angurie · Ossessioni

Telefoni Al Crepuscolo

Vi devo mettere a parte.

Ero in treno, e nel posto dietro di me era seduto questo ragazzo, provvisto di cellulare. A un certo punto si è messo a telefonare – e non è che abbia origliato, ma il soggetto parlava a un volume difficile da ignorare.

A posteriori, mi viene da pensare che il volume fosse deliberato, ma non anticipiamo.

E la prima telefonata era per qualcuno di nome Federica. Il telefonatore informava Federica di essere appena partito, lasciando Edward da solo nella casa al mare. Oh sì, grazie, si erano divertiti molto. No, niente di… Tutto tranquillo. Tutto nei limiti di… Sì, ok, niente di pericoloso. Però il punto era che Edward non poteva più comunicare, perché il suo cellulare era guasto. No, non il caricabatterie – o almeno il telefonatore non credeva che fosse il caricabatterie. Un guasto un po’ strano, a dire la verità. Ad ogni modo, una volta partito il telefonatore, Edward era là da solo e senza modo di comunicare, per cui Federica non doveva stupirsi se non avesse ricevuto sue notizie per qualche giorno.

Fine della prima telefonata.

Seconda telefonata: “Ciao, Bella!” E al fatto che gli ululati comunicativi del telefonatore non mi lasciassero leggere, si è aggiunta la lieve irritazione nei confronti della gente che chiama tutte le ragazze “Bella”. Anche a “Bella” è stata ammannita una versione abbreviata della faccenda del telefono di Edward, con annessa richiesta da parte di Edward: poteva per favore Bella incontrarlo sotto casa sua alle tre e mezza? “Ah, Bella, Bella – che cosa vuoi che ti dica?”

E se a questo punto pensate che sono lenta di reazioni, siete giustificati in pieno, perché è stata solo l’improbabilità estrema di questo “Bella, Bella” a farmi levare un sopracciglio.

“Bella”?

Edward?

“Bella” & Edward?

Bella & Edward?

Bella & Edward?

Ma…?

twilight, bella, edward, stephenie meyer, make believe, anne brontë, emily brontëE allora sì che mi sono messa ad ascoltare sul serio – ma, alas, il telefonatore ha salutato Bella e ha riattaccato.

Natch.

Sono rimasta in ascolto per un po’, sperando che ricominciasse, che chiamasse magari Hermione per chiederle se aveva il numero di Harry, ma sono rimasta amaramente delusa.

E tuttavia sono affascinata oltre ogni dire.

Non ho idea di che età avesse il personaggio. Non ho avuto il coraggio di sbirciare e a giudicare dalla voce poteva essere in qualsiasi punto fra, diciamo, i diciassette e i venticinque. E scartando la possibilità di una coincidenza, e a meno di soprannomi dissennati, mi è capitato un compagno di viaggio in preda all’irresistibile necessità di sentirsi dentro un libro.*

O, a ben pensarci, un film. 

Va bene: l’irresistibile necessità di sentirsi dentro una storia.

E non solo di immaginarcisi dentro privatamente, ma di rendere il tutto un po’ più vero con un minimo di esposizione.

Make-believe (più o meno) adulto.

Anne ed Emily Brontë che per tutto il viaggio in treno da York a Keighley giocano ad essere i loro personaggi gondaliani – a parte il non trascurabile dettaglio che invece questo ragazzo giocava con personaggi altrui.

O forse non del tutto, perché non so chi si supponeva che fosse lui in tutto questo…

O che cosa credesse che l’ascoltatore casuale avrebbe pensato.

O se avesse valutato il rischio di fare cose del genere su un treno su cui tutti (compresa la sottoscritta) sembravano incontrare per caso amici, parenti, conoscenti e vicini di casa…

O se lo preoccupasse affatto la prospettiva di essere scoperto…

Perché in realtà, la faccenda era organizzata persino con qualche accortezza tecnica: la prima telefonata a Federica, per stabilire la situazione e chiarire che no, lui non era di quelli che chiamano tutte le ragazze “Bella”…

Lo ripeto: sono affascinata.

