muore, i Masnadieri costatano il decesso e il sipario cala. giuseppe verdi,friedrich schiller,andrea maffei,jenny lind

Quindi l’abbiamo visto: il libretto non era granché, e anche la musica non era granché. Per di più, la compagnia era perfetta solo sulla carta. Per Amalia, Verdi aveva voluto Jenny Lind, l’etereo e trillante Usignolo di Svezia – né si capisce perché, visto che non l’apprezzava nemmeno tantissimo. Per Carlo doveva esserci il magnifico Fraschini, e invece ci fu Gardoni, che non aveva altro merito se non di essere un bell’uomo… Verdi lasciò che la Lind (un’egocentrica retrograda musicale se mai ce ne fu una) facesse quel che le pareva, e di Gardoni si disinteressò bellamente. Dopo due sole prove d’orchestra, i Masnadieri andarono in scena diretti dal compositore in persona, e incontrarono quello che possiamo chiamare un successo di stima.

È molto probabile che non meritassero nulla di più e, dopo che Verdi se ne fu ripartito, sparirono dai cartelloni con la vellutata rapidità delle cose fatte senza convinzione.

 

 

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* Tre cambi di scena nel primo atto soltanto! La gioia di questa produzione ai tempi delle scene dipinte e letterali doveva essere al di là di ogni descrizione…

** Certo che ve ne ricordate: è stato appena prima dell’intervallo!

*** E so che cosa state pensando: lo lasciano andare, dopo tutto? E allora che bisogno c’era di far fuori Amalia? E che volete che vi dica? Questa non è mica la Fanciulla del West, non si può cavalcare via, liberi e felici e vivi, verso il tramonto…

Anno Verdiano

Librettitudini Verdiane: Macbeth

Questa tragedia è una delle più grandi creazioni umane!… Se noi non possiamo fare una gran cosa cerchiamo di fare una cosa almeno fuori del comune,

scriveva Verdi a Piave ai primi di settembre – questa tragedia era il Macbeth di Shakespeare.

giuseppe verdi, macbeth, shakespeare, francesco maria piave, andrea maffei, marianna barbieri-nini, carlo vareseVerdi era uno shakespeariano furibondo, conosceva la tragedia scozzese a menadito e aveva idee molto precise e dettagliate su come dovesse essere tradotta in libretto. Prima di tutto, voleva brevità e sublimità… e fosse stato tutto qui!

Piave – povero Piave! – ci si mise d’impegno, ma scoprì presto che non c’era modo di accontentare Verdi. Nulla di quel che scriveva andava mai bene. Le lettere di rimprovero si susseguivano, sempre più brusche e sempre più impazienti. I versi non erano mai abbastanza stringati, le parole delle streghe non erano mai abbastanza strane, la Lady non era mai abbastanza incisiva…

Alla fin fine, quando il libretto fu finito – e Verdi scontento come all’inizio – Piave fu pagato ed estromesso dalla faccenda. Il suo nome non sarebbe comparso in copertina, e Maffei avrebbe risistemato le streghe e la Lady sonnambula…

Non posso fare a meno di chiedermi se Solera, da Madrid, sapesse dell’odissea e sghignazzasse tra sé e si sentisse vendicato per l’Attila rimaneggiato.

Ma vediamo un po’ che cosa musicò Verdi in sei mesi di frenesia compositiva…

Atto Primo.

Tutti sappiamo che si comincia con le streghe… Verdi voleva che parlassero in versi tronchi:

I. Che faceste? dite su!
II. Ho sgozzato un verro. E tu?
III. M’è frullata nel pensier
La mogliera di un nocchier:
Al dimon la mi cacciò…
Ma lo sposo che salpò
Col suo legno affogherò.
I. Un rovaio ti darò…
II. I marosi leverò…
III. Per le secche lo trarrò.giuseppe verdi, macbeth, shakespeare, francesco maria piave, andrea maffei, marianna barbieri-nini, carlo varese

Tronchi sono tronchi – e troncati ulteriormente dall’ingresso di un paio di capitani scozzesi. Gente vittoriosa: Macbeth (talora detto anche Macbetto per esigenze metriche), generale di fiducia del buon Re Duncano, e Banco.

Ora, le streghe salutano Macbeth come signore di Glamis e Caudore*, nonché re di Scozia.

E Macbeth, che delle tre cose è soltanto la prima, ma forse qualche pensierino alle altre due l’aveva fatto, trema.

“E io?” chiede Banco. Oh, lui non sarà re – ma i suoi figli sì.

