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Qualcosa – qualcosa… la storia del libricino rosso e grigio

È un arnesetto in brossura della Dover Thrift, sottile sottile, con le pagine un po’ ingiallite all’orlo e le mie iniziali timbrate a secco nell’angolo destro in alto del frontespizio… e non mi ricordo da dove arrivi. Continua a leggere “Qualcosa – qualcosa… la storia del libricino rosso e grigio”

grillopensante · lostintranslation · Poesia · Traduzioni

Traducendo Amanda

C’è Amanda Gorman, la giovanissima poetessa americana balzata alla celebrità leggendo i suoi versi all’inaugurazione del Presidente Biden. E c’è il suo lavoro, che adesso le case editrici di tutto il mondo si contendono, e che dovrebbe presto essere pubblicato in diciassette lingue.

Dico “dovrebbe”, perché adesso si pone il problema delle traduzioni.

Forse vi siete già imbattuti in questa faccenda, in giro per la Rete o al telegiornale… ma il fatto è che due traduttori europei sono stati fatti fuori – editorialmente parlando – a traduzione già finita. E non perché le traduzioni non andassero bene, anzi. Il punto è proprio che non importa quanto l’olandese Marieke Lucas Rijneveld e il catalano Victor Obiols siano bravi: entrambi sono bianchi, e quindi non possono essere adatti a tradurre i versi di una giovane attivista nera.

E chi lo dice? vi chiederete. Continua a leggere “Traducendo Amanda”

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Prometeo Ritrovato (e Letto)

Semmai ve lo chiedeste, il Roche è arrivato mercoledì scorso, per posta*, con un ISBN diverso da quello del Paulin… D’altronde credo che non si tratti della stessa edizione che ho cercato di procurarmi sull’Isoletta. Questa qui è stata pubblicata nel 1998 dai meravigliosamente nomati Bolchazy-Carducci Publishers, nell’ancor più meravigliosamente nomata Wauconda, Illinois – con le illustrazioni di Thom Kapheim e, a parte quelle e nonostante l’assenza di indicazioni in proposito, l’aria generale della riproduzione di un’edizione più vecchia.

Then again, a ben guardare, carattere e impaginazione hanno un’aria decisamente troppo agée per il 1962, quando uscì questa traduzione – per cui bisogna immaginare che da Bolchazy-Carducci (dove hanno per logo una civetta) siano amanti di un book-design ai limiti dell’antiquario – illustrazioni a parte.

Il Paulin, detto per inciso, è tutt’altra faccenda: Faber & Faber, 1990, liscio e moderno in ogni aspetto… Il che, a voler vedere, rispecchia bene i rispettivi contenuti: Paulin non ha tradotto quanto reinterpretato, tenendo storia e personaggi, ma spostando l’ottica e la rilevanza (e di conseguenza il linguaggio) in un mondo che con le preoccupazioni di Eschilo non ha molto a che fare… o forse sì, in quella maniera in cui certe cose non cambiano attraverso i millenni… diciamo che Paulin si serve del Prometeo di Eschilo per esplorare faccende di tutt’altro tempo. Non del tutto la mia tazza di tè, forse – ma estremamente interessante.

Soprattutto leggendolo a fronte del Roche, che è cavallo d’altro colore. Roche (nato negli anni Venti e cavaliere di San Lazzaro) traduce in una maniera fluida, musicale, intensa – e francamente bellissima. Also, è il genere di traduzione che si preoccupa di gettare ponti attraverso i millenni tra l’Atene dell’Età d’Oro e un pubblico moderno, non in fatto di contenuto, ma di linguaggio: è di un mondo antico che parliamo, o Lettore/spettatore – ma non alieno. Immagino che su un palcoscenico debba essere una meraviglia… e immagino anche che adesso mi metterò a caccia per scoprire dove, come e quando sia stata messa in scena. Tra l’altro, nelle appendici, Roche aggiunge “Qualche Nota sulla Produzione”, che non ho ancora raggiunto se non di sfuggita, ma sembra un buon posto da cui cominciare.

Perché il punto è che questo Prometeo Incatenato è uno dei miei (non sempre ragionevolissimi) sogni registici – e la traduzione di Roche è il genere di testo su cui mi piacerebbe lavorare, il giorno in cui… Il Paulin è tutt’altro: un testo che non mi sognerei mai di usare, per non parlare di una certa frenesia di attualizzazione (la divagazione femminista a proposito di Io?)… però è interessante come esplorazione della rilevanza contemporanea di Prometeo – e verrà buono a sua volta e a suo modo il giorno in cui…

E quindi, ecco. La storia è giunta a termine per ora. I libri sono qui, i misteri sono risolti, le idee sono annotate. Ulteriori sviluppi? Ne riparliamo tra qualche anno.

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* In busta aperta, presumo ispezionata e richiusa con il nastro adesivo… Yes well – gente sospetta, questi lettori di Eschilo transatlantici…

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Prometeo Ricercato

Della mia nuova/vecchia/ricorrente ossessioncella per il mito di Prometeo parleremo un’altra volta. Per oggi quella che ho da raccontarvi è una storia di libri.

Di un libro in particolare, il Prometheus Bound – traduzione da Eschilo di Paul Roche. Di questa traduzione sono venuta a conoscenza attraverso questa bellissima versione animata, e ho deciso che dovevo leggerla per intero.

