C’era una volta il Libro da Borsetta.
E in realtà forse c’è ancora, e non è del tutto estinto – ma non sa fare a meno di colpirmi come una specie a rischio…
Adesso vi spiego. Continua a leggere “Il Libro Da Borsetta – Brevi Cenni”
il Blog di Chiara Prezzavento
C’era una volta il Libro da Borsetta.
E in realtà forse c’è ancora, e non è del tutto estinto – ma non sa fare a meno di colpirmi come una specie a rischio…
Adesso vi spiego. Continua a leggere “Il Libro Da Borsetta – Brevi Cenni”
E se vi dicessi che il Teatrino d’Arco, benché chiuso, non è fermo?
Certo, se le cose fossero normali, se il mondo non fosse cambiato in modi che mai avremmo immaginato, saremmo nel bel mezzo del terzo giro di repliche di Canto di Natale, e in attesa di un debutto per la sera di San Silvestro… E se tutto fosse andato anche solo un po’ meglio di quanto sia andato, staremmo rappresentando qualcosa di nuovo e di adatto ai tempi – pochi attori in scena, pubblico limitato, scenografie ridotte e suggestioni immutate, perché una delle magie del teatro è che sa funzionare in ogni dimensione.
Invece abbiamo tutti sotto gli occhi la situazione, e sappiamo che i teatri sono chiusi fino a data da destinarsi… Sipario chiuso, luci spente, platea vuota.
Però…
Però l’Accademia Campogalliani non si ferma, e abbiamo deciso di offrire un’alternativa. Un’alternativa tecnologica, un’alternativa a distanza. Un’alternativa.
Un piccolo cartellone natalizio di spettacoli interpretati dagli allievi dei nostri corsi e riproposizioni di vecchi successi, in diretta o registrati, accessibili in via digitale:
Lunedì 21 dicembre, ore 20.30 – Donne da Palcoscenico
Martedì 22 dicembre, ore 20.00 – Natale con Delitto
Mercoledì 23 dicembre, ore 18.00 – Un Natale da Favola
Venerdì 25 dicembre, ore 17.00 – Canto di Natale, di Charles Dickens
Sabato 26 dicembre, ore 17.00 – Canto di natale, di Charles Dickens
Martedì 5 gennaio ’21, ore 17.00 – Il Fantasma di Canterville, di Oscar Wilde
Mercoledì 6 gennaio ’21, ore 17.00 – Il Fantasma di Canterville, di Oscar Wilde
Che ne dite? Volete unirvi a noi in queste feste a distanza, per vivere e rivivere la magia del palcoscenico – seppure da lontano? Tenete d’occhio la nostra pagina Facebook: oltre a permettervi di accedere ai link per vedere gli spettacoli, è un buon modo per non perdersi novità e aggiornamenti. E poi, naturalmente, c’è il nostro sito.
Nonostante le porte chiuse, il Teatrino è aperto e più vivo che mai. Noi, una volta di più, ci siamo.
Qualche giorno fa, in uno scambio di e-corrispondenza con un amico inglese, si è venuti a ricordare gli albori dell’e-publishing, e la discussione che ne era nata – o, sotto certi aspetti, che non ne era nata affatto.
Ora, è passato un sacco di tempo e non mi aspetto che ve ne ricordiate – ma nei primi anni Dieci Senza Errori di Stumpa era un blog più impegnato e meno lackadaisical di quanto sia adesso, e si occupava con una certa intensità di editoria digitale. Allora scrivevo e leggevo in proposito, andavo a convegni come Librinnovando (che mi par di capire non esista più) e seguivo il dibattito sull’allora presente e futuro dell’editoria… Ero molto presa dalla faccenda, e a un certo punto tenni addirittura un seminario in proposito all’Accademia di Belle Arti di Macerata…
Poi mi sono persa per strada – ma non è questo il punto. Il punto è – e ne ho trovato conferma andando a rileggermi una certa quantità di post scritti all’epoca – che il dibattito sulle potenzialità dell’editoria digitale, pur promettente, all’epoca non dava segno di andare da nessuna parte. Sotto certi aspetti strettamente editoriali, naturalmente si è raggiunto un assestamento: il rapporto tra editore, autore e lettore, il self-publishing, il recupero dei testi fuori stampa, l’editoria on-demand… erano questioni che si dibattevano in ambito anglosassone – ma poco o nulla qui da noi. Adesso mi pare che ci sia, se non altro, uno stato di fatto per tutto questo? In realtà non ne sono certa – perché, come dicevo, non frequento più gli ambienti in cui se ne discute. In realtà, come vanno le cose?