E le streghe svaniscono, lasciando i due generali comprensibilmente scossi…

Tanto più che l’ingresso successivo è quello di un messaggero reale: in premio per la battaglia vinta, il buon Duncano concede a Macbeth la signoria di Caudore, appena levata a un vassallo ribelle…

Ops.

giuseppe verdi, macbeth, shakespeare, francesco maria piave, andrea maffei, marianna barbieri-nini, carlo vareseMa allora, se uno dei vaticini rispondeva a verità… Macbeth impiega meno di una sestina a fare due più due e a decidere che non, non, non è il tipo del golpista. E intanto Banco è meno compiaciuto di quanto dovrebbe o potrebbe essere un buon amico…

Chi ha tutta l’aria di volersi divertire un sacco sono le streghe, che tornano per un attimo a promettere cose sinistre. Ma d’altra parte, questo è Shakespeare – per non parlare di Verdi! Saremmo delusissimi del contrario, giusto?

Intanto, al castello… Oh d’accordo, non “intanto”, ma tanto tempo dopo quanto ne basta perché arrivi un messaggero a cavallo, Lady Macbeth legge la lettera con cui il consorte le racconta quel che sta accadendo. E subito capiamo che Lady M. è fatta di un’altra pasta: la sua prima preoccupazione sembra essere per la carente malvagità di Macbeth.

E in effetti, ricordate che aveva detto di non voler fare nulla di truce? Però

Pien di misfatti è il calle
Della potenza, e mal per lui che il piede
Dubitoso vi pone, e retrocede!

Oh well, poco male. Gli uomini vanno guidati – ed è per questo che ci sono le mogli, giusto? Ci penserà lei a spingerlo sul trono, costi quel che costi.

E chi ti va ad arrivare proprio al momento giusto? Ma il buon Re Duncano, con Macbeth al seguito.

Trovi accoglienza quale un re si merta,

sibila Lady M. – e noi di questa donna cominciamo proprio ad avere paura.

Dopo di che, ai Macbeth ricongiunti basta il più scarno dei recitativi ad accordarsi sull’accoglienza in questione. Lui esita: e se si fallisce? Forse lasciato a se stesso rinuncerebbe, ma Lady M. è inflessibile: se non ora, quando?

E infatti, qualche ora più tardi, appena il re si è ritirato al suono di musica villereccia, Macbeth comincia a vedere pugnali dappertutto, trema, si agita e poi prende il coraggio a quattro mani e va ad agire.

Quando rientra, stravolto e con un pugnale in mano, diventa subito chiaro che l’omicidio a sangue freddo non è il suo mestiere. Sente le voci, trema, delira… Lady M. è scossa a sua volta, ma molto più lucida e un nonnulla disgustata. Quando né ordini né incoraggiamenti** né sarcasmo servono a nulla, è lei a rientrare nelle stanze del re per lasciare il pugnale e sporcare di sanguegiuseppe verdi, macbeth, shakespeare, francesco maria piave, andrea maffei, marianna barbieri-nini, carlo varese le guardie.

Così i gufi bubbolano, Lady M. depista, il marito di Lady M. si sente arrivare addosso l’insonnia cronica da rimorso e…

Chi bussa?

Macbeth è pronto a perdere la testa. Per fortuna c’è sua moglie ad avere la brillante idea di farsi trovare a letto. I due sposi e complici si dileguano, ciascuno con le mani insanguinate e, quando Banco e il nobile Macduff scoprono il cadavere di Re Duncano, ricompaiono con le mani pulite e l’apparenza del più profondo sbigottimento.

Sono persino capaci di unirsi al coro che maledice gli ignoti assassini – e nessuno si stupisce se la maggior parte dei registi rende la maledizione di Lady M. più convinta di quella del marito. 

E sipario.

Al giungere dell’Atto Secondo, il figlio di Duncan è fuggito in Inghilterra e tutti lo credono colpevole, e Macbeth è re di Scozia ma, come molti re all’opera, non è che dorma proprio bene.

Rimorso? Ssssì, ma più che altro, continua a pensare alla seconda metà della profezia, quella che riguarda i figli di Banco.

E lo si può anche capire: tutta quella fatica per poi passare la corona alla prole altrui? Giammai.

E guardate come Lady M. gli lascia credere che sia sua l’idea:

LADY:
Egli e suo figlio vivono, è ver…

MACBETH:
Ma vita immortale non hanno…

LADY:
Ah si, non l’hanno!

MACBETH:
Forz’è che scorra un altro sangue, o donna!

Ma sì, che vogliamo mai? Omicidio più, omicidio meno… E se Macbeth deve sforzarsi per convincersi, è chiaro che invece Lady M. ci prova gusto. Lei lo voleva proprio, questo trono – e non sarà certo un Banco qualsiasi a levarglielo, che diavolo!

E non so se, al posto di Banco, sapendo quel che Banco sa e dubitando quel che Banco dubita e sospettando quel che Banco sospetta, me ne sarei andata a spasso per il parco di Macbeth a notte fonda e senz’altra compagnia che un figlio ragazzino. Dopodiché non vedo che possa davvero lamentarsi quando un allegro coretto di sicari gli zompa addosso nel buio, vi pare?