E che ci vuol mai? mi sono detta – e mi sono messa in cerca su Amazon, quel Pozzo di San Patrizio, eccetera, eccetera. Ora, la traduzione di Roche risale alla metà degli anni Sessanta – e ogni tanto viene ripubblicata: procurarsene una copia di seconda mano non sembra cosa difficile. In effetti, nel giro di pochi minuti si piazza e conferma un ordine con un bookseller inglese (una decina di sterline tra libro e spedizione…) e l’indomani si riceve la mail di conferma: libro spedito – e vissero tutti felici e contenti.

O forse non proprio. Un paio di giorni e, quando io credo che il mio Roche sia ormai felicemente in viaggio, arriva un’altra mail. Il bookseller m’informa che, all’atto della spedizione, il libro si è rivelato in condizioni tali da renderlo invendibile – ed era l’unica copia. Tante scuse, denaro restituito, ringraziamenti per la pazienza…

Oh, bother! Ma è presto risolto: torno su Amazon, trovo un’altra copia in condizioni ragionevoli da un altro bookseller, ordino, ricevo conferma dell’ordine e poi della spedizione… E dopo un paio di giorni, ci risiamo: all’atto della spedizione, condizioni inaccettabili, una sola copia, cenere sul capo, restituzione, c’è qualche altro libro che voglio invece?

E no, perbacco! Non voglio un altro libro – se avessi voluto un altro libro, avrei ordinato un altro libro. Voglio proprio il Prometheus Bound di Roche, e quindi ne cerco un’altra copia – incidentalmente, l’unica rimasta a un prezzo ragionevole, perché poi ci si arrampica oltre le quaranta sterline… Quindi ordino, guardo con scetticismo le mail di conferma e aspetto col fiato sospeso… E infatti, il terzo giorno dopo la spedizione, ecco che il mio ordine è cancellato.

Questa volta non c’è nemmeno una parola di scuse o di spiegazione: cancellato, e tant’è. Seccata anzichenò, scrivo al bookseller, spiegando che è la terza volta in una settimana che questo capita. Può il bookseller farmi almeno la cortesia di spiegarmi la faccenda? Qualcuno si sta accaparrando tutte le copie affrontabili del Prometheus? C’è una congiura internazionale per irritare i lettori di Eschilo? Una damnatio memoriae (un nonnulla tardiva) del mito di Prometeo?

E il bookseller risponde – pronto e gentile: spiacentissimi, davvero – ma il fatto è che, per motivi misteriosi, il “mio” Roche condivide il codice ISBN con Seize the Fire – sempre Eschilo, ma reinterpretato dal piuttosto incendiario Tom Paulin all’inizio degli anni Novanta… Possono, per farsi perdonare, mandarmi gratuitamente il Paulin?

Rispondo che non hanno nulla da farsi perdonare, e che quindi mi parrebbe giusto pagare il Paulin… ma loro insistono: a causa del doppio ISBN non potrebbero venderlo comunque, e tanto vale che lo abbia qualcuno a cui interessa davvero.

E così ringrazio, accetto – e provo a ordinare un’altra copia del Roche, questa volta Oltretinozza. Ciò accadeva una decina di giorni fa. Il Paulin è arrivato questa mattina, mentre il Roche risulta spedito – ma ho imparato che non vuol dire granché. Vero è che nessuno ha ancora cancellato l’ordine – ma potrebbe voler dire soltanto che chi ha spedito è stato meno attento dei suoi omologhi isolani…

Quindi: riuscirà la Clarina a leggere per intero la traduzione di Roche senza dover accendere un mutuo? Si ritroverà per le mani un altro Paulin? O non si ritroverà per le mani alcunché – grazie alla consueta efficienza di Poste&Telegrafi? E a ben pensarci, se ci fossero proprio le Poste&Telegrafi dietro la congiura antieschilea? E, già che ci siamo, com’è alla fin fine Seize the Fire?

Per saperlo, non perdete il prossimo emozionante episodio di… Prometeo Ricercato!

lostintranslation · Poesia

Traducendo la Tempesta

thomas-moran-approaching-storm-85446Allora… si discuteva di traduzioni, di recente, e ci si domandava come cambino, non cambino o possano cambiare le cose, non solo da originale a traduzione – ma da traduzione a traduzione.

E allora, a titolo di risposta, facciamo un piccolo esperimento con una poesia di Emily Dickinson, conosciuta come The Storm, ovvero La Tempesta.

Prima di tutto, Emily in persona (1883):

There came a Wind like a Bugle –
It quivered through the Grass
And a Green Chill upon the Heat
So ominous did pass
We barred the Windows and the Doors
As from an Emerald Ghost –
The Doom’s electric Moccasin
That very instant passed –
On a strange Mob of panting Trees
And Fences fled away
And Rivers where the Houses ran
Those looked that lived – that Day –
The Bell within the steeple wild
The flying tidings told –
How much can come
And much can go,
And yet abide the World!

