A volte vado fuori a cena con gente anche più squadrellata di me, si fa tardi chiacchierando e al dessert si fanno discorsi così. Chi sono i personaggi letterari che detestiamo? Quelli che proprio ci danno l’orticaria? Quelli con cui non vorremmo mai ritrovarci a condividere uno scompartimento in treno – let alone una vita intera? Ecco, questa è la mia lista.
1) Il Pio Enea. Lo so, l’ho già citato altrove, ma non posso farci nulla. Alla sola idea del Pio Enea mi va il latte alle ginocchia e poi si caglia. Questo abbandonatore seriale di mogli e regine, questo rapitore di fidanzate altrui, questo sopraffattore di nemici in combattimento sleale… e ci si aspetta anche che lo ammiriamo.
2) La Piccola Nelln in The Old Curiosity Shop. Non so immaginare che cosa avesse in mente Dickens quando l’ha scritta, questa statuina di zucchero. Eppure pare che all’epoca le folle fossero così ansiose di commuoversi sul fato dell’Angelica Orfanella! Ogni volta che penso alla folla che aspettava i transatlantici al porto di New York per sapere dai passeggeri se la Nell di Boz fosse morta, mi viene in mente Oscar Wilde: “Bisogna avere un cuore di pietra per leggere la morte di Nell senza ridere.”
3) Amelia Sedley, nella Fiera delle Vanità. Quanto bisogna essere stupidi per non accorgersi che George è un idiota fatuo, per credere pervicacemente che Becky sia una cara ragazza, per non vedere nemmeno il povero e devoto Dobbin? Che poi, ripensandoci, anche il povero e devoto Dobbin merita la sua parte di biasimo: quanto bisogna essere stupidi per innamorarsi di Amelia e restarlo per decadi?
4) Frodo Baggins. Frodo parte innocuo, simpatico e leggermente buffo, da buono hobbit. Poi comincia ad assumere quel contegno nobile e sofferente e superiore e, ad essere del tutto sincera, da metà de Le Due Torri in poi sono pronta a buttarcelo io, giù da Monte Fato.
5) Il Piccolo Lord Fauntleroy. Oh, per amor del cielo! E’ davvero signorile, da parte del nonno, non affogare l’impiastro nello stagno delle carpe.
6) Antonio, l’eponimo Mercante di Venezia. Non è che Shylock sia una cara persona, ma Antonio che lo insulta e lo umilia, salvo supplicarlo di prestargli il denaro e di concedergli la proroga, per poi tornare agli insulti e alle umiliazioni nel momento in cui è fuori pericolo, è insopportabilmente peggio.
7) Pollyanna. Lei e il suo gioco della felicità. Lo so: si suppone che la trovi tenera, adorabile e un monumento all’ottimismo, ma credo che a questo punto si sia notato che possiedo un certo quale spirito di contrarietà. Più l’autore m’ingiunge di adorare un personaggio, più è facile che lo detesti.
8) Il Giovane Werther. Sveglia, ragazzo, sveglia! Intanto che lui ci rimugina su, che bacia i bigliettini e si fa andare la sabbia fra i denti, che gioca con i fratellini, Lotte ha sposato un altro. E credete che lui si rimuova? Nemmeno per idea. Resta lì, rende infelice sé stesso e Lotte, e anche Albrecht, che non ha nessuna colpa. E per coronare il tutto, si suicida con la pistola di Albrecht, chiesta in prestito a Lotte. Bestiaccia meschina!
9) Antonina, nel Count Belisarius di Graves. Come, come, come può Belisario – non dico innamorarsi, ma restare innamorato per tutta la vita di questa donna volgare, intrigante e voltagabbana?
10) Pinocchio. Capisco che è di legno, ma solo io ho l’impressione che si butti con criminale allegria in tutte le situazioni stupide e pericolose che gli si parano davanti? Non sono mai riuscita a dispiacermi per Pinocchio, nemmeno da bambina.
Ecco qui. Mi si dice che dovrei detestare la gente malvagia, non le brave persone, non i protagonisiti eponimi, non le deliziose bambine e i valorosi eroi. Che posso farci? Si vede che, nella mia percezione tortuosa, ci sono crimini peggiori delle azioni malvagie propriamente dette. Magari, come diceva il mio maestro delle elementari, sono dura d’animo.
E voi, o Lettori? Che gente di carta detestate?



C’è Emily Brontë, per esempio, che di romanzi ne scrisse davvero uno solo, per il drastico e inoppugnabile motivo che poi morì. Wuthering Heights, inizialmente bollato dai critici come il rozzo sforzo di un illetterato giovanotto dello Yorkshire, fu un successo colossale – in parte forse proprio per le corrispondenze tra l’autrice e i suoi personaggi: una giovane donna solitaria e ostinata, con due sole passioni: la desolazione ventosa delle brughiere e le sue storie… A questa immagine di Emily contribuì non poco Charlotte, che descrisse l’adorata e defunta sorella alla sua prima biografa, Mrs. Gaskell in termini alquanto idealizzati. Ed ecco Emily, the wild child of genius and nature, col suo capolavoro perfettamente spontaneo e irripetibile. Tutto molto romantico, ma leggendo lettere e diari ci si fa l’idea di una ragazza un nonnulla bisbetica, chiusa nel suo mondo immaginario oltre ogni ragionevolezza – per non parlare del fatto che WH fu preceduto da una quantità di scritti giovanili e di poesia. Leggenda e Mrs. Gaskell vogliono che Emily stesse lavorando a un secondo romanzo, il cui manoscritto incompiuto bruciò poco prima di morire. Affascinante ipotesi, ma chi può dire? 
Di Manzoni, per contro, sappiamo tutto, ma siamo sinceri e brutali: chi si floccipende granché della Storia della Colonna Infame, degli Inni Sacri, del Conte di Carmagnola e anche dell’Adelchi? Sì, tutti abbiamo studiato a memoria Il Cinque Maggio e abbiamo “Ei fu…” piantato tra i lobi come un riflesso automatico, ma in realtà Don Lisander è l’uomo dei Promessi Sposi, pilastro della letteratura nazionale dalle molteplici edizioni, grondante acqua dell’Arno, croce e delizia di generazioni di ginnasiali. Oltretutto, è davvero l’unico romanzo del suo autore, per cui la definizione regge più che in altri casi. 
E poi può esserci il caso di gente che, nel bel mezzo di una carriera senza lampi, produce una singola gemma. Vi ricordate di Pat O’Shea, l’Irlandese che scrisse La Pietra Del Vecchio Pescatore? Ecco, Pat O’Shea le provò tutte: era una mediocre autrice teatrale, non combinò nulla come autrice televisiva, produsse un certo numero di racconti senza lode e senza infamia e non riuscì mai a pubblicare il suo romanzo a fumetti. Però poi cominciò a lavorare su un romanzo per bambini basato sui miti irlandesi. Non perché volesse pubblicarlo in particolare – a quello credeva di avere rinunciato – ma perché voleva farlo, per se stessa e per i suoi. E ci lavorò per 13 anni, e alla fine il risultato fu il meraviglioso, incantato, poetico The