Mi fa venire in mente la descrizione dello zaffiro** di famiglia in Beau Geste: guardarlo non bastava, dice il narratore. Faceva venire voglia di farci qualcosa d’altro, afferrarlo, stringerlo in mano, assaggiarlo… 

Immaginarcisi dentro. Ricamarci sopra. Fingere di telefonare.

Col che non voglio dire che Twilight sia una pietra preziosa***. Ma non mi dispiace pensare che sia la natura delle storie: a volte guardarle non basta…

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* No, in realtà c’è anche la possibilità che il telefonatore appartenesse a quel genere di persone cui piace far sobbalzare il prossimo. E devo ammettere che un sobbalzino l’ho fatto…

** O diamante azzurro che fosse – non mi ricordo.

*** A meno che non consideriate la natura dello zaffiro in questione… Oh, d’accordo: questa è per chi ha letto Beau Geste – ed è anche lievemente cattiva. 

 

 

 

grilloleggente

Qualcuno Mi Spieghi Twilight

Confession time. Sto leggendo Twilight, di Stephenie Meyer.

Qualifichiamo: lo sto leggendo più o meno per scommessa – o meglio, sto cercando di leggerlo, ma è davvero, davvero faticoso. E’ faticoso perché sono più o meno a metà e ancora non è successo nulla. Ma nulla. O meglio, è successo che (Isa)Bella Swan, diciassettenne goffa e inconsapevole del suo fascino*, si è trasferita dalla solatia Arizona in un posto piovosissimo dello Stato di Washington (credo – ma potrei sbagliarmi) e si è ritrovata in classe con un ragazzo bellissimo e misterioso. Fatale attrazione reciproca. C’è il piccolo particolare che lui è un vampiro, ma Bella, che all’inizio sembrava possedere qualcosa di vagamente simile a una personalità, è così persa dietro al giovinotto che i lunghi canini e le malsane abitudini alimentari le fanno un baffo.

Come sapete, sto combattendo una dura battaglia contro lo snobismo di genere, il mio prima di tutto. E così, quando un’amica e collega d’Oltreoceano mi ha regalato la versione elettronica di T. completa di scommessa dai circostanziati (e tecnicissimi) termini, ho cominciato con le migliori intenzioni di non avere pregiudizi.

Anche perché Randy Ingermanson ha scritto un’interessante analisi del Romanzone Più Amato Dalle Adolescenti, mettendone in luce un particolare aspetto di solidità narrativa di cui una volta o l’altra parleremo: la coerenza interna delle premesse paranormal/vampiresche.

E il primo capitolo o giù di lì, tutto sommato, mi aveva fatto dire “Be’, dopo tutto c’è di peggio.”

Sia chiaro: le motivazioni di Bella appaiono fumosette anzichenò fin dall’inizio, ma la voce narrante (seppur non proprio diciassettennissima) non era del tutto male, con una certa asciuttezza e un genere di sarcasmo self-deprecating

Ma questo accadeva, appunto, attorno al primo capitolo.

Adesso, qualche centinaio di pagine più tardi** sono un tantino idrofoba. A parte la quantità industriale di coincidenze di improbabilità e di forzature su cui poggia la trama (se vogliamo proprio chiamarla così), a parte l’infallibile e adolescentissima maniera in cui piove sempre al momento giusto, a parte la ripetitività della vita scolastica descritta in puntiglioso dettaglio***… a parte tutto ciò, in chiusura del capitolo terzo ero già repleta e satolla di sentir insistere sulla preternaturale goffaggine fisica di Bella e – ancora di più – sulla perfetta, sovrumana, abbagliante bellezza di Piccoli Vampiri Crescono.

i_libri_preferiti_da_edward_e_bella.jpgAnche perché non c’è granché d’altro: l’immediata elettricità che cresce rapidamente in reciproca attrazione, la supina adorazione di Bella, che smette di ragionare, smette di pensare, smette di fare qualsiasi cosa non sia struggersi per Edward, e questa inspiegata propensione della fanciulla a mettersi nei guai/attirare pericoli. Mi auguro vivamente che quest’ultimo particolare venga spiegato e si evolva in qualcosa di simile a una trama, ma comincio a disperare.

