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E Niente Limone, Grazie…

teaiOggi parliamo di tè al latte, volete?

A me piace tanto, il tè al latte. Ne bevo tanto, tutti i giorni: cinque o sei grosse tazze al dì – niente zucchero e tanto latte. È un’abitudine che ho acquisito secoli fa, durante la mia prima estate scozzese, e mi va benissimo così. Nessuna smania di disintossicarmi, né nulla del genere. Tuttavia, siccome una tazza di tè richiede qualche calma, di rado ne bevo nei bar dove, più spesso che no, capito di fretta.

Poi un giorno, qualche tempo fa, arrivo in un grazioso posto insieme a degli amici – uno di quei piacevoli caffè con i tavolini all’aperto È una pigra e soleggiata domenica, un pomeriggio senza impegni particolari, e quindi mi dico: perché no? Un tè al latte, grazie. L’amico che entra a ordinare per tutti  torna poco dopo, divertito e perplesso in parti uguali.

“Chiedono che cosa intendi con tè al latte. Io credevo che fosse abbastanza ovvio, ma sono così sconvolti dalla richiesta… mi sfugge qualche mistero?”

Spiego che non intendo niente se non l’ovvio – e A. torna dentro a rassicurare la barista: un tè normalissimo, con un po’ di latte.

LemonE poco dopo la signora arriva portando la teiera, un enorme bicchiere di latte bollente con un dito di schiuma e quattro tazze, ciascuna con la sua brava fetta di limone alta un dito. Anche la mia. E ci resta anche male, quando tutti solleviamo un sopracciglio.

“Ha detto tè con un po’ di latte,” ricorda severamente ad A. – e quando le spieghiamo che in effetti è così, ma il tè si prende col latte oppure col limone, e rigorosamente uno solo dei due, se ne va convinta di avere a che fare con una banda di squilibrati. Noi aspettiamo che sia rientrata nel caffè per sghignazzare, ma… insomma, siamo in campagna, ed è vero che da queste parti il tè si beve per lo più al limone – se e quando lo si beve affatto. È chiaro che la barista non ha mai incontrato prima quest’esotica eccentricità, il tè al latte…

E non ci penserei più se, qualche mese più tardi, in un altro paesotto, non mi capitasse una pausa forzata nelle prove. Insieme alla regista, me ne vado in cerca di tè. Troviamo un bar vicino al teatro, ordino due tè di cui uno al latte – e di nuovo mi si chiede che cosa intenda con quest’espressione marziana. E di nuovo la spiegazione produce una teiera, un bricco di latte e una tazza con la fetta di limone. Solo che è uno di quei posti con il bancone altissimo e, piccoletta che sono, mi accorgo del limone solo dopo averci versato sopra il latte e il tè… Teacups

E qualche tempo dopo, in un altro villaggio ancora, due giovanissime bariste mi fanno lo stesso numero – nello stesso bar, ma in due giorni successivi. E ogni volta sono occhiate dubbiose e bizzarre bevande calde… A nessuno pare mai albeggiare in mente che latte e limone, se lasciati insieme senza supervisione, finiscono per cagliare. O forse ci pensano e non vogliono far arrabbiare la squilibrata che beve il tè al formaggio?

Insomma, da allora ho imparato a chiedere tè al latte – senza limone, grazie. Però di solito aspetto un attimo per vedere la reazione: in caso di blank eyes mi affretto a specificare, altrimenti corro il rischio. E così facendo ho constatato che forse è una faccenda generazionale: più è giovane la persona dall’altra parte del banco, più facilmente si sconvolgerà davanti alla richiesta. I baristi dalla mia età in su, on the other hand, sanno di che si tratta senza traumi né patemi.

Oh dear. Il tè al latte è dunque cosa da over quaranta – almeno a queste latitudini? Sto dunque invecchiando? Si direbbe di sì – ma ciò non m’impedirà di continuare. Ormai è qualcosa a mezza via tra un’indagine sociologica e una crociata: un tè al latte. Senza limone, grazie.

E dalle vostre parti, o Lettori, che succede se ordinate un tè al latte?

 

angurie

E lo Spirito di Giugno (per non parlar del tè)

TeacupsÈ una ventosa mattina di tarda primavera e la Clarina, tanto per fare qualcosa di originale, siede al computer e traffica su traduzioni, articoli, scene aggiuntive e altre cose che altra gente, altrove, sta attendendo. Per motivi di varia natura, la Clarina sta ascoltando colonne sonore di film shakespeariani di Branagh. Patrick Doyle, avete presente?

