bizzarrie letterarie · libri, libri e libri

Bloomsday!

BloomsdayUn rapido post per segnalarvi il fatto che oggi è Bloomsday – il giorno in cui i joyciani-ulissiani si danno convegno a Dublino per discutere di letteratura, assistere a letture drammatizzate, ripercorrere i passi di Leopold Bloom e Stephen Dedalus, bere quantità inordinate di birra e giocare a giochi letterari – il tutto in abiti edoardiani, il tutto ispirato all’Ulisse. E se Dublino è la capitale di questo magnifico e lievemente folle festeggiamento letterario, anche il resto del mondo non scherza.

Anche in Italia facciamo la nostra parte: Trieste, com’è ovvio, ma anche Salerno e una certa quantità di altri posti

james joyce, ulisse, ulysses, bloomsdayPerché tutto ciò? Perché l’Ulisse si svolge tutto in un giorno, appunto il 16 giugno 1904. E perché il 16 giugno? Non è come se non ci si fosse disperati a cercare un significato: il 16 giugno 1904 è la data del primo appuntamento di Joyce con il suo grande amore, Nora Barnacle. Lo stesso giorno, vent’anni dopo, a Ulisse pubblicato, Joyce era in ospedale e annotò sul suo taccuino di avere ricevuto un mazzo di ortensie bianche e azzurre da degli amici. “Oggi 16 giugno 1924 – vent’anni dopo. Chissà se qualcuno si ricorderà di questa data.”

Si direbbe di sì – e d’altra parte si era preso la briga di immortalarla nel suo capolavoro…

Così, cento e tredici anni più tardi, si celebra ancora con grande entusiasmo e altrettanta fantasia. E per quanto debba confessare che in realtà Ulisse non mi piace particolarmente, adoro questa frenesia di celebrazione letteraria.

Concludo segnalandovi la pagina rilevante al Project Gutenberg. Happy Bloomsday!

anglomaniac · bizzarrie letterarie · Poesia

Limerick!

Edward_lear2.jpgIl limerick è una poesiola in cinque versi (dimetri o trimetri anapestici, a voler essere pignoli) con uno schema di rime AABBA. Ora, perché qualcuno vorrebbe inventare una forma poetica di cinque versi anapestici*? Ma perché qualcuno è inglese, naturalmente. O più che altro irlandese: a parte qualche esempio arcaico (il solito, onnipresente Shakespeare – ma la faccenda è dubbia, e un ecclesiastico seicentesco in vena satirica) l’origine del genere sembra doversi cercare nell’Irlanda settecentesca, dove i cosiddetti Poeti del Maigue si sfidavano a produrne di estremamente licenziosi.

Noi adesso associamo il limerick alla letteratura nonsense grazie a Edward Lear che, nella seconda metà dell’Ottocento, prese la forma e la usò per le sue incantevoli rime assurde, come questa:

There was an Old Lady of Prague,
Whose language was horribly vague,
When they said,”Are these caps?”
She answered “Perhaps!”
That oracular Lady of Prague.

Oppure questa:

There was a Young Person of Smyrna
Whose grandmother threatened to burn her*;
But she seized on the cat,
and said ‘Granny, burn that!
You incongruous old woman of Smyrna!’

E a questo punto è evidente che la prosodia non è precisamente il primo dei problemi nel comporre un limerick: giochinonsense--edward-lear-001 di parole, allitterazioni, assonanze, nomi geografici e bizzarrie di pronuncia** sono i nove decimi del sugo di questo gioco, e al diavolo i trimetri anapestici – anche se, come Lear, si era il professore di disegno della Regina Vittoria. Tra l’altro c’è un che di estremamente appropriato nell’idea che sia stato un eminente vittoriano a… come dire? Ad addomesticare il limerick purgandolo dalla sua componente licenziosa. Voglio dire: era gente che metteva i pantaloni ai pianoforti!

A quanto pare, all’epoca non si chiamavano neppure limerick, e l’origine del nome è controversa. Pare che il primo uso documentato risalga al 1880 in Canada, per questa strofetta (da cantarsi sull’aria di Will You Come Up To Limerick, il che – pare a me – fa molto per spiegare l’origine del nome…):

There was a young rustic named Mallory,
who drew but a very small salary.
When he went to the show,
His purse made him go
To a seat in the uppermost gallery.