Ciò detto, Twilight ha uno straordinario successo – tanto da generare non solo una serie di film, ma anche qualcosa che non so come definire se non come una specie di indotto. Mi si dice che Across The Pond sia in vendita un tripudio di guide, istruzioni, libri di ricette per organizzare la perfetta festa di Halloween ispirata alla saga della Meyer, e ho visto personalmente un ebook di ricette per fare dolcetti con nomi come Bella’s First Kiss e simili. Sul nostro lato, Mondadori ha pensato bene di capitalizzare sul successo di Twilight pubblicando nuove edizioni tascabili di classici della letteratura con copertina nera e tanto di bollino rosso fuoco che recita “I Libri Preferiti di Bella e Edward”. Se siete curiosi di sapere chi hanno scomodato, ve lo dico io: Shakespeare, Emily Bronte e Jane Austen, per dire. E una breve ricerchina in rete mi ha condotta su un sito pieno di entusiastici commenti divisibili in tre filoni: a) Corro a comprarli! b) Che bella idea per avvicinare i giovani alla letteratura! c) gente più sana che leva un sopracciglio all’idea che Shakespeare abbia bisogno di essere sponsorizzato da Bella e Edward****.

Insomma, le ragazz(in)e sono in delirio – e io vorrei capire bene perché. A metà libro, mi pare che il fenomeno Meyer si spieghi molto meno di altri casi editoriali paragonabili. Qualsiasi altra cosa si possa pensare di loro e della loro scrittura, bisogna ammetterlo: Dan Brown prende temi controversi e ci costruisce attorno trame adrenaliniche, mentre J.K. Rowling ha avuto una brillante idea di partenza e, almeno per un certo numero di libri, l’ha sviluppata in modo fantasioso e avvincente.

Ma Twilight? Supponiamo pure che la bigia vita quotidiana di Bella (scuola, compiti, qualche lavoretto di casa, una spedizione in città con le compagne di classe…) sia il genere di realtà da cui milioni di adolescenti sognano di evadere. E poi? Milioni di adolescenti sognano di aspettare passivamente l’arrivo di un moroso da urlo – meglio se non del tutto raccomandabile – dal quale lasciarsi proteggere e salvare ogni volta che si ritrovano (altrettanto passivamente o per semi-attiva stupidità) nei guai?

Perché questa storia non somiglia a niente come a una gigantesca fantasia collettiva in cui una Mary Sue che si crede ordinaria viene scelta dal Principe Azzurro problematico e ne diventa del tutto succube – un inno alla passività completa.

Lo ammetto: non ho più sedici anni da molto tempo e quindi forse mi sfugge qualcosa. Ma mi piacerebbe capire.

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* Of course. E altrettanto naturalmente, questo fascino è notevole…

** Non so di preciso: Kindle dà una percentuale invece di un numero di pagina…

*** Biologia, trigonometria, lettere, educazione civica e ginnastica: ma non studiano altro nei licei americani?

**** Sì, lo so: manca una -d- eufonica. Mondadori’s wording, not mine.

cinema · grillopensante

La Vita Sessuale Delle Stelle Marine

Erwin Panofsky, che era uno storico dell’arte americano di origine tedesca, scrisse che negli Anni Venti e Trenta l’élite intellettuale tedesca considerava il cinema una sorta di piacere colpevole, nella migliore delle ipotesi:

Nessuna meraviglia quindi che le classi “alte”, quando con cautela cominciarono ad avventurarsi in questi primi cinematografi, lo facessero non in vista di un normale e magari serio divertimento, ma con l’atteggiamento fra imbarazzato e condiscendente con cui ci si può immergere, in allegra compagnia, nella pittoresca confusione di Coney Island o in una fiera di paese; ancora fino a pochi anni fa, negli ambienti socialmente elevati o fra gli intellettuali era consentito dichiarare apprezzabili solo film austeri e istruttivi tipo La vita sessuale delle stelle marine o film dai “bei paesaggi”, ma nessuno avrebbe mai confessato di divertirsi a quelli narrativi.*