Intanto, al castello i Macbeth intrattengono regalmente il coro e Macduff (che è un tenore della varietà non amorosa, e finora non è servito a granché – ma abbiate fiducia). E c’è forse un che di forzata gaiezza in questi due – ma come biasimarli? Tanto più che arriva un sicario ad annunciare che Banco è morto, ma il figlio no… ops. Questo vanifica un po’ tutto, vero?

giuseppe verdi, macbeth, shakespeare, francesco maria piave, andrea maffei, marianna barbieri-nini, carlo vareseMa non davanti agli ospiti. Nell’ansia di fare buon viso a cattivo gioco, Macbeth si lagna dell’assenza di Banco… finché non ne vede il fantasma tranquillamente seduto a tavola.

E allora, capite, perde un pochino la testa. Ora, tutto si può dire di Macbeth, ma non che sia un codardo. Invece di fuggire strillando, si rivolge allo spettro, lo apostrofa, lo interroga, lo minaccia… Peccato che lo veda soltanto lui. Gli ospiti sono, non del tutto incomprensibilmente, sconcertati, e Lady M. è livida:

E un uomo voi siete?
Vergogna, signor!

Tra l’altro, il fantasma è intermittente: ogni volta che Macbeth tenta di minimizzare o la sua consorte riprende il brindisi, eccolo che fa bubu settete di nuovo. Macbeth farnetica, Lady M. si chiede che razza di mozzarella abbia sposato, e gli ospiti si dileguano quatti quatti – perché non c’è nulla come un’apparizione di fantasmi per rovinare una cena. L’ultimo ad andarsene è Macduff, cui comincia a balenare qualche ombra di sospetto.

E mentre cala il sipario, che resta da fare a un povero usurpatore omicida, se non decidere di cercare quelle imbroglione tendenziose delle streghe e cantargliene quattro?

Atto Terzo

È il momento della caverna regolamentare. Questa è oscura anziché orrida – ma caverna è. E ci sono le streghe, col calderone. E, ad opera del cavalier Maffei, giuseppe verdi, macbeth, shakespeare, francesco maria piave, andrea maffei, marianna barbieri-nini, carlo varesecantano così:

I. Tre volte miagola la gatta in fregola.
II. Tre volte l’upupa lamenta ed ulula.
III. Tre volte l’istrice guaisce al vento.

TUTTE:
Questo è il momento.
Su via! sollecite giriam la pentola,
Mesciamvi in circolo possenti intingoli:
Sirocchie, all’opera! l’acqua già fuma,
Crepita e spuma.
(gettando nella caldaia)

I. Tu, rospo venefico
Che suggi l’aconito,
Tu, vepre, tu, radica
Sbarbata al crepuscolo
Va’, cuoci e gorgoglia
Nel vaso infernal.

II. Tu, lingua di vipera,
Tu, pelo di nottola,
Tu, sangue di scimmia,
Tu, dente di bòtolo,
Va’, bolli e t’avvoltola
Nel brodo infernal.

III. Tu, dito d’un pargolo
Strozzato nel nascere.
Tu, labbro d’un Tartaro,
Tu, cuor d’un eretico,
Va’ dentro, e consolida
La polta infernal.

Tutte: (danzando intorno)
E voi, Spirti

Negri e candidi,
Rossi e ceruli,
Rimescete!
Voi che mescere
Ben sapete,
Rimescete! Rimescete!

giuseppe verdi, macbeth, shakespeare, francesco maria piave, andrea maffei, marianna barbieri-nini, carlo varesePittoresco, nevvero? Arriva Macbeth a chiedere lumi, e gli si propone una consultazione con gli spiriti – i quali gli dicono: a) di guardarsi da Macduff – e a questo ci aveva già pensato da solo; b) di star sicuro che nessun nato da donna può nuocergli; c) che il suo trono sarà saldo finché non si muoverà il bosco di Birna(m). Data la non elevatissima densità di gente non nata da donna e boschi semoventi nella Scozia dell’epoca, Macbeth potrebbe fermarsi qui e andarsene a dormire contento…

E magari lo farebbe, se fosse un tenore. Ma essendo invece un baritono, ha una mente logica e gli viene il dubbio: ma se è così invincibile, come la mettiamo con la discendenza di Banco?

Le streghe cercano di eludere la domanda, ma poi gli mostrano una processione di spiriti coronati scortati dallo spettro di Banco.

Ma… si stupisce Macbeth. Eh sì, replicano le streghe. I calcoli Macbeth può farseli da solo e, facendoseli, sviene.

E qui nell’edizione riveduta per la Francia del ’65 (quella che per lo più s’esegue oggidì), c’è un balletto di spiriti aerei che si suppone debba rinfrancare il nostro povero usurpatore.