Poi Emily secondo Margherita Guidacci (1947):

Il vento venne come un suono di buccina;
vibrò nell’erba,
ed un brivido verde nell’arsura
passò così sinistro
che noi sprangammo ogni finestra e porta
fuggendo quello spettro di smeraldo;
l’elettrico serpente del giudizio
guizzò allo stesso istante.
Strana folla di alberi affannati
e di steccati in fuga
e fiumi in cui correvano le case
Videro allora i vivi.
Dalla torre, impazzita la campana
Turbinava per un veloce annunzio.
Quante mai cose possono venire
e quante andare,
senza che il mondo finisca!

Emily secondo Giuseppe Ierolli (2002-2005):

Venne un Vento come di Buccina –
Vibrò attraverso l’Erba
E un Verde Brivido sulla Calura
Passò così sinistro
Che sbarrammo Porte e Finestre
Come per uno Spettro di Smeraldo –
L’elettrico Mocassino del Giudizio
Proprio in quell’istante passò –
Un’insolita Turba di Alberi ansimanti
E Steccati divelti
E Fiumi in cui correvano le Case
Questo vide chi era vivo – quel Giorno –
La Campana nella torre sconvolta
Le volanti notizie riferiva –
Quanto può venire
E quanto può andare,
Eppure il Mondo perdurare!

E infine, la montaliana Emily secondo Eugenio Montale (1945):

Con un suono di corno
Il vento arrivò, scosse l’erba;
un verde brivido diaccio
così sinistro passò nel caldo
che sbarrammo le porte e le finestre
quasi entrasse uno spettro di smeraldo:
e fu certo l’elettrico
segnale del Giudizio.
Una bizzarra turba di ansimanti
Alberi, siepi alla deriva
E case in fuga nei fiumi
È ciò che videro i vivi.
Tocchi del campanile desolato
Mulinavano le ultime nuove.
Quanto può giungere,
quanto può andarsene,
in un mondo che non si muove!

Cambiano tante cose. Cambia la musica, cambia la consistenza del linguaggio, cambia il colore… a riprova del fatto che leggere in originale e leggere in traduzione sono esperienze molto diverse – ma non solo: nessuna traduzione è uguale a un’altra.

Che ne dite, o Lettori? Quale preferite – e perché? Che cosa cercate in una traduzione – e in particolare in una traduzione poetica? Fedeltà? Atmosfera e colore? Sonorità? Andamento ritmico?La personalità del traduttore combinata con quella dell’autore?

Do tell.

 

lostintranslation · romanzo storico · Utter Serendipity

Dalla Serendipità Alla Gugletarietà – Per Tacer Dell’Accu-Thump

john crowley, romanzo storico, ricerca, google, serendipitàJohn Crowley è un eclettico autore americano, pluripubblicato in vari generi dalla fantascienza al fantasy al romanzo storico.
Naturalmente è da quest’ultimo lato che mi sono imbattuta in lui qualche tempo fa, e in particolare in un suo delizioso articolo intitolato The Accu-Thump of Googletarity, apparso in origine sul sito di Powell’s Books. Sotto il titolo nonsense, non capita tutti i giorni di leggere una descrizione così aguzza e divertente del funzionamento della ricerca alla base di un romanzo storico – e poi c’è la gugletarietà… ah, la gugletarietà. O guglitudine? O forse guglinità…?

E a questo punto spero che siate curiosi e che apprezziate quel che ho fatto: a suo tempo, ho scritto a Mr. Crowley e gli ho chiesto se potevo tradurre e pubblicare l’articolo sul mio blog. Come tende a capitare con gli scrittori americani, John Crowley (che incidentalmente insegna scrittura creativa a Yale) ha risposto nel giro di mezz’ora, dandomi il suo placet.

E quindi ecco a voi, nella mia traduzione, John Crowley su storici e romanzieri, profilattici e pneumatici, nonché le gioie della Rete con…

L’Accu-Thump Gugletario

Quanto costava un profilattico nel 1944? Com’era confezionato? Dove si comprava? C’erano dei distributori automatici nelle ritirate* dei bar, come alla fine degli Anni Cinquanta? Stavo scrivendo Four Freedoms, il mio romanzo sugli Stati Uniti durante la Seconda Guerra Mondiale, e avevo bisogno di saperlo. Avrei potuto glissare sul dettaglio – “comprò un profilattico, oppure “tirò fuori un profilattico”, ma sono proprio questi piccoli dettagli della vita quotidiana a dare realtà, vividezza e spessore a una storia, in qualunque secolo sia ambientata. La differenza è che i dettagli del passato bisogna andarseli a cercare, senza potersi basare sull’esperienza.