Un altro argomento d’interesse all’epoca era come scuole, biblioteche e istituzioni culturali in generale potessero non solo adattarsi al nuovo stato di cose – ma abbracciarlo e giovarsene. Dei passi si sono indubbiamente fatti – e in questi tempi di scuole e chiuse e biblitoeche inaccessibili se ne vede qu ripresa o un’accelerazione – ma mi chiedo, e davvero non è una domanda retorica: le speranze di rivitalizzazione digitale delle biblioteche che si ventilavano all’epoca si sono realizzate, almeno un pochino?
Ricordo invece con perplessità estrema il fiorire di cose come gli enhancements – di fatto lettura assistita, se lo chiedete a me – e idee di didattica in pillole… Ricordo ebook per bambini in cui si supponeva che l’implume dovesse far tutto fuorché leggere. Ricordo percorsi didattici fatti di approfondimenti video di un paio di minuti. Ricordo ebooks provvisti di colonna sonora e ogni genere di fischietti e campanelli. Ricordo di essermi chiesta con qualche sgomento che genere di lettori potesse uscire da esperimenti del genere… Che destino si riservasse alla soglia di attenzione, all’immaginazione del lettore, alla capacità di estrapolare, alle competenze generali della lettura complessa… Mi par di capire (con qualche sollievo, non lo nego) che gli enhanced ebooks non abbiano preso piede. Ma nei campi dell’infanzia e della scuola?
E infine c’era l’aspetto delle potenzialità narrative del nuovo mezzo. Di questo si parlava meno nei convegni che tra scrittori – ma il fermento c’era: la possibilità di strutture non lineari e non univoche, prima di tutto. L’andamento non cronologico non era una novità – ma forse, forse finalmente c’era il modo di svilupparlo in forme multidimensionali, in cui il lettore si potesse muovere in molteplici direzioni… Erano idee complesse ed eccitanti, la possibilità di integrare forma e contenuto in una vera svolta. Qualcosa di diverso e nuovo… E una volta di più mi devo chiedere: è successo qualcosa in proposito, mentre io non guardavo? Non parlo del singolo esperimento isolato, ma qualcosa di significativo?
Alas, ne devo dubitare un po’. Magari mi sbaglio – e davvero, tutti i punti interrogativi di questo post non sono retorici: domando per sapere. Quel che non mi incoraggia troppo, è lo scambio di mail di cui parlavo prima. C. mi racconta di avere proposto a più di un editore, a suo tempo, questo genere di narrazioni non lineari in formato digitale. E non stiamo parlando di pitches per lettera – C. essendo a sua volta un piccolo editore e bene inserito nell’ambiente. Ma…
È andata a finire che, dopo avere combattuto in infinite riunioni su come applicare gli standard e che cosa farne, ho rinunciato del tutto – perché gli editori sono tra le persone di più scarsa immaginazione che io conosca – e volevano soltanto che gli ebooks fossero il più uguali possibile ai libri stampati. Che occasione perduta!
E questo nel mondo editoriale anglosassone – che ho sempre trovato infinitamente più ricettivo…
Quindi davvero non so – e chiedo: è soltanto una mia impressione o davvero le possibilità, il dibattito, il fermento si sono afflosciati su una frazione di ciò che sarebbe potuto essere? Ha ragione C., e tutto si riduce a un’occasione perduta – almeno dal punto di vista narrativo – mentre non guardavo?
Perché visto da qui, ho l’impressione che l’unica cosa ancora viva sia la battaglia sul profumo della carta, alas…
Pinterest, sì… oh dear.