E arriva Lady M., e Macbeth, rinfrancato ma scosso, le racconta delle nuove profezie. Con logica impeccabile, Lady M. decide che sono tutte vere tranne l’ultima e comunque, nel dubbio, meglio liberarsi una volta per tutte di Macduff con moglie e figli e del figlio di Banco.

E questa volta Macbeth non fa più nemmeno finta di esitare. Siamo in ballo e balliamo, giusto?

Sipario. giuseppe verdi, macbeth, shakespeare, francesco maria piave, andrea maffei, marianna barbieri-nini, carlo varese

Atto Quarto – e si direbbe che Macbeth si sia lasciato prendere un nonnulla la mano. Non solo ha sterminato la famiglia di Macduff, ma ha messo a ferro e fuoco la Scozia nella sua caccia, tanto che cori interi di profughi se ne stanno a lamentarsi molto pateticamente appena al di qua del confine inglese.

Ma comincia a sembrare che i Macbeth possano aver fatto i conti senza l’oste, perché non solo Macduff è ancora vivo e affamato di vendetta, ma c’è anche Malcolm (il figlio di Duncano, ricordate?), che arriva parimenti intenzionato conducendo molti soldati inglesi e, in un momento d’ispirazione tattica, ordina a tutti quanti di provvedersi di un ramo mimetico dai rami del bosco.

Quale bosco? Il bosco di Birna(m).

Oh oh…

Intanto al castello, da una parte una sonnambula Lady M. ha le ben note difficoltà igieniche:

Di sangue umano
Sa qui sempre… Arabia intera
Rimondar sì piccol mano
Co’ suoi balsami non può.

giuseppe verdi, macbeth, shakespeare, francesco maria piave, andrea maffei, marianna barbieri-nini, carlo vareseE dall’altra Macbeth si dibatte tra rimorso, paura, ferocia, solitudine e rimpianto…

E sì, potevano pensarci prima – ma, forza di Shakespeare e di Verdi, noi non siamo capaci di restare insensibili alla disperazione dell’uno e dell’altro.

Dopodiché tutto comincia ad assumere l’inconfondibile forma di una pera.

Lady M. muore – se di affanno, suicidio o altro non è chiaro – e Macbeth la prende in maniera… stramba.

Ma non basta, naturalmente, e arriva una sentinella ad annunciare che, o prodigio, la foresta di Birna(m)… er, si muove.

E Macbeth si scuote un po’ di più. Ma è un fiero signore della guerra scozzese: di nuovo, invece di scappare strillando, impugna la spada e va ad affrontare il suo destino.

Che gli si presenta nella forma di… Macduff. giuseppe verdi, macbeth, shakespeare, francesco maria piave, andrea maffei, marianna barbieri-nini, carlo varese

Oh, d’accordo. Avremmo preferito qualcuno di un po’ più.. un po’ meno… Però state a sentire: quando Macbeth lo invita a levarsi di torno, perché nessun nato da donna può fargli un baffo, Macduff si svela. Non so se conti come un’agnizione, ma sta di fatto che il nostro tenore-non-amoroso è nato con parto cesareo. Tecnicamente non è nato da donna.

Vatti a fidare delle streghe.

E sì, è un inqualificabile cavillo, ma che vogliamo farci? Macduff e Macbeth escono di scena duellando, e tutti sappiamo come va a finire. E poi tutto succede offstage, e Macduff rientra trionfante, e il coro esulta, e Malcolm si proclama re, e la Scozia è liberata, e tutti sono molto felici, e noi parteggiavamo per il baritono, ma fa lo stesso.

Sipario.

Ecco qui. Quando ebbe messo tutto in musica, Verdi cominciò a seguire le prove con la ferocia incontentabile di un gallo da combattimento. Le prove furono un massacro creativo. Sopravvivono le lettere in cui Verdi istruisce puntigliosamente il baritono Carlo Varesi, primo Macbeth. Marianna Barbieri-Nini, la prima Lady Macbeth (scelta perché era brutta e di voce aspra come Verdi voleva), scrive nelle sue memorie di avere provato un certo duetto non meno di centocinquanta volte, prima che fosse cupo e “quasi parlato” come lo voleva il compositore…

giuseppe verdi, macbeth, shakespeare, francesco maria piave, andrea maffei, marianna barbieri-nini, carlo vareseMa Verdi aveva ragione: nel marzo del 1847 il Macbeth debuttò alla Pergola di Firenze, e fu un successo maiuscolo – con la possibile eccezione del libretto.

A quanto pare c’è un intrecciarsi di nemesi beffarde, quando si tratta di libretti. Vi ricorderete che il nome di Piave non compariva, ma si sapeva che l’autore era lui. A Firenze Piave non era popolare – e che le stroncature dei versi fossero un po’ partito preso lo dimostra il fatto che i pezzi più presi di mira furono proprio il coro delle streghe e la scena del sonnambulismo. Quelli di Maffei. Quelli di cui il povero Piave era del tutto innocente.