Gli autori di romanzi storici fanno (o almeno dovrebbero fare) un sacco di ricerca prima di cominciare a scrivere, e poi continuano a fare ricerca fino alla fine – proprio come gli storici veri. Solo che spesso cercano roba diversa. La ragione delle cose, le ragioni per cui le persone credevano di agire nel modo in cui agivano, le forze mal comprese, o non comprese affatto, che influenzavano la gente, una cronologia che metta in ordine cause ed effetti – ecco quello che immagino quando mi chiedo che cosa ricerchi uno storico. A parte i singoli casi in cui un minuscolo dettaglio è fondamentale (ad esempio l’ora precisa in cui fu spedito un certo telegramma), i dettagli dell’abbigliamento e della cucina, il modo in cui un personaggio passava le mattinate o le serate, dove si faceva fare un abito e quanto lo pagava, non sono lo scopo della ricerca. La ricerca del romanziere è l’opposto, o magari l’immagine speculare, proprio come la narrativa storica è lo specchio della storia – la stessa cosa, ma non lo stesso. Lo scrittore vuole un’abbondanza di dettagli che riguardino i suoi personaggi, se sono storici, o altri come loro. Non gl’importa tanto quel che facevano tutti, quanto quello che era possibile fare. Più di quel che faceva una specifica persona, gl’importa quello che avrebbe potuto fare una persona qualsiasi. Immaginiamo un certo tipo di personaggio: avrebbe potuto pensare questi pensieri, possedere quest’arma, ricordare questo evento, indossare questo cappello? È questo che serve al romanziere per modellare il passato in un mondo che sia credibile come un’ambientazione contemporanea.

Naturalmente un romanziere non è tenuto ad essere scrupoloso in fatto di ricerca, però, anche se nessuno potrà mai accusarlo d’inattendibilità se pasticcia i dettagli – o persino il quadro generale – resta pur sempre inattendibile. Per alcuni romanzieri questo è un aspetto fondamentale, per altri meno. Walter Scott, che si può dire abbia inventato il romanzo storico, spesso lardellava le sue storie di note a piè di pagina, per sostenere le sue invenzioni con l’evidenza dei fatti. Ma se i romanzieri possono sempre sostenere che una ricerca accurata è superflua o marginale, non possono più lamentarsi che sia troppo difficile. Ora, non so se Internet, in tutta la sua gloria e con qualche infamia, abbia rivoluzionato la vita degli storici di professione – magari sì, ma si guardano dal dirlo – però di sicuro ha fatto della ricerca una vacanza per i romanzieri storici: divertente, rilassante e piena di soddisfazioni.

E non è solo questione di Google, del Progetto Gutenberg e di JSTOR. Ho usato tutti e tre questi strumenti quasi ogni giorno, seguendo tracce di sito in sito e incappando in strane avventure con collezionisti, memorialisti, visionari, mercanti e gente ossessiva, perché è impossibile scrivere alcunché a proposito di vecchie auto, vecchie ferrovie, vecchi aerei, Seconda Guerra Mondiale o fumetti senza incontrare gente del genere. E poi ho beneficiato dell’aiuto dei lettori del mio blog**, che trovo essere una compagnia di gente indicibilmente in gamba, sempre pronta a fare ricerche e condividerne il risultato. Abbiamo avuto una serie di favolose conversazioni – come la volta in cui mi serviva il prezzo dei profilattici nel 1944.

Cercando “prezzo”, “profilattico” e “1944”, la mia Brigata Cervelloni è approdata per prima cosa su eBay, dove erano in vendita vari oggetti connessi con i profilattici vintage. Salta fuori che contenitori, pacchetti, istruzioni e volantini dei profilattici d’antan sono oggetti da collezione – chi l’avrebbe mai detto? La persona che su LiveJournal conosco come “Jonquil” mi ha scritto: “Questo non ha data, per cui magari non ti serve a niente, però mostra una lattina di Merry Widow*** con il prezzo impresso sul coperchio.” Poi Nineweaving mi ha mandato un’immagine inglese: “A quanto pare, da questo lato della Tinozza usavano allegre scatolette rosse. Co-Ed Prophylactics**** – da non crederci! E quando vai a caccia, sta’ alla larga dalle studentesse…” Ben presto abbiamo cominciato ad avere conversazioni come questa:

Cameo: Ho trovato un paio di links che potrebbero divertirti… un fracasso di vecchie confezioni di profilattici del Powerhouse Museum, in Australia: Una Galleria di 21 Involucri di Carta per Profilattici degli Anni Trenta E Quaranta: http://www.ep.tc/condom-envelopes/

Crowleycrow: Che belle buste di carta – sicuramente asetticissime! E poi i nomi: Bufalo, Odalisco, Poncho… Par quasi di sentire il ronzio del ventilatore a soffitto e la musica che filtra dalla piazzetta attraverso le griglie della finestra.

Cameo: Il mio preferito però è Devil Skin.*****

Jonquil: A me piace Odalisque, ma Sedatex suona allarmante. Un calmante… proprio ?

Uno dei miei corrispondenti ha chiamato in aiuto un’autentica storica del sesso che, essendo inglese, ha fornito risposte intriganti ma non del tutto pertinenti.

Oursin: Non c’è una risposta unica alla domanda sul prezzo di un profilattico. Ho consultato qualche catalogo (inglese) della seconda metà degli Anni Trenta, e un rivenditore poteva offrire articoli in una gamma di prezzo che andava dai tre pence alla ghinea, a seconda dello stile, del livello, della durevolezza (riutilizzabile? lavabile?), del materiale (gomma? pelle?), eccetera. E non parliamo di economie di scala e acquisto all’ingrosso: si potevano comprare persino confezioni di campioni assortiti. Alcuni tipi erano confezionati in lattina, altri no. Si sentono anche storie di gente elegante che se li faceva fare su misura, con tanto di monogramma… Non so se ci fosse da fidarsi di un profilattico da tre soldi, ma non giurerei nemmeno che l’affidabilità migliorasse significativamente in proporzione ai prezzi più elevati.

