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In Memoriam: Francesco Nosari

Era un’istituzione, il Professor Nosari, colonna del Liceo Ginnasio Virgilio per decenni.

Quanti Mantovani ha iniziato al Latino e al Greco, in quanti abbiamo letto sotto la sua tutela l’Eneide e i Promessi Sposi? Capita d’incrociarsi tra vecchi alunni… “Nosari anche tu?” E via a ricordare spiriti aspri e dolci, e dieci frasi dal Latino all’Italiano e altrettante viceversa, e la matita rossa e blu, e i lunghi elenchi di paradigmi greci, e il temutissimo sacchetto di tela verde con i numeri della tombola – ricordi di un’epoca delle rispettive vite in cui un 5 e la disapprovazione a labbra strette del Professore erano un’angoscia maiuscola.

Forse è un cliché chiamarlo uomo d’altri tempi – ma un cliché calzante e che, credo, gli sarebbe piaciuto. Due lauree in Lettere Classiche e Chimica, coltissimo e rigoroso, terziario francescano, dedito all’insegnamento in maniera quasi monastica, con quell’aria di disperare sempre un po’ di noi ginnasiali… faceva lezioni aggiuntive il pomeriggio per chi volesse, e metteva molta cura nell’ignorare la contemporaneità.

Il 10 di novembre del 1989 entrò in classe, segnò le assenze e si preparò a interrogare, come se nulla fosse. Una di noi, più audace degli altri, alzò la mano. “Professore, ha visto che è caduto il Muro di Berlino?” Lui la fulminò con lo sguardo da dietro le sue lenti fumé. “E allora?” chiese. “Io so le Guerre Puniche, e mi basta!” E riprese a interrogare.

Il Professor Nosari non voleva televisione nel suo appartamento stracolmo di libri – e io sospetto molto che la contemporaneità non gli piacesse.  Che la trovasse cupa, plebea e bugiarda… E badate, forse scrollerebbe le spalle nel vedermi citare Rostand a suo proposito, perché il suo rifugio era l’antichità: il rigore della grammatica e della metrica (che si doleva di non insegnarci più a fondo), la prospettiva lunga e decantata della storia, la bellezza disciplinata della poesia – Esiodo più di tutti, con cui s’identificava…

E da quei due anni di tutela rigorosa si usciva ben formati nelle basi, e solo dopo, incontrandolo da vecchi alunni, si scopriva che il Professor Nosari era capace di sorridere. Quante volte va così: lo avevo temuto molto per due anni (ero una fanciullina impressionabile) e poi, a timori passati, mi scoprivo grata – e sì: anche affezionata.

Per anni e anni, dopo, col Professor Nosari ci siamo scambiati gli auguri di Natale e anche qualche lettera, e capitava d’incrociarsi in città. “Che cosa fa lei, adesso?” mi chiedeva – irremovibilmente passato a darmi del lei fuori dai banchi di scuola. Traduzioni, dicevo. E teatro. E poi scrivo. “Ah sì,” era il commento abituale. “Ha sempre avuto in testa la scrittura, lei. E i temi… non erano nemmeno male.”

Quando scrissi Di Uomini e Poeti, e fu rappresentato e pubblicato, gliene mandai una copia. Mi scrisse una lunga lettera fitta di citazioni latine – e, tra l’una e l’altra, lo si leggeva soddisfatto della sua vecchia alunna. Forse persino un po’ orgoglioso – e, a vent’anni dal Ginnasio, quella soddisfazione la vissi come una medaglia.

Chissà se c’è, nei Campi Elisi, un posto per i vecchi professori di Ginnasio… mi piace immaginare il Professor Nosari che si aggira sui prati con il suo impermeabile, la sua cartella e quell’aria sempre un poco corrucciata, in cerca di Virgilio o Esiodo per una buona chiacchierata in Latino.

