blog life

Strategie di Congedo

SE2Chiude i battenti – anzi, li ha già chiusi – strategie evolutive, il bel blog di Davide Mana, dal significativo sottotitolo “Ciò che non ci uccide ci lascia storpi e sanguinanti”.

Ve lo dico così, senza un link – perché probabilmente a questo punto non c’è più nulla a cui linkare… Quando Davide chiude, chiude sul serio.

E chiude per una serie di ragioni – un po’ di stanchezza, forse, ma soprattutto scarsa risposta e altrui scorrettezze miste assortite.

Peccato, peccato davvero. Strategie era una gran bella lettura, intelligente, varia, brillante, colta, gentilmente corrosiva all’occasione. Ci si scopriva un po’ di tutto – gemme narrative, vecchi film in bianco e nero, ricette per le olive speziate al cartoccio, musica elisabettiana, giochi di ruolo, favolosa saggistica… Gli interessi vastissimi e la cultura enciclopedica del padrone di casa facevano del blog una specie di pozzo di San Patrizio. Leggere strategie era una dieta ipercalorica per la ToReadList…

Io c’ero arrivata… oh, non so – un paio d’anni fa, forse, dietro segnalazione di un amico comune. All’inizio erano state le elisabettianerie, poi un po’ tutto il resto. È stato su strategie che ho scoperto la narrativa pulp, vera passione del padrone di casa. E magari non ho concepito una passione travolgente per il genere – ma di sicuro ho scoperto molte cose gradevoli, e soprattutto la varietà complessa di un genere che avevo sempre considerato un nonnulla indiscriminatamente.

E poi il fantasy storico – genere per il quale avevo qualche informe inclinazione dopo avere letto Susanna Clarke, ma che ho scoperto davvero su strategie. E poi le infinite, articolate discussioni in fatto di narrativa storica e avventura storica, e sui metodi di scrittura, e sul futuro digitale non solo dell’editoria, ma della narrativa…

Ecco, più di tutto, forse, strategie offriva continui stimoli. Idee, domande, bizzarrie, finestre aperte su paesaggi e personaggi inconsueti… E la morale è che mancherà.

Per fortuna resta Karavansara, l’altro blog di Davide – quello in Inglese. Ma nondimeno… Ah well, ogni cosa ha la sua stagione e poi finisce, giusto? E allora congediamoci qui da strategie – ringraziando il padrone di casa per tutto il duro e intelligente lavoro, per averci dato di che riflettere, di che leggere, di che ascoltare, di che sorridere. E dicendogli che semmai, prima o poi, gli venisse l’uzzolo di tornare in proscenio e riprendere da dove ha lasciato, qui c’è una lettrice.

So long, strategie.

 

Digitalia · libri, libri e libri · Vitarelle e Rotelle

Letture Miste Assortite

Dunque, vediamo un po’. Questo è un post di segnalazioni varie.

bride of the  swamp god, davide mana, com'è facile scrivere difficile, alessandro forlani, the circle reviewCominciamo con Bride of the Swamp God, di Davide Mana – avventurosissima novella storico/fantastica, in cui si fa conoscenza con l’incauta ma tosta principessa egizia Amunet e l’energico centurione romano Sesto Cornelio Aculeo. Stregoneria, tradimenti, mappe del tesoro, ingenui disertori, precettori greci, un sacco di tentacoli, coccodrilli… c’è proprio tutto in questa che promette di essere la prima in una serie di storie. E speriamo davvero in un seguito, perché vicenda, atmosfera e personaggi sono di quelli che catturano al primo colpo.

bride of the  swamp god, davide mana, com'è facile scrivere difficile, alessandro forlani, the circle review

 

Poi passiamo a Com’è facile scrivere difficile, il prontuario di scrittura creativa di Alessandro Forlani. Alessandro sa di che cosa parla, e lo fa con garbo, intelligenza e ironia. Strutture, dialoghi, personaggi, punto di vista… il prontuario è svelto, puntuale e, cosa fondamentale, gradevolissimo a leggersi. Che siate neofiti della penna, narratori veterani o lettori curiosi, non perdete l’occasione di leggere Messer Forlani talking shop.