Crowleycrow: Grazie di tutto, in particolare per l’espressione “profilattico da tre soldi”, che intendo annotare e usare da qualche parte. “Profilattico da due centesimi” ci va vicino, ma è molto meno divertente.

Jonquil: “Riutilizzabile? Lavabile?” Questa sì che è un’idea sgradevole. Evviva la prevenzione delle malattie!

Crowleycrow: Di solito quelli economici di gomma si buttavano, mentre quelli di pelle (in realtà intestino di pecora) si lavavano/riutilizzavano/riarrotolavano. E sì, all’epoca si era parsimoniosi – e stupidi.

Dopo un po’ di questo regime, ho potuto scrivere con ragionevole sicurezza una scena in cui il mio personaggio sceglie tra quattro marche: Merry Widow, Sheik, Co-ed e Fortuna. L’ultima marca è una mia invenzione, di cui un altro personaggio commenta: “La fortuna è se non scoppiano.” Il mio fittizio giovanotto paga un dollaro e settantacinque per una lattina da tre profilattici di gomma. La Brigata Cervelloni mi ha anche segnalato uno spot televisivo diretto da Michel Gondry e disponibile, naturalmente, su YouTube, in cui proprio una lattina del genere compare in una scena di ambientazione rétro… E Gondry, mi domando, dove avrà scovato il dettaglio?

Il maggior pericolo della ricerca storica, per l’appassionato di curiosità e bizzarrie, è la distrazione – che d’altra parte è anche una delle maggiori soddisfazioni. Sono sicuro che, proprio come noi abbiamo la parola Serendipità, ispirata al romanzo sui tre principi vagabondi di Serendip, le generazioni future avranno un sinonimo derivato da Google. Gugletarietà? Gugolitudine? Gugolinità? Quando ho fatto ricorso a Internet per provare che il modo idiomatico “kick the tires”****** prende origine dalla scarsità di gomma e pneumatici durante la Seconda Guerra Mondiale, non ci sono riuscito. In compenso, ho trovato un sito che vendeva Accu-Thump, un arnese fatto come un manganello provvisto di manometro: quando date una manganellata al vostro pneumatico, il manometro vi dice se la pressione è sufficiente. Interessante. Ero quasi tentato di comprarmi un Accu-Thump, ma poi nello stesso sito ho scoperto che l’inventore sta anche progettando una valuta cristiana, “una moneta che [i Cristiani] possano far circolare tra loro come un memento costante del loro Creatore e Salvatore, al posto delle monete che recano l’immagine di un idolo o di un re.” E in quale altro modo avrei potuto scoprire questa bizzarra e suggestiva idea? Ci vedo già il nocciolo di un altro romanzo…

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* Sì, la chiamavamo ritirata… [NdA]

** John Crowley Little and Big su LiveJournal [NdA]

*** Er… “Vedova Allegra.”

**** Letteralmente “Profilattici Studendessa-In-Una-Classe-Mista.” Immagino che “Profilattici Classe Mista” renda l’idea…

***** “Pelle di Diavolo”…

****** Letteralmente “Prendere a calci le gomme”, cosa che la gente faceva prima di acquistare una macchina usata, per verificare lo stato degli pneumatici. Il modo di dire è passato a significare “esitare/spaccare il capello in quattro/cercare pretesti prima di prendere una decisione” o più semplicemente “tergiversare.”

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Le Traduzioni Son Desideri…

TranslateDa rimuginare su Entered from the Sun a rimuginare di traduzioni letterarie, alla fin fine, è stato un passo solo. Sennonché vi ho afflitti ripetutamente con il mio atteggiamento di reverente scetticismo nei confronti della traduzione letteraria, vero? Ebbene il fatto è che, pur restando dell’idea che non sia completamente possibile trasporre in un’altra lingua tutto quello che c’è tra le righe di un testo, ammiro alla follia chi riesce a decifrare, diciamo, in Italiano un’immagine della ragnatela connotativa dell’Inglese. E viceversa, si capisce.

Detto questo, il gioco in sé – la ricerca della riproduzione dello stesso effetto per menti dalla forma diversa – è una delle tentazioni più attraenti che si possano immaginare. Confesso di avere un certo numero di titoli che mi piacerebbe immensamente provare a tradurre, libri che non sono mai arrivati in Italia – ed è un peccato per vari motivi, e che in vari casi presentano sfide linguistiche e stilistiche di tutto rispetto.