 

 

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* Cawdor, in realtà. E a dire il vero non so nemmeno se valga la pena di cominciare con la toponomastica scozzese ad uso dei melomani…

** Yes well, dubito che l’equivalente operistico di “dormiamoci su e domattina andrà tutto meglio” sia fatto per funzionare in caso di assassinio.

Anno Verdiano · Storia&storie

Librettitudini Verdiane: Attila

giuseppe verdi, attila, zacharias von werner, temistocle solera, francesco maria piave, andrea maffei“Perché non Attila?” disse Maffei – e Verdi, se avesse avuto delle antenne, le avrebbe rizzate.

Andrea Maffei – marito della più celebre Clarina – era un poeta, un librettista, un traduttore dall’Inglese e dal Tedesco. Per cui conosceva bizzarrie germaniche come il dramma di Zacharias Werner sul re degli Unni…

Verdi qualche tempo prima aveva letto De l’Alemagne, di Mme de Staël, in cui, tra l’altro, proprio quel dramma si riassumeva con entusiasmo. E ne era rimasto colpito. Gli pareva una bella storia cupa e romantica (nel senso meno sentimentale del termine), piena di forza tragica e ambientata in un tardo impero tanto oscuro da essere esotico di risulta. Figurarsi quando Maffei glielo propose come soggetto “barbaro”!

Dopo la batosta napoletan-peruviana dell’Alzira, bisognava andare sul sicuro: la collaudata Fenice e il fidato Solera sembravano una buona combinazione… peccato che Solera fosse a Madrid, in autoesilio per sfuggire ai creditori, e fosse men che sollecito nel consegnare i versi. Per di più aveva le sue idee su come dovesse essere il libretto, continuava a battere sull’aspetto risorgimental-patriottico, a discapito delle psicologie individuali e dell’Impero che franava a valle – che a Verdi interessavano molto di più. giuseppe verdi, attila, zacharias von werner, temistocle solera, francesco maria piave, andrea maffei

Quando diventò evidente che Solera nicchiava con l’atto terzo – e forse in considerazione del fatto che battere troppo su un’Italia che si libera dei barbari occupanti significava cercar grane con la censura – Verdi si rivolse a Piave chiedendogli (con la consueta abbondanza di istruzioni e raccompandazioni) di risistemare e finire il tutto.

Solera, dalla Spagna, si offese a morte e non volle mai più collaborare con Verdi. Il povero Piave-Gatto si lesse Mme de Staël, si lesse Werner (forse tradotto da Maffei) e sistemò tutto come voleva Verdi.

Quindi: Verdi, Solera, Piave – e anche Werner, e probabilmente un po’ Maffei… Vediamo che ne uscì.

Il Prologo comincia ad Aquileia caduta. Eruli, Ostrogoti & Unni si aggirano tra le macerie fumanti, compiacendosi coralmente dell’abbondanza di urli, rapine, gemiti, sangue, stupri e rovine…  Credevano forse di resistere ad Attila, questi scemi di Aquileiesi? Ha!

giuseppe verdi, attila, zacharias von werner, temistocle solera, francesco maria piave, andrea maffeiEd eccolo qui, Attila su un carro trainato dagli schiavi, duci, re, ecc…* E prima che noi possiamo farci domande su quell’affascinante ecc…, il coro barbarico accoglie il suo condottiero così:

Viva il re delle mille foreste,
Di Wodano ministro e profeta;
La sua spada è sanguigna cometa,
La sua voce è di cielo tuonar.
Nel fragore di cento tempeste
Vien lanciando dagl’occhi battaglia;
Contro i chiovi dell’aspra sua maglia
Come in rupe si frangon gli acciar.

E Attila (basso) sarebbe soddisfatto, non fosse che il suo fedele schiavo Uldino entra conducendo un gruppo di donne locali che, contrariamente agli ordini, ha salvato per offrirle in dono al Re. Dopo tutto sono una rarità esotica, e hanno pugnato in armi.

Allor che i forti corrono
Come leoni al brando
Stan le tue donne, o barbaro,
Sui carri lagrimando.
Ma noi, donne italiche,
Cinte di ferro il seno,
Sul fumido terreno
Sempre vedrai pugnar,giuseppe verdi, attila, zacharias von werner, temistocle solera, francesco maria piave, andrea maffei

chiarisce Odabella**, il nostro soprano – e chi vuole intendere, intenda. Attila s’innamora sur-le-camp, le offre una grazia a scelta e, quando lei chiede una spada, le offre gentilmente la sua e la lascia libera di vagare a suo gusto per il campo.