 

CircleRevIII.JPGE chiudiamo con il terzo numero di The Circle Review, la rivista letteraria de Il Circolo delle Arti, diretta e curata da Lorenzo V. (@arteletteratura). Questo numero è ricchissimo e vario, pieno zeppo di narrativa, poesia, teatro e saggi. Io ci sono con le prime pagine de Lo Specchio Convesso e con un piccolo divertissement marloviano* – e vi segnalo anche Operazione Manuzio, un’avventura inedita del Cristoforo Marlowe (non quel Marlowe) di Lucius Etruscus.


Col che, direi, avete di che leggere per tutto il finesettimana – o almeno per metà.

Infine, una comunicazioncella di servizio: mi si dice che commentare su SEdS è diventato ancora più complicato di quanto fosse – per non dire impossibile. Ne ho fatto esperienza a mia volta, e sto cercando di risolvere la magagna, ma ancora non approdo a nulla. Costernata e seccatissima, posso solo chiedervi di avere pazienza e, per il momento, di inviare domande, commenti, rants e tutto quanto via mail a laclarina@gmail.com. Si spera di ripristinare i commenti q.p.

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* Non inorridire troppo, Cily: te l’avevo detto che il gioco a volte è irresistibile…

Adotta Una Parola · Guest Post

Un Guest Post Rosso Cinabro

Ricordate quando, nel primissimo entusiasmo per l’iniziativa linguistica della Dante, ho adottato la parola Cinabro? Ebbene, l’avevo fatto perché il cinabro era bellissimo per suono e colore… Ma comincia ad essere chiaro che non sapevo chi mi stavo tirando in famiglia. 

Che devo dire? Sono una sventata che si getta in adozioni spericolate sulla base di informazioni insufficienti e infatuazioni cromatico-linguistiche.

Allora, giusto per sapere che cosa si nasconde sotto quel bel tono di rosso, ho chiesto lumi a gente che non solo è più scientifica di me, ma sa di cose orientali – e di alchimia, e di narrativa  di genere, e di un sacco di altri argomenti. E Davide Mana (l’uomo di strategie evolutive) non si è tirato indietro.

Per cui oggi gli cedo la parola e vi presento il suo guest post – un dotto e brillante arnese che spazia dalla geologia alla letteratura, dall’alchimia alla storia. Per di più questo post funge anche da ghiotta anticipazione per un corso online sul Taoismo che Davide sta preparando.

E adesso veniamo a noi: se, come me, credevate che il cinabro fosse solo un colore… well, you’re in for a surprise or three.

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cinabroIl colore vermiglio è anche detto “Rosso di Cina”.
Storicamente, un pigmento vermiglio piuttosto pregiato veniva prodotto in Cina a partire da un minerale, il Cinabro, detto anche Cinnabarite.
Cinabro è anche un sinonimo di Rosso di Cina, o vermiglio che dir si voglia.
Come vermiglio, il Rosso di Cina è più rosso del Rosso di Francia, che tende ad avere sfumature più arancioni.
Un esempio classico dell’uso del cinabro (il minerale) per produrre il cinabro (il colore) è nelle lacche cinesi di epoca Song, e succesive.

Ma non è questo che ci interessa, al momento.

Il cinabro è un solfuro di mercurio, formula HgS, e si rinviene frequentemente in vene, come prodotto di deposizione idrotermale in aree soggette a vulcanesimo.
Forse proprio per il suo presentarsi in vene di color rosso cupo in aree dense di fumarole, il cinabro venne originariamente associato, in Cina, alla circolazione sanguigna e alla respirazione*.
La medicina cinese raccomanda l’uso del cinabro per la cura di afflizioni disparate quali il mal di gola, l’asma, l’aritmia cardiaca e l’epilessia.