wooden overcoat 02The Wooden Overcoat, di Pamela Branch (primi Anni Cinquanta), è un… be’, se fosse un film (e credo che ne uscirebbe una sceneggiatura coi fiocchi), lo definirei una commedia nera con sfumature gialle. Londra postbellica, tessere per il razionamento, case condivise: in una di queste, in una zona bene-ma-non-troppo, abitano due giovani coppie con ambizioni artistiche. E nella casa accanto è insediato l’Asterisk Club, circolo esclusivissimo, visto che è riservato agli assassini erroneamente assolti. Solo che all’AC non c’è posto per alloggiare l’ultimo arrivato, e lo sgradevole Mr. Cann viene messo a pensione presso i quattro ragazzi della porta accanto, solo troppo felici di raggranellare qualche sterlina extra. E quando l’ospite defunge, presto seguito da un’altra pittoresca esponente dell’AC, i nostri quattro – ciascuno sospettando e volendo proteggere il rispettivo coniuge – si ritrovano alle prese con un problema inedito: come si fa liberarsi di un cadavere – per non parlare di due? E qui tutto si fa molto esilarante, con una trama intricatissima, una schiera di personaggi azzeccatissimi nella loro spassosa improbabilità, una parodia del gialllo inglese classico e degli hard-boiled americani, una quantità di folklore sulla derattizzazione e dei dialoghi frizzantissimi. È uno di quei libri che vi fanno scoppiare a ridere forte mentre leggete in luogo pubblico, per capirci. Credo che dare almeno un’idea dell’intreccio di accenti (di luogo e di classe, very Britishly) sarebbe di per sé un lavoro.index

History Play, di Rodney Bold, è tutt’altra storia – e non quella che potrebbe sembrare. Cominciamo col dire che si presenta come un saggio – uno di quei saggi accademici adattati per il pubblico: specifici con tendenza al brillante e l’occasionale sconfinamento in territorio seminarrativo. Bolt parte spiegando quanto poco sappiamo di William Shakespeare, l’uomo che si suppone abbia scritto un treno merci di capolavori teatrali e poetici e nel suo testamento non ha lasciato nemmeno un libriccino in quarto. Il tutto debitamente corredato di note, riferimenti e appendici documentarie. E quando tu, o Lettore, cominci a levare le sopracciglia e a domandarti come mai, se tutto ciò è vero, non ti sia mai passato per il capo di dubitare, ecco che la parodia del tono accademico e lo sforamento narrativo cominciano a farsi più palpabili… e allora, colto da sospetto, te ne vai a controllare le seriosissime note e l’austerrima bibliografia, o lettore, e scopri che metà delle fonti citate sono immaginarie (attribuite ad anagrammi del nome dell’autore – e come diamine hai fatto a non accorgertene prima?!) e che i fatti, pur essendo reali, sono alterati, scelti, potati, tinti di violetto e inclinati a 45°, in modo da far sembrare incontrovertibili delle affermazioni via via più stravaganti. Qui ci sarebbe da sudare per bilanciare esattamente la sottilissima progressione da aguzza parodia accademica, su su su fino al pieno, spudorato romanzo marloviano.

iridescenceDi Entered From The Sun abbiamo parlato un po’. George Garret è stato il poeta laureato della Virginia, e dire che la sua prosa tradisce una forma mentis poetica è un inverecondo eufemismo. Mettersi a tradurre questo romanzo sarebbe un’impresa oceanica. Anche avendo le idee chiare sugli scogli fittissimi delle eccentricità linguistiche, la sintassi tortuosa complicherebbe non poco il calcolo della rotta. Senza contare le tempeste continue di una trama né troppo comprensibile né (alla fin fine) troppo rilevante. E vogliamo parlare delle irresistibili correnti profonde di sottotesto, delle sirene attraenti e inafferrabili del punto di vista e delle apparenti (e solo apparenti) inaccuratezze biografiche? Con l’equipaggio – gente inaffidabile al massimo grado, di cui sappiamo sempre tutto e raramente capiamo abbastanza – non cominciamo nemmeno. Sì, lo so, sembra irritante: l’ultimo libro che qualcuno potrebbe voler navigare – leggere o tradurre. Eppure lo stile di Garret è un aliseo, e had I but time and world enough…Kyd

Christoferus – or Tom Kyd’s Revenge è un romanzo di Robin Chapman, insusuale sotto un paio di aspetti, prima di tutto la scelta del protagonista: Thomas Kyd. Tra i vari autori elisabettiani, Kyd non sembra materiale per farne un eroe, e infatti in genere compare in narrativa nelle vesti di comprimario dimesso, bilioso e sfortunato. Quello che ha i complessi perché non è andato all’università, quello che ha scritto una singola tragedia di enorme successo e poi più nulla, quello che ha pagato un’amicizia sbagliata con la tortura e poi è sparito nell’oblio. Chapman prende questa figura meschinella e la ribalta: il suo Tom diventa un uomo brillante e tormentato che si dibatte fieramente tra le maglie di un complotto molto più grande di lui, in cerca di verità e vendetta per la parte che è stato costretto ad avere nella morte del suo amico e amante Kit Marlowe. Qui non ci sono stranezze, eccentricità o particolari sorprese, ma la scrittura è meravigliosa: vivida, piena di luce e ombra, ricca, appagante – miele, velluto e filigrana, per dare un’idea. Perché, e qui divago solo un istante e nemmeno troppo, per me la scrittura ha sempre una consistenza: è una sensazione quasi tattile, come maneggiare della stoffa o della carta: certa scrittura è seta cruda, altra è lino grezzo, e poi ci sono carta di riso, pessimo rayon, stagnola, broccato… Ecco, la sfida nel tradurre Christoferus sarebbe una questione di questo: rendere in Italiano questa meravigliosa consistenza.

