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Plunk!

stift griffen,carinzia,austria,aspettativeUna decina d’anni fa, in una giornata di temporali e arcobaleni, mi capitò di imbattermi in Stift Griffen, una piccola abbazia benedettina nella Carinzia orientale.

Griffen era – e suppongo sia ancora – un posto incredibile, vecchio di quasi otto secoli, sperduto tra i boschi. Una delle due chiese – quella barocca – e il cimitero sono ancora in uso, ma gli edifici monastici sono parzialmente in rovina. In un’ala è installato un gasthaus, nel cortile crescono dei noci secolari e tutt’attorno ci sono giardini inselvatichiti e un frutteto murato. Nella luce del pomeriggio temporalesco, pocp meno di dieci anni fa, il contrasto tra la coloratissima facciata barocca, la mole severa della chiesa romanico-gotica e le finestre vuote incorniciate dalle volute di stucco sgretolato, la combinazione di secoli, bellezza, isolamento, rose inselvatichite e rovina mi diedero i brividi. stift griffen,carinzia,austria,aspettative

Non era possibile visitare nulla, allora – in Austria il concetto di “troppo tardi” ha tutto un altro significato – e me ne venni via in un tripudio di arcobaleni, scrosci di pioggia e raggi obliqui, con la meravigliosa sensazione di essermi imbattuta in un gioiello naufragato fuori dal tempo. E mi ripromisi di tornarci. Why, una volta a casa scrissi persino una cosa ambientata a Griffen – un piccolo atto unico buttato giù in tre giorni sull’onda dell’entusiasmo.

E per un anno strologai su Griffen, sognai ad occhi aperti di Griffen, desiderai di tornare a Griffen. E cercai di documentarmi su Griffen – cosa non facile perché non si trova nulla in materia, se non qualche accenno in Tedesco, giusto abbastanza per scoprire che l’abbazia era stata fondata nel XIII Secolo e soppressa dal solito Giuseppe II nel 1786. Meditando addirittura di organizzarmici una writing week , feci persino qualche ricerchina sul gasthaus nel cortile del monastero. Già m’immaginavo a scrivere sotto i noci secolari, a passeggiare per il giardino al crepuscolo, a cenare in una stube rivestita di legno scuro con i trofei di caccia alle pareti, ad ascoltare il rumore della pioggia dalla mia stanza enorme e freddina, immaginando il monastero vuoto e buio e desolato tutt’attorno*…  Feci qualche ricerchina, dicevo, e scoprii che il gasthaus è un ristorante per vaste comitive.

stift griffen,carinzia,austria,aspettativeE a questo punto voi la vedete arrivare, la palata incombente,  vero?

Io no. Io mi precipitai di nuovo a Griffen l’estate – non per restarci, solo per visitarla finalmente, e magari prenotare una stanza per l’inizio di settembre. Mi ci precipitatai come ci si precipita a un ricongiungimento, guidando per quattrocentocinquanta chilometri in una mattinata, trascinandomi dietro mia madre (“devi, devi, devi vedere…”), ricostruendo la strada a memoria, immaginando i miei personaggi nello scenario, pregustando meraviglie all’altezza dell’impressione vecchia di un anno e accuratamente indorata nel ricordo.

Immaginatemi che ritrovo la stradina nei boschi, costeggio il muro del frutteto e quello del cimitero, svolto nel cortile con i noci secolari e…

…E lo trovo invaso di turisti in lederhosen e macchine fotografiche – un gruppo arrivato in pullman, ciabattante e rumoroso al modo di chi avesse già tracannato una certa quantità di birra.

Plunk!stift griffen,carinzia,austria,aspettative

E questo era il rumore delle mie dorate attese e della mia Griffen immaginaria che cadono al suolo. Oh sì. abbiamo visitato le due chiese – quella barocca, con le lapidi medievali perse tra le dorature e le statue di legno drammatiche e variopinte, e quella medievale, tutta bianca, nuda, piena di luce e di polvere – ed erano bellissime. Quando non arrivavano gli schiamazzi dei touristen, il silenzio era denso come il latte. Peccato che non succedesse granché. E abbiamo passeggiato per il giardino overgrown, dove non ricordavo che sorgesse un orribile retrocucina di legno, tutto luci al neon e sfoghi di ventole.

“Sei sicura di volerci stare una settimana?” ha chiesto mia madre.