Nel linguaggio simbolico dell’alchimia taoista, il cinabro viene associato al dantien, il baricentro e punto focale della respirazione, normalmente definito “il campo di Cinabro”.
Ma l’alchimia interna, che si fonda su respirazione e meditazione, può chiamare il nostro dantien come le pare, e non ci sono gravi conseguenze.

È l’alchimia esterna, che è un problema.

L’alchimia taoista “esterna” (il Waidan) riconosce infatti il cinabro come una delle “pietre durevoli” – insieme con il realgar (che ci teniamo per dopo).
Le pietre durevoli sono brillantemente colorate, di solito rosso brillante, dure, resistenti all’usura.
Il mercurio e lo zolfo, che si combinano nel cinabro, sarebbero oltretutto simbolici dello Yin e dello Yang, e associati alla Luna ed al Sole.
Un ingrediente ideale, quindi, per l’elisir di Lunga Vita, la pillola dell’immortalità.

Il problema, naturalmente, è che il mercurio ha una allegra affinità per il selenio, un metallo necessario per un sacco di funzioni utili del nostro corpo – a cominciare dal garantire l’ossigenazione dei tessuti impedendone al contempo l’ossidazione.
Il mercurio ingerito, quindi, non solo si concentra nei tessuti grassi, restando in corpo alla vittima per anni e anni, ma va ad inibire l’azione degli enzimi a base di selenio – e come risultato i tessuti più ossigenati cominciano a morire per ossidazione.
E il tessuto più ossigenato, nel corpo umano, è naturalmente il cervello.

È per questo che gli artigiani specializzati nella produzione di lacche cinesi avevano la fama di essere un po’ originali, vagamente eccentrici, diciamo pure matti da legare.
Matti come cappellai, avrebbero detto gli inglesi – e non a caso, poiché se in Cina col cinabro ci producevano la lacca rossa, noi occidentali col mercurio ci producevamo il feltro dei cappelli.
Successivamente anche i fotografi ebbero gli stessi problemi.
Si lavora in bottega (o in camera oscura), si respirano i vapori, e poco a poco le cellule del cervello cominciano a morire.
Ne conseguono sbalzi di umore, perdite di memoria, insonnia o (più raramente) narcolessia, follia conclamata e poi, spesso dopo anni, la morte**.

Senza contare gli altri sintomi – dalla desquamazione della pelle all’aritmia, dalla perdita di sensibilità periferica a gonfiori sospetti, l’astenia muscolare, l’ipertensione e l’ipersalivazione.
Proprio un bel quadretto.wu gang, cinabro

La cosa divertente, ammesso che voi vi divertiate con certe cose, è che all’uso massiccio di cinabro nella preparazione delle bibite di lunga vita, la cultura occidentale deve uno dei grandi personaggi, dei grandi cliché dell’immaginario popolare – il Mandarino Pazzo.
Uno dei pilastri della letteratura pulp, e non solo, è il classico cliché del nobile cinese perverso e crudele, soggetto a periodici attacchi di follia omicida, crudele al limite del patologico, e vizioso.
Spesso con orride cicatrici (o abbondantemente truccato per nasconderle), di età indefinibile, incartapecorito e dalle movenze incerte.
Da Mysterious Wu Fan a Ming il Crudele in Flash Gordon, passando per il Pericolo Giallo in persona, il Dr. Fu Manchu, dalla fine dell’ottocento al secondo dopoguerra, questi personaggi infesteranno l’immaginario culturale di generazioni.
Forse persino Turandot (per quanto legata più palesemente ad altre strane derive scientifiche***), potrebbe in qualche modo incorporare la figura del sovrano cinese pazzo.
Orrido cliché razziale, è vero – ma con una base storica.