Ora, voi sapete che ho una predilezione per le voci gravi, ed è mia convinzione che, in questo come in molti altri casi, nessuna donna sana di mente che non ci fosse costretta dal libretto, potrebbe preferire il tenore al basso e/o al baritono. Ciò detto, se non vi siete fatti l’impressione che Attila sia candidabile al Nobel per la fisica, non so biasimarvi…

E infatti Odabella, che ha un padre e un moroso da vendicare, gioisce tra sé – perché quella spada non ha intenzione di usarla al posto delle forbicine da ricamo. E Attila si stupisce di come l’ardire e la bellezza di Odabella dolcemente gli fiedano il cuore. 

Ma non distraiamoci. La guerra è guerra, e Attila manda tutti quanti per la loro strada, perché ha da ricevere l’inviato di Roma.

E l’inviato di Roma altri non è che Ezio, il nemico preferito di Attila, quello che gli ha rifilato una batosta di tutto rispetto ai Campi Catalaunici – e l’abbiamo già capito, ad Attila piace la gente tosta, purché non se ne venga con proposte di pace…

Peccato che Ezio se ne venga a proporre qualcosa di peggio della pace. giuseppe verdi, attila, zacharias von werner, temistocle solera, francesco maria piave, andrea maffei

Perché Ezio, vedete, è uno di quei generali di sangue barbaro che sono più fedeli a Roma dei Romani stessi, e la cui lealtà in genere viene ricompensata così così***. Ed Ezio non ne può davvero più dell’imbelle giovine**** Valentiniano che siede sul trono d’Occidente. Seccherebbe molto ad Attila spartirsi con Ezio questo vecchio impero malconcio e tanto bisognoso di una mano energica – o due?

Poffarbacco!

Noi Ezio lo perdoniamo (o almeno sospendiamo il giudizio) perché è un baritono, ma Attila, che non è frenato da queste considerazioni timbriche ed è un nobile re guerriero, s’indigna. Se Roma è così malmessa che il suo eroe più valido pratica tradimento e spergiuro, allora è proprio tempo che gli Unni radano tutto al suolo.

Ah be’, ma se la mettiamo così, Ezio non ha altro da dire, se non: guerra! Dopo tutto, gliele ha suonate una volta, ad Attila, ed è capacissimo di farlo ancora. E i due si separano vicendevolmente furibondi.

Chiudesi il prologo dalle parti della futura Venezia, dove un coro di eremiti accoglie un coro di aquileiesi in fuga, guidati da… Foresto? Possibile? Il comandante e salvatore dei fuggiaschi è un tenore che non è poi così morto come noi e il soprano credevamo, e che si dispera perché la sua bella è prigionera del nemico conquistatore – da cui, incidentalmente, vuole liberare la patria afflitta…

E lo so, suona familiare, ma fidatevi: secolo diverso, continente diverso, costumi diversi, finale diverso. Insomma, abbastanza diverso… oh well.

E con questo siamo soltanto alla fine del prologo. Sarà meglio che ci affrettiamo all’Atto Primo.

E cominciamo con Odabella che vaga nottetempo nei boschi e pensa ai casi suoi, giuseppe verdi, attila, zacharias von werner, temistocle solera, francesco maria piave, andrea maffeifinché non le arriva addosso Foresto travestito da Unno. E forse anche questo vi suonerà vagamente familiare, perché a lei quasi prende un coccolone nel vedersi davanti il moroso redivivo, ma lui è furibondo perché la crede collaborazionista: com’è che se ne gira libera e armata, eh?

E lei fatica un po’, tra giuramenti e citazioni bibliche, a convincerlo che tutto quel che vuole è vendicarsi infilzando Attila con la sua stessa spada.

“E perché non l’hai ancora fatto?” sarebbe la domanda sensata, viste le generali circostanze…

Ma Foresto è un tenore, e invece va in estasi, chiede perdono e i due cinguettano e s’invitano a vicenda a inebriarsi nell’amplesso–

Ma no, cosa avete capito? Opera, Ottocento, censura! Tutto molto casto – e comunque fade to

La tenda di Attila che, in una scena reminiscente del Riccardo III*****, si sveglia da un incubo. Perché insomma, imman gli apparve un veglio, che l’ha preso per i capelli e gli ha ingiunto di lasciare in pace Roma, che il suo incarico divino prevedeva la flagellazione dei mortali, ma Roma è di Dio.

Raccapriccio!

esclama il fedele Uldino – ma Attila si riprende prima di subito, arrossice della sua debolezza e anzi, convoca il coro tutto: armi e bagagli, ragazzi, che si parte per Roma.