PLagueInfine A Plague Of Angels, o in mancanza di quello un volume qualsiasi della serie su Sir Robert Carey di P.F. Chisholm. Siamo a metà strada tra il giallo storico e l’avventura, con un figlio del Lord Ciambellano (incidentalmente un cugino illegittimo della Grande Elisabetta) che arriva al selvaggio confine tra Inghilterra e Scozia, dove ci si aspetta che mantenga l’ordine tra i clan con la bellezza di sette soldati indigeni sotto il suo comando. Per fortuna di Carey, uno dei sette è il formidabile sergente Dodd, un allampanato giovanotto dall’aria lugubre, che fa del suo meglio per nascondere un’acutissima intelligenza. Oh la ricostruzione storica, la ricostruzione storica, la ricostruzione storica! Oh i personaggi, i personaggi, i personaggi! Oh i dialoghi, i dialoghi, i dialoghi! E badate che il linguaggio non è sempre rigorosamente period. Anzi: più di una volta mi è capitato di ripensare a qualche espressione peculiare di Dodd o Carey e, facendo due ricerche, scoprire che si tratta di un modo idiomatico più moderno. Ma il tutto è usato in modo così appropriato, così intelligente e frizzante e così perfetto per la caratterizzazione che la licenza è non solo perdonabile, ma benvenuta. Chisholm sarebbe forse il compito meno ostico della mia lista – e uno dei più divertenti.

Ecco, questo è il genere di traduzione che mi piacerebbe essere in grado di fare. Ma sarei molto soddisfatta di vederlo fare da qualcuno più bravo di me. Traduttori? Editori? Anyone?

 

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Piccolo Bollettino Generale

draft announcingAllora, ricapitoliamo, volete? Una volta consegnato il Serpente è arrivato il momento di quella che, se tutto va bene, sarà l’ultima e definitiva stesura del romanzo.

La Terza Stesura.

No, non c’è un contaparole, perché questa volta non funziona così. Sto asciugando, per cominciare, e assottigliando, e potando, e sfoltendo, e tagliuzzando, e sfrondando, e snellendo – e quindi un contaparole sarebbe di scarso aiuto. Magari lo sarà di più quando inizierò ad aggiungere le scene che ho lasciato indietro nella seconda stesura… Potrei forse organizzare uno di quegli arnesi che, anziché le parole, contano i capitoli. Questo magari sì, perché sto procedendo capitolo per capitolo… Non in ordine – perché mai in ordine? Ieri ho lavorato sul quinto capitolo, oggi sul secondo, domani ancora un po’ di secondo e poi il terzo entro la fine della settimana. Il quarto è già a posto. Sentite: sul campo ha più senso di quanto possa sembrare dalla descrizione – e ad ogni modo potrei davvero aggiungere un contacapitoli.

Ma in fondo è lo stesso. Quel che importa è che va piuttosto bene. Per lo più si tratta di aggiustare e potare. Ho eliminato qualcosa, girato come un guanto qualcos’altro, non ho ancora deciso che fare dell’abominevole William Bradley (tre o quattrocento parole…) e in questa stesura il protagonista litiga molto di più con suo fratello. Nel complesso: so far, so good.

Nel frattempo ci sono in corso altre cose, naturalmente. Draft

1) Il Project F. Questo è una traduzione… Una terrificante traduzione con secondi fini di natura teatrale. Dico che è terrificante perché sotto molti aspetti è un sogno che si realizza, ma mi rendo conto di essermi assunta un compito dannatamente complicato – e per di più me lo sono assunto da miscredente. Quante volte ho detto di non avere un briciolo di fede nella traduzione letteraria? Ebbene, eccomi qui, ma non è come se fossi convertita o nulla del genere. Sono quei secondi fini che vi dicevo e nient’altro. È una traduzione strettamente mirata, e con l’intenzione di riprodurre una serie di idee e condizioni, più che altro… Ma basta così. Dopo tutto, se fosse facile forse non ne varrebbe la pena, giusto? Vi farò sapere.

2) L’editing. Un editing in Inglese che promette molto bene. Su un tipo di testo diverso dal consueto. Non sono certa di avere una zona di sicurezza in fatto di editing, e di sicuro, se ne avessi una, tutto questo è troppo piacevole per poterlo considerare un’escursione… Ma di sicuro è qualcosa che non ho mai fatto prima, à la Colazione da Tiffany – e ciò è bello e anche istruttivo.

3) BJ è un racconto. Quasi quattromila parole. Non ne sono affatto insoddisfatta, tanto che mi piacerebbe mandarlo a un concorso di una certa importanza. Peccato che il concorso accetti testi fino a 2500 parole. E duemilacinquecento sono meno di quasi quattromila. Un bel po’ di meno. Quindi sto cercando di capire se vale la pena di provarci. Se posso ridurre BJ alle dimensioni necessarie senza danneggiarlo irreparabilmente. Per ora sono alla fase potatura – con risultati modesti. La settimana prossima comincio a rimuginare su eventuali amputazioni.

Ecco, più o meno è così che funziona. Poi ci sono gli altri lavori, le traduzioni di saggistica, le revisioni, e le idee di tre plays – una vecchia, una nuova e una di mezz’età – che strillano Scrivimiscrivimiscrivimi… Ma quello per ora è rumore di fondo.

More to come. E sarà bene che torni al lavoro.

grillopensante · lostintranslation · teatro

Il Bardo & Gian Burrasca

GianB 1In una quinta elementare qui attorno avevano iniziato a leggere Il Giornalino di Gian Burrasca – con scarsa soddisfazione degli implumi, scoraggiati dal linguaggio antiquato.