L’importante è presentare un protagonista (spesso in termini geografici) al I verso, descriverne le Edward_Lear_More_Nonsense_87.jpgbizzarrie al II, derivarne conseguenze ancora più dissennate al III e al IV, e raggiungere una conclusione nel V, in un genere di progressione logica inattaccabile nella sua completa illogicità. Insospettabili ed eminenti britannici si sono divertiti un mondo a coniare limerick. Di sicuro non vi stupite se cito Lewis Carrol, ma come la mettiamo con Stevenson? E Joyce? Sì: il Joyce di Ulisse scriveva limerick. Per non parlare poi di Bertrand Russel, non so se mi spiego. Ma d’altra parte, quando si tratta di nonsense, gli Isolani sono pieni di sorprese…*** E in Italia? Be’, il babbo del limerick italiano (talvolta chiamato limericco) è Gianni Rodari che, nella Grammatica della Fantasia, consiglia a chi voglia cimentarsi in questo albionico sport di “Prendere due parole possibilmente molto lontane come campo semantico, ma in rima fra di loro, e lasciarle sbattere fra di loro finché dalla scintille non nasca la prima idea della poesia”. Con questo metodo, Rodari produceva rime siffatte:

Una volta un dottore di Ferrara
Voleva levare le tonsille a una zanzara.
L’insetto si rivoltò
E il naso puncicò
A quel tonsillifico dottore di Ferrara.

E ora, o Lettori, qualcuno vuole provare e cimentarsi a far limerick per diletto?
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* Se volessimo essere spiritosi diremmo che, avendo tre versi con tre piedi ciascuno e due versi con due piedi ciascuno, il limerick è una bestia con tredici gambe… Ecco, questo è il punto in cui potete ridere, se volete.

** Far rimare Smyrna con burn her è possibilissimo, a patto di far cadere la h alla maniera cockney, e pronunciare -er come -ah. Sì, lo so, eppure credetemi: in qualche modo, in Inglese tutto questo ha senso.

*** …e anche i loro cugini d’Oltreoceano. Una volta postai su un forum americano una serie di tre limericks. Mi erano costati una sera di lambiccamenti, ma mi sentivo davvero bravina. Nel giro di dieci minuti, metà del forum aveva risposto in kind, e in via del tutto estemporanea. Er…

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Le illustrazioni sono tratte da A Book Of Nonsense, di Edward Lear – tranne la copertina, che essendone la copertina, naturalmente, non ne è tratta, o almeno non nel senso… oh, avete capito benissimo che cosa intendo.

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Libri Perduti

lost booksChe alcuni libri perduti siano più perduti di altri è vero in senso stretto, perché di alcuni si sono smarrite le tracce attraverso i secoli, di altri conosciamo solo i titoli citati in altre opere, di altri ancora possediamo frammenti – e poi ci sono quelli che non hanno lasciato traccia, sprofondati nell’oblio dei secoli. Poi ci sono libri che sappiamo con certezza distrutti (come la prima stesura della Storia Della Rivoluzione Francese, che Carlyle spedì a John Stuart Mill – e poi la domestica di Mill bruciò tutto per errore. Er… licenziata!), e libri che speriamo tanto possano saltare fuori, per qualche miracolo storico-librario…

Perché c’è un altro genere di gerarchia: per ciascuno di noi certi libri sono più perduti di altri, perché di certuni non c’importa poi granché, mentre altri vorremmo tanto, tanto, tanto poterli leggere, e non poterlo fare ci rode e ci affascina al tempo stesso. Per dire, posso tranquillissimamente convivere con la perdita delle quattro tragedie in stile greco scritte da Cicerone, ma qui ci sono i sei libri perduti la cui perdita mi fa pizzicare le sacche lacrimali:

– Il dizionario etrusco compilato dall’imperatore Claudio. Un dizionario etrusco! Una chiave per una lingua perduta – come si può non rivolere indietro la chiave per una lingua perduta? Claudio ci aveva aggiunto anche una storia etrusca che non dispiacerebbe per nulla avere, e anche otto volumi sulla storia di Cartagine… oh, well.

– Le memorie di Silla. Plutarco le cita, ma ne resta solo qualche sporadico frammento. Ora non so, magari poi erano mortalmente noiose, ma in qualche modo credo che Silla, intelligente, spregiudicato, manipolatore, protagonista di quasi tre turbolenti decenni di storia romana e cinico osservatore dell’umana natura, varrebbe la pena di essere letto.

– Joyce scrisse un dramma chiamato A Brilliant Career, e poi lo bruciò. Sono sempre affascinata dai motivi che spingono uno scrittore a distruggere le sue opere…ThomasUrquhart

– Sillabario Del Linguaggio Universale, di Sir Thomas Urquhart. Sappiamo dal Logopandecteision, il progetto di questa lingua che Sir Tom propose a Cromwell in cambio della sua scarcerazione, che questo ur-Esperanto contemplava undici generi, dieci casi e altre simili bizzarrie, compreso il fatto che ogni parola contenesse nelle sue sette sillabe una precisissima classificazione dell’oggetto a cui si riferiva. Se vi suona poco pratico è perché lo è: Sir Tom aveva tradotto Rabelais aggiungendo settantamila parole all’originale e riteneva di avere provato scientificamente la discendenza diretta della sua famiglia da Seth… Per cui non siamo sicuri di poterci fidare di lui nemmeno quando dice di avere perduto 642 quinterni di note e appunti durante la battaglia di Worcester. Anyway, la lingua universale è perduta – e non era nemmeno servita a far scarcerare il suo autore.