Sono entrata in Pinterest ai tempi in cui ci si entrava su invito. Non è più così, vero? In realtà non lo so – perché, appunto, ci sono entrata anni e anni fa, su invito di un amico, e con un certo divertito scetticismo. No, perché davvero: mi si era detto che era terribilmente addictive, ma che poteva esserci mai di così interessante nel raccogliere figurine digitali? Così creai una piccola bacheca chiamata History, Stories, Books and Theatre, ed ero convinta che non sarei mai andata oltre, perché davvero: figurine digitali…?
Un paio di giorni e svariate centinaia di figurine più tardi, Pinterest era diventato il mio nuovo Pozzo delle Ore Perdute. Il giusto contrappasso per il mio divertito scetticismo, immagino.
Ma quando me ne resi conto, era troppo tardi. Cominciai a creare bacheche per libri prediletti, velieri, nevicate cinema muto e altre ossessioni, e poi per cose che ossessioni non erano – dal piccolo artigianato alle combinazioni di colori ai rapaci notturni… E mi sentivo in colpa da matti per tutto il tempo che dedicavo alla cosa – ma nondimeno…
Poi arrivarono le bacheche dedicate al teatro: una per le mie cose rappresentate, una per le luci, una per i costumi, una per le scenografie – e questo cominciava ad avere un’aria un pochino più seria e utile, abbastanza per acquietare un nonnulla la mia coscienza. E intanto il conto delle Ore Perdute lievitava.
E poi fu la volta delle bacheche dedicate alla scrittura: il disastro, la beresina procrastinativa… pincrastinazione? Alas, mi piace avviare una bacheca per ogni nuovo progetto, e mi piace avere un posto dove raccogliere immagini rilevanti, idee visive, suggestioni, links e atmosfere – e tanto più perché, lasciata a me stessa, non sono una persona terribilmente visiva. Il problema è che mi piace un po’ troppo. È terribilmente facile convincersi di star facendo qualcosa di utile writing-wise – e tutti sappiamo dove conduce questa strada, vero?
Quindi sì, lo confesso: mi chiamo Chiara, e ho una dipendenza da Pinterest. Lo trovo tanto utile quanto dilettevole, ed è persino diventato parte del mio processo di scrittura – ma non è di nessun aiuto nella mia costante lotta alla procrastinazione.
Ogni tanto ho l’impressione di disintossicarmi, e poi ci ricado. Una nuova bacheca per un motivo o per l’altro, qualche immagine di qua e di là, un’idea cui associare un’immagine… ed ecco che sono ricaduta giù per la tanta del Pinconiglio. È successo di nuovo ieri, per dire – hence questo post.
Non so che dire. Passerà. O non molto. E… non per volervi trascinare lungo sentieri pericolosi – ma, in caso vi siate incuriositi, le mie bacheche sono qui.
Ed eccoci qui – l’avevamo detto.
Bric-à-Brac è disponibile su Amazon.
Tutto sommato, in questo libro c’è proprio quel che dice l’etichetta: sette storie. E (anche questo lo dice il titolo) storie d’altri tempi, per lo più – con un’eccezione infilata nel mezzo. Ma a dire la verità anche nell’eccezione si parla di storia, seppur brevemente, perché è così che funziona qui. Si raccontano cose dei secoli passati – cose che potrebbero essere successe oppure no. Per parafrasare la vecchia versione cinematografice di The Prince and the Pauper:
Questa non è storia – solo racconti di tempi lontani. Forse è andata così, forse no, ma sarebbe potuta andare così.
E in fatto di tempi lontani troverete Ottocento e antichità classica, troverete tartarughe, medici e fantasmi, troverete storie tristi e storie buffe… Dalla Magna Grecia all’Inghilterra vittoriana, dalla Mantova medievale alla Vienna degli Asburgo – sette storie sul serio o per gioco, alla ricerca di quel che non sappiamo più.