Ma…

Che d’è quella religiosa armonia che risponde alle trombe guerriere degli Unni?

giuseppe verdi, attila, zacharias von werner, temistocle solera, francesco maria piave, andrea maffeiÈ Papa Leone, con sei anziani e un corteo di vergine e fanciulli in bianche vesti. C’è anche Foresto, nascosto in mezzo al coro, ma nessuno bada a lui. Cosa più interessante, nel vecchio disarmato, Attila riconosce l’uomo del suo incubo. E, guarda caso, Leone ripete proprio le parole del sogno: basta così, grazie, flagellato abbastanza, Roma no…

Aiuta che alle sue spalle Attila veda un paio di gigantesche figure armate di spade fiammeggianti. Chi l’avrebbe mai detto? Per lo sbigottimento degli Unni e la meraviglia dei locali (e, a quanto pare, di Leone stesso), Attila cade in ginocchio, pronto a prendere, incartare e portare a casa la divina ammonizione.

E qui (soprattutto dalle mie parti), saremmo anche disposti a considerare finita la faccenda. E invece no: è finito solo l’atto primo.

E l’Atto Secondo comincia con Ezio, di umor nero perché il pavido Valentiniano lo riconvoca in tutta fretta a Roma, proprio adesso che si potrebbe dare il colpo di grazia agli Unni in ritirata… ah, dov’è finita la potenza di Roma? Dove andremo a finire? Non ci sono più le mezze stagioni, eccetera.

Ma a interrompere le lamentazioni del generale arriva uno stuolo di schiavi d’Attila, recante richiesta di un abboccamento. E perché mandare uno stuolo di schiavi a parlamentare? Ma perché così ci si può nascondere in mezzo, e poi restare indietro inosservato, Foresto. Foresto che viene a giocare agl’indovinelli. Non chiedermi perché, non ti dico chi sono o come lo so, ma in serata si fa fuori Attila. Tu tieniti pronto e, al segnale, attacca.

E magari sarebbe legittimo dubitare, non vi sembra? Trappola, imboscata, ruse de guerre?

Ma no: ad Ezio non par vero di avere l’occasione di ignorare gli ordini imperiali. Per mal che vada, morirà in battaglia, risparmiandosi il resto del declino di Roma.

E noi facciamo appena in tempo a tornare al campo di Attila, dove Eruli, Ostrogoti & Unni gozzovigliano, e Attila presiede con Odabella al fianco vestita da amazzone, e Foresto si nasconde in mezzo al coro (again)… Facciamo appena in tempo a tornare, dicevo, che arrivano Ezio e i suoi.

E salta fuori che, nonostante il carattere piuttosto truculento dei brindisi, quel che vuole Attila è offrire una tregua e celebrarla con una buona cena. giuseppe verdi, attila, zacharias von werner, temistocle solera, francesco maria piave, andrea maffei

Il che, fanno lugubremente notare i druidi, porta malissimissimo… E se Attila crede di risollevare gli animi con un po’ di musica, sbaglia: il vento interrompe il già non allegerrimo canto delle sacerdotesse e spegne fuochi e lucerne, e tutti cominciano a farsi un nonnulla nervosi. 

Foresto ne approfitta per sussurrare a Odabella che il fedele Uldino è in realtà pronto ad avvelenare Attila; Odabella s’indigna perché Attila lo vuole infilzare lei; Uldino, col veleno in mano, cerca di farsi coraggio; il coro si agita; Ezio torna a proporre alleanza contro Valentiniano; Attila rifiuta sdegnato ma, a mezza via tra Winnie the Pooh e (again) Riccardo III, deve ammettere che:

Oh rabbia! Non sento più d’Attila il cor!

E poi il cielo si rasserena all’improvviso, e potremmo quasi credere a un anticlimax, se non fosse che Attila, nell’ansia di superare il momentaccio, sta per bere. Per bere dal boccale che gli ha portato Uldino…

Ma no! Odabella lo ferma, gli rivela il tentato avvelenamento e, quando Attila, non incomprensibilmente, vuol sapere chi è stato, è Foresto a farsi tenorilmente avanti.

Sensazione.

Attila riconosce il capitano aquileiese che tanto filo da torcere gli ha dato in battaglia – e adesso gliela fa vedere lui.

Poco sforzo, adesso! provoca Foresto.

E Odabella chiede in premio la sua vita.

E Attila acconsente, e ci aggiunge la corona di regina degli Unni, da suggellarsi con matrimonio l’indomani.

E Foresto fugge non senza avere prima maledetto Odabella (again), e dite la verità: non potremmo quasi crederci tornati in Perù?

giuseppe verdi, attila, zacharias von werner, temistocle solera, francesco maria piave, andrea maffeiA riprova del fatto che invece siamo ad Aquileia, Ezio si morde le nocche per il fiasco, Uldino pensa che l’ha scampata bella e che deve un gran favore a Foresto, e il coro non ne può davvero più: facciamogliela vedere, a questi Romani arroganti e avvelenatori, e che diamine!

Sipario.