– Questa è un’ipotesi un nonnulla azzardata, ma nell’edizione in quarto di The Tragical History of Doctor Faustus, il Prologo (probabilmente aggiunto da un’altra mano) sembra riferirsi a un elenco di altri lavori di Marlowe: Edoardo II, le due parti di Tamerlano e qualcosa che ha a che fare con “i campi del Trasimeno dove Marte sorrise ai Cartaginesi”. Non sopravvivono opere di Marlowe sulla II Guerra Punica, e non si trovano accenni in proposito nei diari di Henslowe, ma come essere certi che non ci fosse una tragedia, scritta per un’altra compagnia, rappresentata in un altro teatro e poi perduta? In fondo ci sono un sacco di cose che non sappiamo più sul teatro elisabettiano, e la tentazione è forte: che cosa avrebbe potuto fare l’autore di Tamerlano e di Faustus con un personaggio come Annibale? E parlando di questo…

– La Cronaca di Sosila. Sosila di Sparta era stato il precettore del giovane Annibale, che una volta cresciuto se lo portò dietro in Italia, come segretario e cronista. Scrisse una storia della guerra – lo sappiamo perché altri autori la citano, ma non ne è rimasto nulla, salvo forse un frammento di recente scoperta e ancor dubbia attribuzione. Confesso che questa cronaca per me è il santo graal dei libri perduti. Darei parecchio per poter leggere una cronaca di parte cartaginese, scritta da un membro dell’entourage immediato di Annibale. Anche tenendo conto delle convenzioni di genere (in fondo Sosila scriveva un resoconto ufficiale), sarebbe stata la cosa più simile a un ritratto dal vivo di Annibale a cui possiamo aspirare.

Chi lo sa? Forse un giorno qualcosa di tutto questo salterà fuori, perché i miracoli succedono. Oppure no e continueremo a sperare che riemergano dalla nebbia dei secoli e dei millenni, queste chimere irraggiungibili, tanto più affascinanti perché non possiamo leggerle. Che valga anche per i libri quel detto secondo cui la persona con cui non si è mai danzato rimane la più affascinante – perché la realtà non ha avuto modo di appannare le meraviglie che ce ne aspettavamo?

E voi, o Lettori? Quali libri preduti tornereste indietro a recuperare, se aveste una macchina del tempo?

 

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Dieci Libri Sopravvalutati

In questo post Brian Klems dice che tutti, prima o poi, leggiamo un libro perché amici, famigliari, parenti, stampa and world at large ne parlano con incontenibile entusiasmo. Così leggiamo e… “tutto qui?”

A titolo autobiografico, Klems cita Il Grande Gatsby, cui riconosce a monumental place in the history of American literature – solo che a lui non è piaciuto. Lo giudica inferiore ad altri libri che cita, incluso Il Signore Delle Mosche.

E un po’ più sotto, nei commenti, un lettore confessa di avere avuto un’esperienza simile proprio con Il Signore Delle Mosche: sarà pure un pilastro della letteratura contemporanea, ma a lui non è piaciuto. Dove si vede che il concetto di “libro sopravvalutato” non è meno personale di quello di “brutto libro”. Si può credere di avere treni merci di inoppugnabili ragioni estetiche e tecniche per la propria delusione/disapprovazione, ma ci sarà sempre qualcuno pronto a indignarsi: “ma scherzi? È* un libro bellissimo!”

A parte le disparità di gusto, trovo che intervenga un altro fattore. Chiamatela diffidenza, chiamatelo spirito di contraddizione, chiamatelo scetticismo, ma esiste questo meccanismo di difesa che ci conduce a dubitare – a ragione o a torto – di ciò che ci viene decantato con troppo zelo. L’ultima volta che mi ci sono imbattuta è stato la settimana scorsa, e non si trattava di me. Durante una sessione antelucana di NW cercavo di convincere F. a leggere Lord Jim, e lei mi ha detto che raramente legge qualcosa che le viene suggerito col trasporto che ci stavo mettendo, perché ha imparato che la gente persa come me dietro un libro raramente è obbiettiva nel giudizio. E naturalmente mi sarei morsa la lingua, ma devo ammettere che F. ha ragione e anch’io reagisco come lei: rifiuto pervicacemente e, anche quando cedo, parto così prevenuta che di rado apprezzo – specie se c’è hype mediatica all’opera. E se non c’è hype, ma parto con aspettative troppo alte sulla base del luccichio negli occhi del consigliatore, è ancora peggio. 

