Lo so, ne abbiamo già parlato… Più di una volta, probabilmente.
Ma questo post si deve a una combinazione di cose: questo post su Karavansara e l’approssimarsi della scadenza del contratto per Somnium Hannibalis.
Perché il fatto è che presto il Somnium sarà completamente mio di nuovo – mio da risistemare e ripubblicare in formato elettronico, e non c’è modo di negarlo: prima di tutto gli ci vorrà un altro titolo.
Un titolo che non spaventi via i lettori.
Dovete sapere che, a suo tempo, la faccenda andò così. Il mio titolo provvisorio era… sedetevi, per favore: non vorrei che la mia sconcertante originalità vi levasse il respiro. Seduti? Bene: il mio titolo provvisorio era Annibale.
No, davvero. E che c’è di male? Era estremamente appropriato, sintetico e significativo al tempo stesso.
Peccato che un sacco di gente ci avesse già pensato prima di me, sia in fatto di romanzi che di biografie. Prova inconfutabile, se lo chiedete a me, che è proprio un buon titolo – ma lo ammetto come lo ammisi allora: volere qualcosa di meno “visto” non era del tutto irragionevole da parte dell’editore.
Così mi misi all’opera per cercarne un altro – e furono giorni e giorni di liste, strologamenti, brainstorming… Volevo qualcosa di significativo, possibilmente provvisto di più di uno strato di senso, semmai con una citazione letteraria. E non trovavo nulla. Nulla di adatto. Nulla che non richiedesse un’estensione a fisarmonica della copertina, quanto meno…
E poi, in un momento di quella che scambiai per ispirazione, mi albeggiò in mente: Somnium Hannibalis.
Perché in fondo al centro di tutto c’era il sogno irrealizzabile di Annibale. Perché c’era il parallelo con il Somnium Scipionis di Cicerone…
“E in quanti credi che se ne accorgeranno?” mi si chiese profeticamente. E io… io scrollai le spalle, e andai avanti con criminale incoscienza. E a questo punto, però, devo distribuire una parte del biasimo anche a editore e agente. Perché io potevo essere allegramente incosciente – ma loro? Avrebbero dovuto dissuadermi con ogni energia, e invece fecero tra nulla e non granché.
L’editore insisté per aggiungere il sottotitolo “L’ultimo dei Barca, la cenere e il sangue”, che ad essere sinceri mi sembrava (e mi sembra) melodrammatico… Ma era un caso evidente di cecità selettiva. Mi preoccupavo del sottotitolo vagamente purpureo, e non vedevo il catastrofico titolo in Latino. O meglio, lo vedevo eccome – ma mi sembrava una buona idea.
Un titolo in Latino, capite?
Con una citazione di commovente oscurità, destinata a non dire granché parte dei lettori.
E, temo, a suonare pretenziosa a chi l’avesse riconosciuta.
Non è che fosse un brutto titolo in assoluto, sia chiaro. Era solo ostico, pretenzioso e snobbish – adorabile combinazione – e nessuno mi ha fermata sulla via del disastro. E non è del tutto vero: qualcuno ci ha provato, solo che io non ho ascoltato.
A posteriori, sono certa che la cosa abbia nuociuto non poco al romanzo e alle sue vendite – ma ormai è fatta, e consideriamola pure una dolorosa lezione. Sei anni più tardi, ho imparato dal mio errore – o almeno spero. Anche perché magari non nell’immediatissimo futuro, ma presto dovrò trovarne un altro, di titoli. Un titolo significativo, sintetico, magari provvisto di più di uno strato di senso.
E in Italiano, thank you very much.
Sono ufficialmente a caccia.