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Uìllobi

Uillobi.jpgDoveva essere il Novantasette o il Novantotto, perché ero a casa per poco, in vacanza dal mio anno Erasmus e, pur avendo già visto Ragione e Sentimento in originale a Cardiff, ero andata a vederlo di nuovo con la mia amica C., patita della Zia Jane al pari di me.

E dietro di noi sedeva una coppia in età, di cui posso dire con certezza che la moglie aveva letto il libro e il marito era sordo. Per tutto il tempo, infatti, la signora chiosò ogni singola scena a beneficio del consorte, in dialetto e a considerevole volume. A ogni informazione elargita, il marito rispondeva con un grugnito d’assenso.

“Vedat? Vedat? Cal lì, varda, cal lì l’è Uìllobi!”

“Grunt!”

Non vi dico la gioia – anche se la faccenda aveva un suo fascino, in fondo. Alle volte, in queste circostanze e se ho i disturbatori proprio dietro, mi giro e chiedo se non da loro fastidio il film mentre fanno conversazione, ma tendo a trattenermi quando la conversazione è attinente al film, perché è affascinante sentire il genere di interpretazioni e semplificazioni che lo spettatore zelante offre al prossimo.

Qualche volta si tratta di chiarimenti – più o meno necessari – qualche volta di anticipazioni destinate, immagino, a provare la conoscenza della storia da parte del chiosatore, e qualche volta di una specie di anticipazione apotropaica di passaggi che inquietano? Sospetto che quel che è già spiegato e preannunciato faccia meno paura non solo al destinatario della chiosa, ma anche al chiosatore.

Ne’ questo zelo missionario è ristretto alla terza età. Chiunque abbia visto anche uno solo tra i molteplici Harry Potter conoscerà la sensazione di essere circondati da orde di fanciulli che lo rivedono per la sesta volta e sentono di dover spiegare, sviscerare, preannunciare ogni battuta e ogni fotogramma a beneficio del pubblico in sala. A voce altissima.

Harry Potter-wise, una delle manifestazioni più sorprendenti del fenomeno è stato ritrovarmi seduta accanto a un gruppetto di quindicenni (tutti maschi) che commentavano tra loro in tutta  serietà e, una volta di più, in Mantovano.

Questo film può essere ascoltato dai non italianizzati. Una voce fuori campo commenterà le immagini prive di dialogo (e a dire il vero anche le altre) nell’idioma locale.

In tutt’altra circostanza e altro gruppo di età, ricordo una sera in cui, in un gruppetto molto internazionale e ragionevolmente adulto, si guardava un thriller in televisione. Due membri del gruppo, diciamo Francia e India, lo avevano già visto, e seguitavano a dire cose come “Oh questa parte mi fa sempre sobbalzare” o “Non è triste quello che capita a questo personaggio?”, senza badare allo scarso divertimento del resto del mondo*.

Evidentemente, l’istinto di raccontare è forte, se si sente l’impulso di raccontare anche ciò che sta già venendo raccontato.

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* E per contro, quando Australia annunciò che credeva di avere individuato l’assassino, India e Francia rimbeccarono a una voce di non sopportare “quelli che vogliono sapere che cosa succede dopo.”

cinema · grillopensante

La Vita Sessuale Delle Stelle Marine

Erwin Panofsky, che era uno storico dell’arte americano di origine tedesca, scrisse che negli Anni Venti e Trenta l’élite intellettuale tedesca considerava il cinema una sorta di piacere colpevole, nella migliore delle ipotesi:

Nessuna meraviglia quindi che le classi “alte”, quando con cautela cominciarono ad avventurarsi in questi primi cinematografi, lo facessero non in vista di un normale e magari serio divertimento, ma con l’atteggiamento fra imbarazzato e condiscendente con cui ci si può immergere, in allegra compagnia, nella pittoresca confusione di Coney Island o in una fiera di paese; ancora fino a pochi anni fa, negli ambienti socialmente elevati o fra gli intellettuali era consentito dichiarare apprezzabili solo film austeri e istruttivi tipo La vita sessuale delle stelle marine o film dai “bei paesaggi”, ma nessuno avrebbe mai confessato di divertirsi a quelli narrativi.*