Sette storie, dicevo:
I ricordi della canzone
La stagione delle saette
Veglia
Le morte stagioni e la presente
Fàstaf
Il fantasma di Passerino
La ricompensa
Andate qui per scaricare o leggere online un’anteprima, intanto – e poi… Potrebbe essere una Santa Lucia tardiva, o una lettura natalizia, o un regalino per l’appassionato di storia tra i vostri amici…
E se, dopo avere letto, aveste voglia di lasciare una recensione, vi sarei molto grata.
E così ci siamo. Lunedì Bric-à-Brac – sette storie d’altri tempi, il mio ebook di racconti, sarà disponibile su Amazon.
Intanto, giusto per incuriosirvi, ecco la copertina…
E, per incuriosirvi ancora di più, un assaggio del racconto Veglia :
“Dio vi benedica, signore, perché io non potrò mai ringraziarvi abbastanza…”
Thomas Addison annuì, brusco e corrucciato, senza saper come districarsi dalle grosse mani arrossate che gli afferravano la manica.
“Su, Molly, ora basta,” Alan Taft trattenne la donna per le spalle insciallate. “Il Dottore sa che gli siete grata, e farà tutto il possibile per Tim.”
Addison si sciolse dalla stretta e, con un ultimo aggrottar di sopracciglia a quello che era stato il suo migliore allievo, si affrettò via, lungo i corridoi di Guy’s Hospital, nella luce grigia del crepuscolo invernale che pioveva dai finestroni.
Tutto il possibile, mormorava tra sé, mentre saliva verso lo studio, tanto aggrondato che le infermiere si scostavano ancor più leste del solito al suo passaggio. Tutto il possibile.
***
Come c’era da aspettarsi, si bussò alla porta mentre ancora Addison armeggiava con il lume sulla scrivania.
“Avanti,” ordinò il dottore, e non fu sorpreso di vedere Taft sulla soglia.
“Avete visto giusto, credo,” brontolò, accennando al giovane di entrare. “Anemia, debilitazione generale, e quella pigmentazione scura della pelle. È proprio la mia malattia. Ho sempre pensato che aveste un buon occhio clinico, Taft.” Troppo buono per sprecarlo in qualche ambulatorio dei poveri negli slums… Addison ingoiò la tirata. Non che si fosse rassegnato, ma dopo due anni era chiaro che nessuno sfoggio di malumore avrebbe riportato il giovane idiota a Guy’s.
Taft scosse il capo e distolse lo sguardo.
“Dottore, se ho detto alla madre che…”
“Non m’importano le bugie pietose che dite a quella donna,” lo interruppe Addison. La fiammella del lume crepitò, accendendo scintille dorate nella collezione di vetrini, becchi e provette allineati sui tavoli. “Quel che conta è che voi sappiate che tutto il possibile è meno di nulla. C’è di buono che mi avete portato il mio primo caso infantile da studiare. Peccato solo che arriviate troppo tardi per la pubblicazione… mi sarebbe piaciuto citarvi, ma sarà per la prossima volta. C’è ancora tanto da cercare, da scoprire.”
Taft si strinse nelle spalle, e diede un pallido sorriso.
“Non sperate mai, Dottore, che da qualche parte, nell’ignoto che esplorate, ci sia qualcosa che serva a salvare i vostri pazienti – qualcosa, al di là delle ipotesi e delle speculazioni?”
Addison gettò al giovane uno sguardo sorpreso. “Sapete, mio padre mi voleva avvocato, ma ho scelto la medicina perché mi pareva che vi fosse più verità da trovarvi che nelle aule di tribunale. Questo m’interessa: la verità. E verità e speranza non si accordano mai troppo bene.”
“Eppure,” sospirò Taft, mentre stringeva la mano del suo vecchio professore per congedarsi, “io credo che debba esserci qualcosa persino al di là della verità che ancora non conosciamo. Varrebbe davvero la pena di cercare, se non fosse così?”
Thomas Addison rimase a guardare il giovane che se ne andava, tirandosi pensosamente i favoriti color ferro.
…
Addison, straordinario medico e diagnosta, scoprì una decina di malattine – alcune delle quali portano ancora il suo nome e capì per primo come diamine funzionasse davvero l’appendicite. Era anche un ammiratissimo docente al Guy’s Hospital di Londra, ma brusco e più che un tantino misantropo, molto più interessato alla ricerca che ai pazienti… una specie di Dottor House ante litteram. Che cosa farà mai con il suo primo caso infantile?