Per dire:

1) Il Ritratto Di Dorian Gray. Sì, lo so, è grave – tanto che per anni non ho avuto il coraggio di confessarlo. Ma, giacché ne parliamo, non è che non mi sia piaciuto del tutto, solo che mi aspettavo di esserne impressionata di più. Molto di più. Tipico caso in cui troppe aspettative hanno giocato a sfavore del libro.

2) Siddharta. Letto da giovinetta, cedendo all’entusiasmo delle compagne di liceo. E per fortuna non era il mio primo Hesse, o mi sarei scoraggiata subito, perdendomi romanzi che invece ho amato, come Narciso e Boccadoro, Il Giuoco Delle Perle Di Vetro, L’Ultima Estate Di Klingsor, Demian, Gertrud… Quindi spiegatemi: perché Hesse deve essere identificato automaticamente con una delle sue opere più modeste?

3) Il Vecchio E Il Mare. Non ditemi che non è vero: Hemingway era insuperabile nel costruire romanzi con niente. Niente storia, quasi niente caratterizzazione, niente dialogo, niente ricchezza linguistica… Posso apprezzare the technical feat, ma francamente lo apprezzo di più quando si esaurisce in 6 parole anziché in un libro intero.

4) La Guerra Dei Bottoni. Louis Pérgaud, avete presente? Era uno dei libri prediletti di mio padre, che non ebbe pace finché non riuscì a farmelo leggere. Solo che LGDB a lui ricordava tanto la sua infanzia, e a me no. Noia mortale.

5) Dersu Uzala. Idem come sopra, salvo i ricordi d’infanzia. “È così poetico…” *Yawn*.

6) Barnabo Delle Montagne. E sia ben chiaro: a me Buzzati piace – ma se c’è Il Deserto Dei Tartari, a che serve Barnabo?

7) Il Gabbiano Jonathan Livingstone. Probabilmente I’m even mispelling the name. E non andrò nemmeno a controllare per correggerlo. Gabbianastro. Storia banale fino alle lacrime, grondante saccarina e scritta in modo indifferente. Qualcuno mi spiega perché deve essere considerata una lettura irrinunciabile?

8) Il Piccolo Principe. Chi mi legge da un po’ si stava chiedendo: “e come mai non ci ha ancora messo il PP?” Eccolo qui. Idem come sopra – anche se forse è scritto meglio. Un pochino meglio.

9) Ulisse. I’m of two minds here. Come Klems per Fitzgerald, riconosco lo status di monumento letterario, e in più ammiro la sperimentazione tecnica. Detto questo, non sono riuscita a finirlo, perché mi annoiavo oltre ogni dire. Una volta apprezzata l’originalità, nel giro di una cinquantina di pagine, ero satolla. Non ne volevo più. Non ne potevo più. Credo di aver tirato pagina 100 con le unghie e con i denti, prima di decidere che avevo sparso abbastanza lacrime, sudore e acido gastrico per la causa del flusso di coscienza.

10) Il Pendolo Di Foucault**. Sono certa che Eco si diverte un mondo a scrivere quei ciclopici tomi che traboccano erudizione… ma siamo sinceri: quanti apprezzano davvero Il Pendolo di Foucault? Quanti l’hanno letto davvero tutto senza saltare nemmeno un paragrafo***? E senza chiedersi mai nemmeno una volta quanto ne manca ancora?

E qui mi dovrei fermare ma non posso fare a meno di infilare di soppiatto un numero: 11) tutto Baricco. Baricco non narra nulla. Affastella periodi turgidi e fioriti, tratta il lettore con condiscendenza e, al tempo stesso, gli strizza l’occhio: non siamo gente raffinata e piena d’immaginazione tu e io, O Lettore? Ecco, no.

Quindi direi che per me si tratta di un misto di aspettative troppo elevate, eccesso di zelo altrui e sinceri dubbi di suggestione collettiva.

E voi? Quali libri vi hanno lasciato a chiedervi “tutto qui?” E soprattutto: perché?

 

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* Renzo, se stai leggendo: sei fiero di me? Tutte le È maiuscole accentate giuste, adesso. Ti sarò grata in eterno.

** E qui francamente potete sostituire a piacere con L’Isola Del Giorno Dopo o Baudolino

*** Questo, in realtà, potrebbe valere anche per Il Nome Della Rosa, che non è davvero sopravvalutato, solo implausibilmente popolare.