 Si direbbe che certe cose non cambino poi troppo e, quando ho letto questo passaggio, la mia prima intenzione è stata quella di farci sopra un rant sullo snobismo che circonda la letteratura (e il cinema) di genere. Perché snobismo c’è, inutile negarlo, ed per di più è prodotto in gusti misti assortiti. Ci sono quelli che si stracciano le vesti al solo nominare Dan Brown, J.K. Rowlings o Stephenie Meyer, ululando alla crassa ingiustizia di un mercato che stravede per questa robaccia malscritta e ignora i capolavori – ma poi scopri che non c’è un’anima che non abbia letto almeno un volume di Harry Potter e/o Il Codice Da Vinci.

Ci sono quelli per cui una storiellona d’amore con elementi soprannaturali scritta da un autore (o meglio un autrice) africano, asiatico o sudamericano è sempre poetica, profonda ed emozionante, mentre la stessa storiellona scritta da un(‘)occidentale – specie se statunitense – è sicuramente robaccia commerciale. 

Ci sono quelli che, quando dici che non ti piacciono la Allende, Pasolini o la Barbery** cominciano a considerarti un esemplare di un’umanità inferiore.

Ci sono quelli che accampano le scuse più diverse per spiegare come mai sono così bene informati su quello che succede in Twilight o in Angeli e Demoni (dal diffusissimo “volevo capire che cos’ha di così speciale” a “qualcuno doveva pur accompagnare le bambine”, fino all’Oscar per la Migliore Stella Marina: “no, non l’ho visto: me l’ha raccontato mia madre!”)

Ci sono quelli che vanno al cinema “per il messaggio”…

Ecco, questo era più o meno quello che intendevo scrivere a proposito di Panofsky e delle sue stelle marine.

Poi ho fatto una brusca frenata e un rapido esame di coscienza. Posto che penso davvero tutto quel che ho scritto fino a qui, posso dire di non essere una snob in fatto di cinema e libri? Mi sa tanto di no. Mi compiaccio della mia apertura e maturità perché riconosco a Dan Brown di conoscere molto bene il suo mestiere, ma poi tempesto contro Nicholas Sparks e Richard Bach. Ho letto tutti i libri di Harry Potter e ho visto anche tutti i film; è vero che non tutti mi sono piaciuti, ma nessuno mi ci ha mai costretta, e la scusa dei meccanismi narrativi è diventata logora dopo i primi due o tre, vero? M’infurio per lo snobismo che circonda la letteratura (e il cinema) di genere e poi tendo a glissare sulle mie letture fantasy. Fatico ancora un po’ ad ammettere di non avere mai finito L’Idiota e di essermi annoiata a morte con Ulysses

Insomma, predico meglio di quanto razzoli: se dovessi cercare un metodo nella faccenda, direi che non ho la minima difficoltà ad ammettere avversioni anche inconsuete e omissioni deliberate e motivate. Quando si tratta di discutere le mie lacune e miei piaceri colpevoli, invece, divento improvvisamente assai timida e sviluppo una memoria selettiva.

D’altra parte, sono abbastanza convinta di essere in buona compagnia. Chi può dichiarare with a straight face di non avere stelle marine nell’armadio alzi la mano e si abbia la mia invidiosa ammirazione – oppure la mia lieve incredulità, a scelta.

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* E. Panofsky, Lo Stile E La Tecnica Del Cinema, (1936). Si trova tradotto in Italiano in Tre Saggi Sullo Stile, edito da Electa.

** Tre scelti a caso e in ordine sparso.

Ah, e no: non so se La Vita Sessuale Delle Stelle Marine esista davvero o se Panofsky l’abbia inventato di plinco. Una rapida ricerca in rete non ha rivelato nulla.