Atto Terzo, e non ci stupiamo di trovare Foresto nel bosco tra il campo di Attila e quello di Ezio – lui che passa di qua e di là come se nulla fosse. Ad ogni modo, adesso è lì nella terra di nessuno a mangiarsi le unghie al pensiero di Odabella fedifraga. Ed entra Uldino a dire che la sposa è appena salita in automobile partita col corteo verso la tenda di Attila. Ed entra Ezio a chiedere che cosa stanno aspettando. E Foresto vaneggia ancora sull’infedeltà di Odabella. Ed Ezio, con tutta l’aria di avere sentito i vaneggiamenti molte e molte volte, gli fa notare che lui ha in mente cose più importanti di una ragazza poco seria – tipo il destino dell’Impero. Ed entra Odabella vestita da amazzone/sposa/regina******, vaneggiando a sua volta. Si direbbe che lo spettro del babbo sia venuto a tirarle le coperte: ma proprio Attila, doveva sposare? Foresto, ça va sans dire, concorda col fantasma.giuseppe verdi, attila, zacharias von werner, temistocle solera, francesco maria piave, andrea maffei

E mentre Ezio cerca di affrettare i tempi, Odabella si proclama innocente e ultrice, e Foresto non le crede (again)…

Ed Ezio non aveva tutti i torti, perché arriva Attila, cercando la sua novella sposa.

E la trova abbracciata a un riluttante Foresto in presenza di Ezio.

Ops.

Ma come? s’infuria Attila. Lui ha sollevato Odabella da schiava a regina, ha risparmiato Foresto e non ha distrutto Roma – e adesso tutti cospirano contro di lui?

E a noi viene il dubbio che a Solera sia sfuggito qualcosa – o che Piave ci abbia messo parecchio di suo. Siamo sinceri: tra Foresto che passa il tempo a nascondersi tra gli alberi e le comparse e a maledire ingiustamente Odabella*******, Uldino che viene trattato come un figlio e ricambia col veleno, ed Ezio che, baritono o meno, muore dalla voglia di tradire qualcuno fin dal prologo, per chi dovremmo simpatizzare, se non per Attila?

giuseppe verdi, attila, zacharias von werner, temistocle solera, francesco maria piave, andrea maffeiE mi sembra degno di nota che Odabella dica di non poter consumare il matrimonio con Attila perché lui le ha ucciso il padre. Non per altri motivi come, ad esempio, Foresto.

Ma a questo nessuno ha l’aria di badare troppo. Mentre si sentono in quinta le grida dei Romani che assaltano gli Unni già piuttosto su di giri, Foresto parte per pugnalare Attila, ma Odabella lo precede… Anche a voi sembra un gesto da donna innamorata? Ad Attila, devo dire, non molto.

E tu pure, Odabella?

mormora – e poi muore.

E in quella che credo sia la scena più breve della storia dell’opera, guerrieri romani irrompono da tutte le parti per informarci che

Appien sono
Vendicati, Dio, popoli e re!

Sipario.

E insomma, sì. C’erano grandi aspettative per questo Attila. Verdi ne scriveva dicendo che i suoi amici la consideravano la sua opera migliore – con quel genere di tono che implica “lo penso anch’io, ma non lo dico”, e doveva essere il riscatto dopo l’Alzira.

Tutto quel che si può dire è che la carriera di Verdi non fu un progresso trionfale di successi da far crollare il loggione, e che l’Attila andò tutt’altro che male.  

E sapete, tuttavia, quale fu la beffa più maiuscola? Verdi si aspettava grandi cose dai finali secondo e terzo, e invece la Fenice applaudì “con maggior fanatismo” proprio il più patriottico, più risorgimentale, più soleriano atto primo.

Solera, da Madrid, avrebbe potuto trarne tutta la consolazione che voleva.

 

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* Holla, ye pampered jades of Italy… No, scherzi a parte, non è bizzarro che nessuno abbia tratto un’opera dal Tamburlaine di Marlowe? Ci sono almeno un paio di Tamerlani – uno di Haendel, l’altro non ricordo – ma nessuno, per quanto ne so, tratto da Marlowe…

** Un giorno ci chiamerò una gatta.

*** Belisario, anyone? E sì, era Costantinopoli e non Roma – but still.

**** Werner, Solera e Piave ce lo fanno passare per adolescente, ma in realtà Valentiniano nel 452 aveva ben passato la trentina. Ma d’altronde nemmeno l’Imperatore d’Oriente Marciano era poi così tardo per gli anni e tremulo come vuole il libretto… Però così Ezio ci fa una figura vagamente migliore.

***** Altra cosa da cui è strano che nessuno abbia mai tratto un’opera. Almeno per quanto ne sappia. Qualcuno ha qualcosa da segnalare in proposito?

****** No, davvero.

******* D’altra parte, Vedi per primo… C’è una favolosa lettera con cui chiede a Piave di verseggiargli una romanza supplementare per Foresto, su richiesta del tenore russo Ivanoff. Ed è davvero una forma di consolazione leggere che Verdi descrive Foresto come quell’imbecille di amoroso.