E a quel punto avremmo potuto fuggire, e invece siamo entrate nel gasthaus attraverso un atrio con il pavimento di linoleum e le porte Anni Settanta, dove l’aria sapeva di risciacquatura di cucina. E nel bar c’erano questi mobili di legno chiaro molto cheap – figuratevi peggio-che-Ikea con tappezzerie dai colori fluo – e la radio locale che trasmetteva musica da discoteca, e un’anziana signora in ciabatte e grembiule che, quando le abbiamo chiesto limonata, ha chiesto se l’aranciata andava bene e poi ci ha servito succo di albicocche.

Plunk! Plunk!

“Das Stift ist sehr schoen,” le ha detto mia madre – e so che cosa stava cercando di fare. Sperava che la signora si lanciasse in lai su quanto è difficile gestire un posto come quello, su come il gasthaus si è dovuto adattare alle comitive per sopravvivere, su come rimpiange i tempi in cui tutto era austero e solitario**…

Invece no. La signora ha guardato mia madre con blank eyes e ha borbottato di sì, e che bevessimo pure con calma che non c’era fretta.

Invece la fretta c’era e siamo fuggite via. Nel recuperare l’automobile sotto i noci secolari, ho intravisto un portone che sembrava dare su qualche tipo di cortile interno. Non mi sono nemmeno avvicinata – metti mai che dentro ci fosse una sala con il karaoke…

Ecco. È stato doloroso – e ben mi sta. Avevo trovato un posto perfetto, ne avevo un ricordo emozionante, ci avevo ricamato su, ci avevo persino ambientato una storia… Non potevo lasciare le cose come stavano? Dovevo proprio tornarci e distruggere la mia Griffen immaginaria? Come dicevo, ben mi sta, perché dovrei saperlo: mai, mai, mai tornare nei Posti che abbiamo caricato di troppe aspettative. Mai.

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* How very gothic, isn’t it?

** Col che non voglio farvi credere che sarei capace di capire in dettaglio un discorso del genere in Tedesco… Ma mi sarei accontentata di intuirne vagamente il senso, se la signora l’avesse detto.

lostintranslation

Fra Cinquanta Metri Sbandare A Destra

Kultur darf niemals auf der Strecke bleiben, dice la pubblicità sul retro dell’autocisterna austriaca. Scritta bianca sullo sfondo di non so quale abbazia della Stiria. Non sono riuscita ad afferrare il nome del luogo, né quale fosse l’ente promotore della campagna – forse l’attivissimo Ente del Turismo della Stiria, forse qualcosa di più centrale – prima che l’autocisterna svoltasse in una direzione che non era la mia. E d’altra parte guidare e leggere contemporaneamente non è cosa sana.

Però ho afferrato la traduzione italiana che campeggiava sotto lo slogan: “Fuori Strada C’è Cultura.”

Er…

A voler essere gentili è una traduzione molto, molto, molto libera: auf der Strecke bleiben, letteralmente “restare fuori strada”, è un’espressione idiomatica per dire “fallire, non andare in porto”. Quindi lo slogan significa “La cultura non fallisce mai”, ma se proprio volessimo conservare le connotazioni autostradali in omaggio alla collocazione del cartello, potremmo tradurlo con “la cultura non esce mai di strada”.

Non so a voi, ma a me la traduzione italiana non sembra nemmeno vagamente imparentata.

Vogliamo inclinarla a 45°, tingerla di violetto e intenderla come una liberissima interpretazione, volta a informare il distratto viaggiatore italiano che in Austria ci sono siti culturali ed eminentemente visitabili ad ogni passo lungo le strade di passaggio? Proviamo pure, ma forse sarebbe stato meglio sforzarsi con una traduzione un po’ meno nonsense. Perché a me “Fuori Strada C’è Cultura” trasmette A) la nozione che la cultura in Austria vada cercata col lumicino e la mappa lontano dai sentieri battuti; B) un surreale invito a sbandare fuori dalla corsia (fuori strada, appunto…), in cerca di cultura tra i campi di luppolo e i curatissimi prati popolati di mucche. E i carri-attrezzi bianchi e gialli, presumibilmente.

Come dire? Può essere che la campagna pubblicitaria, nel tentativo di rendere partecipi gli Italiani, sia andata un nonnulla fuori strada?