Veglia si trova in Bric-à-Brac – sette storie d’altri tempi.
Su Amazon.
Lunedì.
I racconti che, dice Neil Gaiman, sono viaggi all’altro capo dell’universo – ma senza fare tardi per la cena… All’altro capo dell’universo, oppure all’altro capo della storia. O in qualche punto in mezzo.
Parlavamo di Gentleman in Velvet, che ha attraversato l’Atlantico. Ma non è il mio unico racconto. È abbastanza raro, a dire la verità, che mi sieda a scrivere con l’idea di scrivere un racconto. O almeno lo è adesso. Non è come se non l’avessi mai fatto ma, da qualche anno a questa parte, questo genere di lavoro deliberato è più o meno riservato al teatro. I romanzi poi sono un’altra faccenda. Magari c’è gente che si sveglia con l’idea di un romanzo, comincia a scriverlo, procede e finisce. Ebbene, gente di questo genere, chapeau. Io non appartengo alla categoria. Per me i romanzi sono una faccenda da meditarsi a lungo, documentare in abbondanza e scrivere avendo una ragionevole idea di dove si stia andando a parare. Poi le soprese accandono – oh, se accadono! – ma almeno in partenza preferisco avere una direzione in cui muovermi.
I racconti, invece…
I racconti, da qualche anno in qua devono farsi strada a botte e gomitate per essere scritti. Idee che mi piacciono, ma con un arco troppo piccolino per un romanzo, e inadatte a diventare un play o un monologo. Cose con cui posso negoziare: d’accordo – 3000 parole e non di più, poi mi lasci in pace.
Un tempo si facevano avanti subito prima o subito dopo Natale – come preparativo dicembrino extra o come maniera per smaltire le paturnie di gennaio… Adesso queste cose tendono a sfogarsi in atti unici. E a proposito, non è detto che prima che poi non dobbiamo parlare anche di questo – ma oggi no. Oggi parliamo di racconti.
Perché mi è venuto un uzzolo, sapete.
L’uzzolo di racimolare una manciata di racconti – storie di secoli passati, per lo più – e di raccoglierli in un ebook. Un uzzolo così – e avrei potutto ignorarlo e procedere in altre direzioni, ma non l’ho fatto. Così i racconti li ho racimolati per davvero. Sette in tutto. Storie di secoli passati, per lo più – e no, non siete sopresi, non lo siete affatto. Non adesso. Magari al momento lo sarete, almeno un pochino… Staremo a vedere.
Al momento l’ebook è in via di preparazione, un po’ alla volta – copertina, margini, carattere e tutto il resto – e si sarebbe potuto chiamare in una mezza dozzina di modi. Invece, alla fine fine, si chiamerà così:
E ne riparliamo fra un paio di settimane, quando ormai sarà dicembre.
Avete mai pubblicato – o avuto intenzione di pubblicare – un ebook? E allora, odds are che vi siate trovati davanti alla maiuscola questione della copertina.
Ah, la copertina.
Il primo strumento di vendita, la faccia del libro, l’arnese che deve catturare l’attenzione del potenziale lettore fin dal momento in cui è solo un thumbnail fra decine di altri thumbnail…
E tutti siamo stati tentati di dire: E che ci vuole? Chi fa da sé fa per tre, giusto? Ci si arma di Photoshop o qualcosa del genere, si cerca uno di quei siti di immagini stock – ed è fatta.
E però tutti abbiamo anche ripetutamente sentito o letto che nulla assassina le possibilità di un ebook come una copertina dall’aria dilettantesca. Proporzioni sbagliate, fonts un po’ così, o illeggibili, o combinati male, o inadatti al genere o all’immagine… Se bbiamo scritto qualcosa e lo abbiamo pubblicato o vogliamo pubblicarlo elettronicamente, diamo per scontato di essere anche degli avidi lettori – e siamo sinceri: quante volte abbiamo rabbrividito davanti a una copertina un po’… così?