È infatti possibile scorrere la storia della Cina, ed osservare, presso le classi superiori, periodiche epidemie di follia e perversione.
Torture praticate come attività velleitarie, esecuzioni capitali per un nonnulla, spesso autolesionismo.
Deliri.
Cicliche decadenze della classe dominante in preda a scoinvolgimenti periodici “inspiegabili”.
Inspiegabili, certo, a meno di non consultare una cronologia delle mode intellettuali del Celeste Impero – nella quale noteremmo che ai periodi di follia diffusa fra i nobili corrispondono periodi durante i quali l’Alchimia esterna tornava in auge fra le classi superiori.

Tutti matti come cappellai.

In fondo, è comprensibile.
Chi, avendo un potere assoluto all’interno di una complessa struttura burocratica, butterebbe decenni a meditare concentrando lo spirito nel proprio dantien, magari al freddo, in mezzo alle montagne, per diventare immortale, quando è disponibile una comoda (e costosa) formula che, se consumata con regolarità, garantisce gli stessi effetti?
 
Già.
Vatti a fidare degli alchimisti.

Difficile a questo punto chiudere con una nota positiva, eh?
Ma possiamo provarci.
Mettiamola così – se non garantiva la longevità, per lo meno l’elisir di lunga vita taoista garantiva,a modo suo, un limitato periodo di follia prima del decesso.
Perché ci mettevano anche il realgar, ricordate.
E il realgar, è un solfuro di arsenico.

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* Succede lo stesso nell’America precolombiana, dove il cinabro viene spesso usato per ornare templi funebri, a simboleggiare la vita.

** Pensateci, la prossima volta che vi ritrovate a cantare “Un buon noncompleanno” – quell’allegro personaggio di Carroll è un disgraziato intossicato di mercurio, condannato ad una morte orribile.

*** Mi ci fai fare un altro guest post, Chiara? [NdC: Assolutamente!]
O ci facciamo un post a quattro mani di là da me?

gente che scrive · scribblemania · Vitarelle e Rotelle

Scrivendo Scrivendo…

“Tu scrivi? Che bello. Anche a me piacerebbe tanto scrivere…”

“E allora scrivi.”

“Come? Cosa? Qui? Adesso?”

“Adesso. Qui. La storia che hai in mente da sempre – oppure la lista del droghiere. A mano o al computer, o con un chiodo intinto nel tuo sangue…”

“Ah, no, sai…” (risatina) “Non ho tempo, non sono capace, devo spazzolare il mio pastore alsaziano, non so da dove iniziare, ci vuole un sacco di tempo libero, mica a tutti riesce facile come a te…”

“Sssssssì, se ne potrebbe parlare. Ma resta il fatto che l’unico modo per scrivere è cominciare a scrivere. E leggere un sacco – cosa che avresti dovuto fare prima. E studiare la teoria – cosa che puoi cominciare a fare dopo avere provato a scrivere.”

“Eh, ma ci vuole il tempo. E soprattutto ci vuole l’ISPIRAZIONE. Mica puoi metterti lì e dire ‘adesso scrivo,’ no?”

“E invece è proprio quel che devi fare. Scrivere tutti i giorni, almeno un po’. Costruirti una disciplina. Pensa, se scrivessi 500 parole al giorno, cinque giorni la settimana, in otto mesi avresti la prima stesura di un romanzo di 80000 parol…

“Orrore! Sacrilegio! Anatema! Vade retro! Stiamo parlando di Letteratura, di Arte, mica di lavoro a cottimo! Forse così ci puoi scrivere la robaccia commerciale, ma la Scrittura vera… giammai!!!” 

E a questo punto, se non ho ancora perso del tutto la pazienza, di solito faccio notare che Stevenson scrisse Treasure Island in due settimane. E che Dickens scrisse la maggior parte dei suoi romanzi consegnando X parole una volta alla settimana… 

E che poche cose giovano alla scrittura come la pratica costante e disciplinata – e le scadenze.

