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L’Eleganza Del Libro (Elettronico)

Tre anni fa, quando ho comprato il mio Kindle (pittikins, come passa il tempo!), sul sito di Amazon.com c’era una pagina in cui si diceva che Kindle poteva non profumare di carta, ma riproduceva esattamente la caratteristica più elegante del libro cartaceo: la capacità di scomparire. Nel momento in cui ci si immerge nella lettura, il supporto scompare, e ciò che conta è la storia che si sta leggendo. Sto citando a memoria, e probabilmente sono imprecisa, ma il sugo del discorso era quello.

Ricordo di avere pensato, a una prima lettura, che l’idea fosse ben trovata, ma ero ancora un pochino scettica sulla capacità di scomparire di un arnese che sembrava, a tutti gli effetti, un piccolo frigorifero.

Qualche tempo più tardi, dopo avere letto il mio primo libro su Kindle, ho dovuto ammettere che Amazon non millantava affatto. Nel giro di qualche capitolo, schiacciare un bottone per procedere era diventato naturale come voltare una pagina: Kindle scompariva con la stessa quieta efficienza di un libro di carta.

Più di recente, dopo avere fatto esperienza di odoratori di libri che mi considerano una specie d’iconoclasta perché leggo libri elettronici, mi è venuto il dubbio che con quel discorso Amazon stesse mettendo le mani avanti, facendo notare come, andando al sodo, il Kindle non fosse poi così diverso dal libro.

Adesso quella strategia di marketing sembra essere stata abbandonata, sacrificata alla battaglia con Apple, al touch screen a colori e all’incombere degli enhancements. La priorità di Kindle non è più quella di scomparire…

Peccato, mi vien da dire.

Ma, non so se ci abbiate badato, di recente qualcun altro ha ripreso l’idea della capacità di scomparire e l’ha sviluppata in forma più narrativa.

Avrete senz’altro visto la pubblicità di Kobo…

Rieccoci qui, visto? Non che cosa è Kobo, ma chi.

Perché Kobo non è un lettore. Kobo è i personaggi, le storie e i libri che ami. Che i libri siano da leggere dove e quando il lettore vuole è quasi un afterthought: la cosa importante è che Kobo scompare talmente bene da diventare il personaggio, la storia, il libro.

O meglio, un’abbondanza di personaggi, storie e libri da portarsi comodamente in tasca. Avrai, O Lettore, tutti i libri che vuoi, sempre con te – e non temere che l’arnese su cui li leggerai frapponga una distanza. Comincia a leggere, e ti dimenticherai che ci sia.

Si direbbe che le cose non siano cambiate poi troppo in tre anni, e che ci siano ancora due modi per commercializzare un e-reader: puntare sulla differenza tra lettura tradizionale e lettura elettronica, oppure sulla mancanza di differenze sostanziali. E si direbbe che Kobo, almeno per ora, si rivolga a quel pubblico che da un e-reader vuole, tutto sommato, la stessa cosa che vuole dal libro cartaceo: leggere.

Digitalia · Gl'Insorti di Strada Nuova

La Nuova Strada (Digitale)

Mi pare di avervelo detto: ho deciso di ripubblicare Gl’Insorti di Strada Nuova in versione digitale.

Lo sto facendo da sola in più di un senso: da un lato mi pubblico da me, perché lo vedo succedere in modi che mi piacciono – anche se per ora succede più che altro across the Pond, perché ho fiducia in questo nuovo genere di editoria, e per il serissimo motivo che non vedo l’ora di potermi definire indie author. E in secondo luogo, sto facendo tutto da sola – grafica, design interno, conversioni, promozione… Se tutto va bene, lo vedrete succedere un po’ per volta.

Auguratemi buona fortuna, intanto, e lasciate che vi racconti come sta andando.

Per prima cosa ho ripreso in mano il libro. Sono passati sei anni da quando Strada Nuova è uscito per la prima volta, e fra sette e otto da quando l’ho scritto. Mi lusingo di avere imparato qualche piccola cosa da allora, craft-wise – non foss’altro che in materia di formattazione.

Così, per esempio, ho cambiato il formato dei dialoghi.