Perché il fatto è, si direbbe, che non bastano una bella immagine e decine di font a disposizione. Bisogna avere un’idea di quel che si fa. La soluzione ovvia è che là fuori ci sono legioni di bravi grafici che sanno quello che fanno. Se ne trova uno e ci si affida. Ma la soluzione ovvia, naturalmente, è anche quella costosa – perché un bravo grafico, come è giusto, non lavora per nulla – e questi sono tempi di vacche magre. E per di più, come si scova tra i tanti un grafico davvero bravo che abbia tempi ragionevoli, con il quale si possa discutere e il cui lavoro sia adatto a quel che abbiamo scritto? Oh, ci si riesce – ma il processo può essere lungo e frustrante, e contempla un certo margine di trial & error.
E allora? Ci sono modi per limitare i rischi dell’opzione fai-da-te?
Be’, vi dirò che ieri ho scoperto Canva. Premetto che ci sono arrivata tramite Guy Kawasaki – dunque possiamo dire che l’arnese ha buone referenze. Ma di che si tratta, di preciso?
Ebbene, Canva è un sito che, tramite un’interfaccia molto intuitiva e una sterminata collezione di immagini e templates, vi consente di mettere rapidamente insieme una copertina, del materiale da social network, una locandina e altre cose utili. Ieri ci ho giocato un paio d’ore, e mi pare che l’insieme bilanci piuttosto bene tra possibilità e guida. È possibile scegliersi un template e seguirlo, con la ragionevole certezza di non fare nulla di troppo tacky, oppure si può modificare quel che c’è, o partire from scratch. Si possono manipolare le immagini (davvero tante e a buon mercato), oppure caricare le proprie… Forse non c’è spazio per enormi voli di fantasia, ma i margini di manovra sono ragionevoli. Di buono c’è anche che il risultato viene salvato automaticamente con le dimensioni e le specifiche richieste da KDP – ma si può impostare secondo i parametri di altre piattaforme. E per chi volesse qualche dritta, ci sono anche numerosi tutorial chiari e sensati.
Insomma, Canva è la soluzione ideale e definitiva?
Be’ no – e di sicuro non da solo. Canva offre buoni suggerimenti e ne facilita enormemente l’applicazione in un modo solo parzialmente standardizzato – ma in sostanza fa quel che noi gli diciamo di fare. E quel che va davvero fatto per catturare l’attenzione, per spiccare senza eccessiva eccentricità e senza confondere… ah, quello è un cavallo di tutt’altro colore.
Per quello non c’è scorciatoia: bisogna studiare la concorrenza, spulciare Amazon, Goodreads, Pinterest e posti simili in cerca di copertine elettroniche, scoprire che cosa va nel nostro genere, tenere presente che una copertina elettronica non è una copertina cartacea, e il lettore la vedrà per la prima volta grande come un francobollo… Due o tre suggerimenti: tenete d’occhio anche le copertine del mercato anglosassone, perché là l’editoria elettronica e il self-publishing sono più sedimentati, seguite qualche blog o sito di grafica, e mettete insieme una collezione (una cartella, una bacheca su Pinterest…) di copertine che vi piacciono davvero – e che potrebbero adattarsi al vostro genere.
E poi, quando vi siete fatti un’idea, allora Canva può funzionare.
E poi magari sembrerà che copi i post altrui, ma che posso fare?
Era un po’ che volevo raccontarvi del mio MOOC.
Un MOOC è – come ho scoperto di recente – un Massive Open Online Course. C’è questa piattaforma che si chiama Iversity, ci sono corsi tenuti via video, e c’è la Fachhoch Schule di Potsdam, con il suo MOOC chiamato The Future of Storytelling.
Mi ci sono iscritta perché mi pareva bello trovarmi un altro impegno in più, ma soprattutto perché la faccenda m’interessa. È tutta la storia che le innovazioni tecnologiche influiscono sul modo in cui si raccontano le storie. In principio fu un gruppo di persone attorno a un fuoco, e le pitture murali, e il passaggio dalla tradizione orale alla scrittura, e la stampa, e il cinema, e la televisione…
Sì, la sto prendendo balzellon balzelloni, ma avete capito che cosa intendo: ogni stadio della storia della comunicazione umana ha modificato profondamente la maniera di raccontare. E adesso ci sono nuovi mezzi dalle potenzialità enormi e – forse – idee non troppo chiare su come questo possa cambiare le modalità della narrazione.