Non nobis, Domine Domine… ♫

Ecco, così.

Entra R. stage left e…

R. – Ti sei già procurata un secondo tè?

la Clarina (vaghissima e distratta) – Eh?

R. – Ti sei già procurata un secondo tè?

C. (dedicando qualche neurone in più alla faccenda – ma non molti…) – Se mi sono già procurata un “secondo me”? In che senso?

R. – No, non un “secondo te”, un secondo tè. Tazza di tè. Quella cosa che si beve, you know. Che tu bevi serialmente…

La Clarina collassa sulla tastiera in una crisi di cachinni. In realtà il secondo tè l’ha già preso, ma non ha né la forza né la volontà di fermare R. che interpreta la reazione a modo suo e parte per procurare altro tè. In fondo il concetto di “troppo tè” non ha nulla a che fare con la realtà come la conosciamo, giusto?

SdKE mentre la Clarina cachinna, odesi voce disincarnata.

Lo Spirito di Kit – Ma guardati! Guarda in che condizioni. Ed è solo giugno… I primi di giugno.

C. (guarda su) – Giugno…?

SdK – Sì, quel mese che viene quando maggio finisce completamente.

C. – So che cosa è giugno, grazie.

SdK – E allora? Ti eri persa qualche giorno?

C. – Può essere. Giugno, dear me. Di già. E il mission statement. E gli articoli. E le scene aggiuntive. E il piano del corso, e la recensione, e il gruppo di scrittura…

SdK – E il romanzo…

C. – E il romanzo!

SdK – E hai per caso controllato se è uscito il bando per il concorso della Historical Novel Society?

C. – Uh… no!

SdK – E nel caso, ce l’avresti un racconto pronto?

C. – No…

SdK – E i due plays e mezzo che hai in coda?

C. – Oh povera me…

SdK – E magari qualcosa che porti in scena me, anziché lo Spirito del Bardo? Perché noto che per mettere in scena lui il tempo l’hai trovato…

C. – Oh, fa silenzio. A te non scrivo mai nulla, vero? Solo… what? Tre racconti, tre romanzi, un play e mezzo e un quarto*, un monologo, una traduzione…

SdK – Ay well, in uno dei romanzi non sono nemmeno il protagonista, uno l’hai abbandonato definitivamente e l’altro è fermo a metà da… quant’è, due anni? E comunque non divagare. Il punto è che sei indietro sul ruolino di marcia. Indieterrimo, considerando che l’estate è dietro l’angolo e–

C. – In realtà è già qui… Ti ho mai parlato delle mie stagioni personali che non hanno nulla a che fare con solstizi&equinozi – o almeno non molto? E, a ben pensarci, ci ho mai postato su?

SdK – Reitero il concetto: non divagare. Sono i primi di giugno, hai oceani interi di cose da fare e guarda come sei messa: ti perdi i mesi, ti dimentichi tutto, non capisci quel che ti si dice…

C. – Non esageriamo, vuoi? È solo… Probabilmente è una situazione momentanea dovuta alla carenza di tè. teac

Right on cue, entra R., stage left.

R. – Secondo me non è il secondo tè – ma ecco qui.

La Clarina domina un secondo convulso d’ilarità, prende il suo terzo tè e R. esce. Nel frattempo lo Spirito di Kit è uscito dal fondo, come (fortunatamente) ha l’abitudine di fare ogni volta che arriva qualcuno. Tuttavia, prima di sparire del tutto…

SdK (offstage) – E hai bisogno di ascoltare proprio questa musica?

C. – Da domani, Boito & Gounod, vuoi?

E siccome il Mefistofele e il Faust son tratti da Goethe, lo SdK non si degna nemmeno di rispondere – e possiamo considerarlo definitivamente uscito. La Clarina sorseggia tè e intanto scrive con una mano sola. Il gruppo di scrittura, il piano del corso, la recensione, le scene aggiuntive, gli articoli, il mission statement… Sarà bene che la Clarina si dia da fare, don’t you think?

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* E no, non è la stessa cosa che uno e tre quarti.

anglomaniac · angurie

L’Ora del Tè

 

Oggi sono in una disposizione d’animo particolarmente nonsense – e non ho avuto nemmeno la metà di una ragionevole quantità di tè…

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“Vuoi ancora del tè, mia cara?”