4 pensieri riguardo “In Memoriam: Francesco Nosari

  1. Bravissima Chiara,con poche misurate parole hai disegnato alla perfezione il nostro prof.
    Sono stata sua alunna anch’io ma nel triennio del Liceo e lo ho avuto “solo” per Latino e Greco.Gli ho voluto molto bene,come il resto della classe.Noi eravamo mediamente bravi (era una classe modello dove io cercavo di stare nella media dignitosa studiando come non ho mai più fatto nemmeno all’Università)ma siamo anche riusciti a fargli degli scherzi di cui ancora ogni tanto parliamo,a portarlo in gita(aveva sempre rifiutato)e a scoprire la sua passione per la liquirizia che gli regalavamo senza mai riuscire a corromperlo…I miei compagni maschi dopo la maturità lo andavano a trovare ,noi ragazze no perché lo avremmo messo in imbarazzo ,però quando lo incontravo per strada mi fermavo sempre a parlare e lo vedevo felice ed interessato alla mia vita.Da un po’ non lo vedevo più con il suo impermeabile e la cartelletta ed ero preoccupata.È morto poco più di due mesi dopo la mia mamma,sua coetanea che andava volentieri ai colloqui con lui perché diceva che come lei era timido,faceva poche chiacchiere e si vedeva che era una persona buona…Proprio così,grazie Chiara

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    1. Visto? Ci si trova e si racconta… 🙂
      Con noi venne in gita a Roma – ben quattro giorni. La prima sera non arrivava mai a cena, e il professore di Religione salì a recuperarlo. Comparvero entrambi dopo un po’. “Il Professor Nosari ha scoperto la televisione,” annunciò Don Signorini, “E ha perso la cognizione del tempo.” E lui sorrideva – una rarità! – tra imbarazzato e divertito…
      Aveva ragione tua madre: era una persona timida – ed era buono, nonostante tenesse a nascondere entrambe le cose dietro i paradigmi e la matita rossa e blu.
      E la liquirizia, è vero! Classe intraprendente, la tua! A noi non è mai venuto in mente di tentare di corromperlo a liquirizia! 😀

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  2. Frequentavo la seconda allo scientifico e dopo un’insufficienza in latino, sono andata per qualche mese a lezione da lui, a casa.
    Dopo 3-4 incontri, nel compito in classe successivo, sono balzata dal 5 meno meno al 7 e mezzo.
    Non vorrei peccare di superbia e proprio per questo non dovrei citare l’episodio, ma mi riempie di orgoglio e peccherò.
    Qualche settimana dopo (le lezioni erano di domenica pomeriggio), mi disse che non avevo più bisogno di proseguire, che non capiva pechè continuassi ad andarci visto che ero migliore di molti suoi allievi del classico.
    Mia madre non ci sentiva e insisteva perchè non lo mollassi. Quell’insufficienza l’aveva traumatizzata.
    Da allora in avanti non si traduceva più insieme, come le prime volte, ma prendendo spunto da un testo di G. Cesare o Cornelio Nepote, preferiva tenere dei seminari monotematici di storia, tutti per me.
    Restavo a casa sua dalle due alle cinque e mezza (mi faveva pagare un’ora soltanto, quindicimila lire) e tornavo a casa con stralci di erudizione preziosi che forse non avevano molto a che vedere con la ragione per cui i miei lo pagavano… Ma la cultura è cultura, diceva.
    Un pomeriggio mi disse che ero una ragazza simpatica; quel complimento, arrivato da lui, così timido, riservato, quasi ombroso, mi parve di valore inestimabile.
    Non ho avuto il privilegio di essere una sua alunna per tanti anni, ma ho avuto l’onore e il piacere di incrociare la sua strada.
    Addio professore, grazie.

    Benedetta

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    1. Sì, non era prodigo di complimenti… Ma credo davvero che si aprisse di più con i singoli di quanto non facesse con una classe intera. Che bel ricordo, il tuo, di queste lezioni di storia… Con noi ne parlava di rado, perché a dire il vero Storia e Geografia erano molto sacrificate al Latino e al Greco – ma quando si lasciava andare, era un raconteur coltissimo.

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