Probabilmente è tutto a posto, sapete: dubito che tutti i successivi cambiamenti siano stati vissuti con troppa consapevolezza. C’erano nuove possiblità, qualcuno le sperimentava, qualcuno le rifiutava, ci si accapigliava e si facevano tentativi, e poi, col tempo e con la paglia…
Ma il fatto è che adesso il tempo è più scarso della paglia, le innovazioni si susseguono a notevole velocità, e con le innovazioni i cambiamenti – possibili ed effettivi. Quindi magari farsi un’idea non è male.
E allora, ecco il MOOC. Siamo alla terza settimana, siamo in settantacinquemila, sparsi per tutto il mondo, e l’esperienza è interessante. Ci sono le lezioni in video, che esplorano l’evoluzione delle forme narrative in pratica, quello che ha funzionato, quello che sta succedendo e anche quelle che sembravano ottime idee e poi si sono afflosciate. C’è un’abbondanza di materiale collaterale per approfondire o chiarire. Ci sono i forum per le discussioni – che per ora non sono terribilmente maneggevoli, ma sembrano essere in via di miglioramento. C’è l’equivalente di una volta e mezzo la popolazione di Mantova in compagni di classe provenienti dalle esperienze più diverse, con cui discutere a piacimento. E ci sono i compiti a casa, creative tasks di varia natura.
Quello della settimana passata consisteva nel costruire un personaggio – e fin qui nulla di particolarmente originale – e poi creargli una vita online. Un blog, un profilo su FaceBook o su Twitter, un account su YouTube… non c’erano limiti alle possibilità. E poi l’idea era che questi personaggi interagissero tra loro.
Devo confessare di avere nutrito qualche perplessità. Sia chiaro: è stato divertente creare Emma e il suo piccolo blog*, ma non avevo tempo per far nulla di più elaborato, né per interagire troppo con gli altri studenti. A dire il vero, credevo che Emma sarebbe rimasta lì, sola soletta, a raccontarsi le cose da sé**…
E invece ieri mattina è successo: una sconosciuta MOOCer ha contattato Emma per chiederle notizie di una conoscenza comune, ed è saltato fuori che di conoscenze in comune potrebbe essercene un’altra, e… capite? Né Emma né la sconosciuta né le due conoscenze comuni esistono minimamente: sono tutti personaggi, creati da persone diverse, che si incontrano in modo ben poco programmato, e iniziano una storia. Che è parte di una storia più articolata, che una piccola popolazione sta scrivendo.
Bello, vero? E diverso. E promettente, non tanto per questa storia – che è del tutto accidentale – quanto come dimostrazione di quel che si può fare. Di come si può raccontare.
Vi farò sapere come prosegue.
___________________________________________
* Il fatto che, nei suoi tre giorni di vita, Emma abbia scoperto un paio di cose che a me erano sfuggite per anni, è… vagamente allarmante? Ok, le ho scoperte io mentre mettevo in piedi il blog di Emma – ma resta il fatto che le ho scoperte dopo avere assunto il punto di vista di Emma. Magari una volta o l’altra parleremo di personaggi che assumono una vita propria.
** No, non del tutto. Per varie ragioni, troppo lunghe da spiegare in dettaglio qui e adesso, Emma non è sola soletta e ha qualche genere di futuro narrativo – ma non volevo annacquare il paragrafo.
Scoperta recentissimissima. Francamente, fino a un paio di giorni fa, non avevo mai nemmeno sentito nominare i 10cc…
Carina, vero? Voi li conoscevate i 10cc? Be’, qualcuno di voi chiaramente sì… and you know who you are.
Buona domenica – e se per caso siete in zona oggi pomeriggio, perché non venite a sentirmi bagolare di ebook a Nogara?