“Come posso volerne ancora, se non ne ho avuto affatto?” chiese Alice.

Ecco, non è che non ne abbia avuto proprio affatto – ma rende l’idea.  E quanto mi piacciono le illustrazioni di Arthur Rackham

anglomaniac · LeggerMangiando · teatro

MangiarLeggendo: i Sandwich al Cetriolo di Algy Moncrieff

Expo, giusto?

Cose mangerecce in ogni dove… E allora, mi chiedo, perché noi no?

Dopo tutto nei romanzi e a teatro si mangia spesso e volentieri, giusto?

E allora che ve ne parrebbe se, a partire da oggi, ce ne andassimo settimanalmente in esplorazioni letterario-culinarie? Non faccio promesse sulla durata della faccenda: intanto cominciamo, poi si vedrà.

10123_2E cominciamo da Oscar Wilde, e dall’Importanza di Chiamarsi Ernesto, in cui si prende il tè due volte nel giro di tre atti, si sgranocchiano lingue di gatto, si beve limonata e ci si scambiano innumerevoli inviti a cena – con e senza musica. Principe di questa abbondanza culinaria è Algy Moncrieff, l’uomo che non sopporta chi non è serio in fatto di pasti. E infatti il primo tè lo si prende proprio a casa sua, accompagnato da pane e burro (nelle case migliori, I’ll have you know, la torta proprio non usa più) e sandwich al cetriolo fatti preparare espressamente per la terribile Zia Augusta. In realtà poi i sandwich Lady Bracknell non li vedrà nemmeno, avendoli Algy divorati prima dell’arrivo degli ospiti… E allora l’impassibile cameriere Lane interverrà lamentando la straordinaria mancanza di cetrioli al mercato.

Ora, se avete soggiornato per qualsiasi quantità di tempo nelle Isole Britanniche, odds are che i sandwich in questione li abbiate assaggiati. Altrimenti non inorridite, per favore: fatti come si deve sono assolutamente deliziosi, leggeri e molto freschi. Di ricette ne esistono molte, ma vediamo di andare sul semplice e sul tradizionale, volete?

Per dodici piccoli sandwich*:

– Sei fette di pane bianco da tramezzini (quello soffice e non gommoso, per capirci)
– Mezzo cetriolo sbucciato (o intero – dipende dalla dimensione)- Sale
– Pepe bianco
– Burro (non salato) a temperatura ambiente

Tagliate i cetrioli a fettine, metteteli in un colino, salateli e lasciateli dove sono per una decina di minuti. Intanto imburrate CucumberSandwichleggermente le vostre fette di pane. Recuperate i cetrioli, scolateli per bene, asciugateli delicatamente con la carta da cucina e poi disponeteli su metà del pane, sovrapponendo un poco le fettine. Cospargete di pepe bianco – senza esagerare, e coprite con il resto del pane imburrato. Infine tagliate ciascun sandwich in quattro – a triangolini, quadratini o rettangoli – facendo attenzione a non lasciar sfuggire le fettine di cetriolo.

Servite subito con il tè. Se dovete aspettare, coprite i sandwich con un tovagliolo leggermente umido.

Semplice, no? Esistono variazioni che richiedono il pane scuro invece di quello bianco, oppure fanno marinare le fette di cetriolo nell’aceto per un po’, oppure sostituiscono il formaggio spalmabile al burro, o ancora condiscono il cetriolo con una spruzzata di limone e foglie di menta… Gli Americani mettono (gasp!) la maionese invece del burro – ma non è colpa loro: è che sono nati sul lato sbagliato della Tinozza.

Sperimentate, sperimentate – ma fate attenzione al pepe. A suo tempo, per un debutto dell’Importanza, preparammo (preparai) davvero un piatto di questi arnesi per la prima scena. Essendo Lady Bracknell, non arrivai ad assaggiarne nemmeno l’ombra, ma il nostro Algernon, che doveva mangiarne a quattro palmenti, per poco non si strozzò con il pepe. D’altra parte, Jack/Ernest gli aveva appena chiuso una mano nel pianoforte, per cui… Debutto interessante – ma mi si disse che, pepe a parte, i  sandwich erano buoni.

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* Sto assumendo che abbiate qualche ospite per il tè.