Salta fuori allora che esiste una… versione? Traduzione? Retelling? Mah… diciamo che esiste Gian Burrasca in linguaggio d’oggidì. La maestra ci riprova e… buona la seconda. Gli implumi leggono Vamba tradotto, e ci trovano un gran gusto. Sipario.

Intanto, Oltretinozza, il prestigioso Oregon Shakespeare Festival commissiona a 36 autori teatrali altrettante traduzioni – their own words – di opere shakespeariane in Inglese più o meno contemporaneo… qui un finale ancora non c’è, perché il progetto PlayOn! è ancora in corso. L’idea dell’OSF è quella di mettere in scena le “traduzioni” accanto agli – e non al posto degli – originali e, come era scontato che accadesse, accademici, teatranti vari e spettatori potenziali si dividono in fazioni con una certa ferocia.

È presto per dire, e bisognerà vedere le reazioni del pubblico americano a PlayOn! – ma Gian Burrasca e il Bardo tradotti sono una faccenda interessante e allarmante al tempo stesso.

Non mi metterò a strillare allo scandalo e al sacrilegio* e la prenderò invece da un altro lato. Che la prospettiva storica sia una questione vastamente negletta non è una novità di oggi. Ogni singola “modernità” ha mostrato più interesse nel rileggere il passato alla luce di sé stessa che nel capirlo nel suo contesto. Why, Shakespeare stesso dava ai suoi antichi Romani linguaggio, mentalità e comportamenti elisabettiani. È l’umana natura – un misto di bisogno di identificazione, appropriazione culturale e spudorata pigrizia. PlayOn

Shakespeare in particolare sembra avere stimolato ogni genere di rimaneggiamenti attraverso i secoli. C’è sempre qualcuno convinto di potere o dovere dare una sistematina alle sue opere, per amore della spettacolarità, della simmetria, dell’ordine, della logica, del buon gusto, del pudore, del costume dei tempi… È, a suo modo, un segno della vitalità dello zio Will. Tutti hanno l’aria di dire “È nostro!” in modi che sono raccapriccianti dal punto di vista filologico, ma molto rivelatori e, alla fin fine, molto affascinanti.

E mi viene da pensare che l’appropriazione shakespeariana (e vambiana) del XXI secolo abbia nome “fretta”. In fondo è una cifra dei nostri tempi: tutto va afferrato e goduto subito, giusto? Subito e con il minore sforzo possibile. Che si debba sudare un pochino per godere di qualcosa fa storcere la bocca. Se bisogna aspettare, fare qualche sforzo, guadagnarsi qualcosa un po’ per volta – odds are che si perda interesse e si vada a cercare altrove. Qualcosa di più facile.

easy-buttonEcco, più facile. È questo il nocciolo allarmante di PlayOn! e del Vamba per i Fanciulli d’Oggidì: la possibilità che la facile accessibilità di queste versioni finisca per scalzare gli originali. Quanti, dopo avere visto un Riccardo III “tradotto”, dopo aver letto il Vamba ventunesimizzato, andranno a cercarsi gli originali? Potreste dirmi – lo dico anch’io – che nel caso di Gian Burrasca non è poi così grave. Vero, di per sé. Nessuno sarà spaventosamente impoverito per non avere letto la prosa originale di Vamba – ma il punto è un altro. L’implume che, dopo avere storto il naso sul linguaggio difficile, legge con soddisfazione la traduzione facile, ci avrà guadagnato qualche risata, ma avrà perso l’occasione di imparare ad accostarsi  a un linguaggio diverso dal suo. Se va bene ne avrà altre – ma il precedente gli avrà insegnato che non è necessario. Che c’è un modo più facile – e quindi perché faticare a capire che cosa dicevano nel 1912, come lo dicevano e magari perché lo dicevano in quel modo?

In qualche modo, tradurre Vamba mi sembra persino più grave che tradurre Shakespeare. Sono tentata di vederci il sintomo di qualcosa di peggio. Perché tradurre Vamba in realtà non ha altre giustificazioni. Potete difendere PlayOn! dicendo che è un tentativo di riprodurre l’immediatezza fra scena e pubblico che era l’esperienza quotidiana dei theatre-goers elisabettiani. Potete dire che l’OSF fa quello che hanno fatto Tate, Davenant, Pope, Garrick, i Lamb e i Bowdler – e sperare che passi come sono passati gli altri. Potete meditare su traduzioni in Inglese e traduzioni in altre lingue**… Potete fare un sacco di cose con le traduzioni di Shakespeare – ma Vamba? A che serve tradurre Vamba, se non ad offrire ai fanciulli una via “più facile”, sanzionata dalla scuola?

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* E qui parlo di Shakespeare, ovviamente. Non so voi, ma con la profanazione dell’opera di Vamba sento di poter convivere.

** Una delle meraviglie delle traduzioni shakespeariane di Quasimodo non è forse proprio quella certa atemporalità del linguaggio? Dovremmo considerare solo le traduzioni in Italiano cinquecentesco? Sarebbero praticabili dal punto di vista teatrale? Domande, domande, domande…