 Si direbbe che certe cose non cambino poi troppo e, quando ho letto questo passaggio, la mia prima intenzione è stata quella di farci sopra un rant sullo snobismo che circonda la letteratura (e il cinema) di genere. Perché snobismo c’è, inutile negarlo, ed per di più è prodotto in gusti misti assortiti. Ci sono quelli che si stracciano le vesti al solo nominare Dan Brown, J.K. Rowlings o Stephenie Meyer, ululando alla crassa ingiustizia di un mercato che stravede per questa robaccia malscritta e ignora i capolavori – ma poi scopri che non c’è un’anima che non abbia letto almeno un volume di Harry Potter e/o Il Codice Da Vinci.

Ci sono quelli per cui una storiellona d’amore con elementi soprannaturali scritta da un autore (o meglio un autrice) africano, asiatico o sudamericano è sempre poetica, profonda ed emozionante, mentre la stessa storiellona scritta da un(‘)occidentale – specie se statunitense – è sicuramente robaccia commerciale. 

Ci sono quelli che, quando dici che non ti piacciono la Allende, Pasolini o la Barbery** cominciano a considerarti un esemplare di un’umanità inferiore.

Ci sono quelli che accampano le scuse più diverse per spiegare come mai sono così bene informati su quello che succede in Twilight o in Angeli e Demoni (dal diffusissimo “volevo capire che cos’ha di così speciale” a “qualcuno doveva pur accompagnare le bambine”, fino all’Oscar per la Migliore Stella Marina: “no, non l’ho visto: me l’ha raccontato mia madre!”)

Ci sono quelli che vanno al cinema “per il messaggio”…

Ecco, questo era più o meno quello che intendevo scrivere a proposito di Panofsky e delle sue stelle marine.

Poi ho fatto una brusca frenata e un rapido esame di coscienza. Posto che penso davvero tutto quel che ho scritto fino a qui, posso dire di non essere una snob in fatto di cinema e libri? Mi sa tanto di no. Mi compiaccio della mia apertura e maturità perché riconosco a Dan Brown di conoscere molto bene il suo mestiere, ma poi tempesto contro Nicholas Sparks e Richard Bach. Ho letto tutti i libri di Harry Potter e ho visto anche tutti i film; è vero che non tutti mi sono piaciuti, ma nessuno mi ci ha mai costretta, e la scusa dei meccanismi narrativi è diventata logora dopo i primi due o tre, vero? M’infurio per lo snobismo che circonda la letteratura (e il cinema) di genere e poi tendo a glissare sulle mie letture fantasy. Fatico ancora un po’ ad ammettere di non avere mai finito L’Idiota e di essermi annoiata a morte con Ulysses

Insomma, predico meglio di quanto razzoli: se dovessi cercare un metodo nella faccenda, direi che non ho la minima difficoltà ad ammettere avversioni anche inconsuete e omissioni deliberate e motivate. Quando si tratta di discutere le mie lacune e miei piaceri colpevoli, invece, divento improvvisamente assai timida e sviluppo una memoria selettiva.

D’altra parte, sono abbastanza convinta di essere in buona compagnia. Chi può dichiarare with a straight face di non avere stelle marine nell’armadio alzi la mano e si abbia la mia invidiosa ammirazione – oppure la mia lieve incredulità, a scelta.

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* E. Panofsky, Lo Stile E La Tecnica Del Cinema, (1936). Si trova tradotto in Italiano in Tre Saggi Sullo Stile, edito da Electa.

** Tre scelti a caso e in ordine sparso.

Ah, e no: non so se La Vita Sessuale Delle Stelle Marine esista davvero o se Panofsky l’abbia inventato di plinco. Una rapida ricerca in rete non ha rivelato nulla.