– Quando ero giovane e innocente scrivevo i dialoghi con i trattini. – Ammise la Clarina. – Mettevo un trattino all’inizio di ogni battuta, e qualche volta dei trattini alla fine, secondo tutta una serie di criteri. –

Non era una buona idea per vari motivi. Non era particolarmente bello, non era granché chiaro, Word tendeva a correggere il trattino semplice in trattino lungo, e i trattini stessi migravano di loro iniziativa in strane posizioni appena mi distraevo.

“Adesso i dialoghi li scrivo con le doppie virgolette,” disse la Clarina. “Non vi pare che stiano molto meglio?”

E avrete notato anche un’evoluzione nell’uso della punteggiatura. Non sono inflessibile come gli Anglosassoni, la maggior parte dei quali morirebbe piuttosto che finire una battuta di dialogo con un punto se dopo c’è un tag. Sostengo e sempre sosterrò che in certe situazioni il punto è l’unica soluzione logica, perché c’è differenza tra:

“Un punto è un punto e una virgola è una virgola,” disse Luigi.

E:

“Un punto non sarà mai una virgola, e viceversa.” Luigi annuì all’indirizzo della libreria, compiaciuto della propria saggezza.

Nel secondo caso non c’è un vero e proprio tag, giusto? L’azione è correlata alla battuta, ma non ne è parte in senso stretto… Ma non smarriamoci in minutaglie tecniche. Il fatto è che ormai sono talmente abituata a questo uso della punteggiatura che mi ha fatto tenerezza ritrovare la vecchia maniera.

Meno tenerezza mi ha fatto l’ossessione che da fanciulla nutrivo per i sinonimi del verbo dire. Non ero ancora passata per la scuola dello He Said She Said, e i miei personaggi mormoravano, concedevano, ammettevano, sussurravano, protestavano, insorgevano, ammettevano, rimuginavano, borbottavano, brontolavano, ridevano… mai che dicessero una volta. E sono quelle cose da scrittore novellino, come gli avverbi a pioggia monsonica. Now I know better, ma non ho sistemato proprio tutto. Ho lasciato avverbi, sinonimi e magagne varie nelle pagine del romanzo vero e proprio, perché “Irene”, l’autrice de Gl’Insorti di Strada Nuova, è una scrittrice alla prime armi come lo ero io all’epoca. Ora, nel corso di questi anni ho constatato un paio di cose: una è che i lettori smaliziati notano la sovrabbondanza di condimento; l’altra è che in teoria il condimento in eccesso dovrebbe essere asciugato in fase di editing, ma in pratica arriva in stampa in tutta la sua gloria molto più spesso di quanto sia bello pensare.

Cosicché ho asciugato solo un po’ lo stile di Irene, ma ho fatto sì che alcuni tra i miei/suoi venti lettori notino gli avverbi, si spazientiscano dei tags e, in generale, levino gli occhi al cielo per le acerbe doti di narratrice della pur pubblicata fanciulla.

E a questo punto forse cominciate a nutrire qualche curiosità nei confronti della struttura? Chi diamine è Irene? Non sono io l’autrice di questo libro? E da dove saltano fuori i lettori?

Temo che per saperlo dovrete aspettare ancora un po’, ma intanto, se volete, potete dare un’occhiata al vecchio incipit.

La struttura, dicevamo. Di quella non ho cambiato nemmeno una virgola. Ne sono ancora soddisfatta – e d’altro canto dovrebbe essere il punto di forza del romanzo…

Un’altra cosa mi ha dato da pensare. Strada Nuova, l’avrete intuito, è un romanzo storico solo in via obliqua e meta. Ci si parla parecchio di lettura – in particolar modo del rapporto tra lettore e libro. Ed è ambientato appena prima degli anni in cui è stato scritto, quando Internet era ancora un’entità misteriosa per molti, quando nessuno aveva idea di che cosa fosse un e-book, quando di libri non si discuteva su Twitter. La tentazione di sventrare e riscrivere from scratch, trasportando tutto ai giorni nostri, è stata forte. Alla fine ho deciso di non farlo – almeno non per adesso – e di lasciare che Strada Nuova restasse una specie di tributo alla lettura pre-digitale.

Ecco. Adesso ho messo da parte il testo sistemato. Prima di sottoporlo un ultimo safari pre-conversione intendo lasciarlo frollare per qualche giorno, e intanto ho spostato le mie attenzioni alla copertina. Vi racconterò le mie vicissitudini grafiche in qualche prossimo futuro – e per allora conto di avere anche qualche cosa da mostrarvi.