Detto ciò, non è che ci si sieda lì e si scriva un romanzo ex abrupto: si va in battaglia preparati. In un mondo ideale, si predispone una mappa di quel che si vuole fare, ci si procura il grosso della documentazione che servirà, si fa conoscenza con i personaggi – e poi si scrive. Si scrive la prima stesura senza fermarsi, seguendo i piani, tenendo conto degli sviluppi inaspettati, senza preoccuparsi eccessivamente dei particolari. Per le finezze stilistiche, lo spelling esatto del nome del fabbro di spade toledano e le rime estemporanee della protagonista ci sarà tempo dopo. È a questo che servono le revisioni.

E questo genere di sistema vale anche se si ha tutto il tempo del mondo, ma tanto più se cè (o ci s’impone) una scadenza. Che devo dire? È da quando ho scoperto la genesi di Treasure Island che voglio fare qualcosa del genere. Una volta l’ho fatto con una novella – 42000 parole in una settimana – ma mai con un romanzo.

In questi giorni – dopo un anno abbondante dedicato esclusivamente al teatro – mi è tornato un gran prurito di provarci, e il merito è in buona parte di Davide Mana. Perchè Davide l’ha fatto. In sei giorni. Con tanto di incendio. Sei giorni più la vasta preparazione di cui si diceva – ma in quei sei giorni DM ha messo insieme la prima stesura di un romanzo.

Awesome.

davide mana, romanzo, sei giorni per salvare il mondo,  Qui trovate* i post in cui si narra l’impresa, moorcockianamente nomata “Sei Giorni Per Salvare Il Mondo”.

Qui invece trovate 6GpSiM – Il Manuale, ovvero la serie di articoli, note e stralci d’intervista che costituiscono la base teorica dell’esperimento.Vedrete che Stevenson non c’entra affatto.

Esperimento, gioco, duro lavoro, esplorazione della struttura, narrazione. E, più di tutto, scrittura. Quella cosa che non si fa aspettando l’Ispirazione.

Riuscite a leggere tutto ciò senza volerci provare anche voi? Io – ma forse s’era intuito – assolutamente no.

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* O almeno dovreste trovarli – perché forse non sembra, ma sto sperimentando con un genere di link che non ho mai tentato prima. Se non ci riuscite fatemi sapere, per favore, e provvederò a qualcosa di più tradizionale…

 

 

 

 

grillopensante · pennivendolerie

Il Dilemma Del Recensore – Un Esame Di Coscienza

Tutto è cominciato con questo post di Davide Mana sul suo Strategie Evolutive (bel blog di libritudini, intelligente e ironico – da tenere d’occhio, by the way).

I recensori, dice Davide, si son messi a fare i critici e/o gli editor, e invece di offrire al lettore i lumi essenziali di cui il lettore è in cerca per decidere se il libro valga o no i suoi quattrini e il suo tempo, si lanciano in astruse disamine critico/tecniche.

Ma una recensione è un’altra cosa, dice Gene Siskel (riportato da DM): “Io sono un reporter, ed il soggetto del reportage è come io mi sono sentito guardando questo film.”

E qui cominciamo a divergere da Strategie Evolutive. La citazione mi blocca sulla soglia di un esame di coscienza, perché in realtà può darsi benissimo che “io” mi sia sentita colma di furore crociato per la quantità di minute o maiuscole irregolarità tecniche impilate dal regista/scrittore. È del tutto possibile che il recensore che fiammeggia riga dopo riga brandendo una copia corazzata di Strunk&White non faccia altro che prendere un po’ troppo alla lettera la massima di Siskel.

Ed è vero anche che un elenco dei paragrafi in cui l’autore ha detto anziché mostrare non mi è di grande aiuto nel decidere se voglio o non voglio leggere il libro in questione – anche perché nella maggior parte dei casi – e tanto più nella narrativa di genere – davvero non ci tengo a leggere particolari rivelatori sul plight del protagonista a pagina 434, grazie tante.

Mentre scrivevo questo ho avuto, credetemi, la grazia di arrossire – pensando alle mie analisi cruente… però datemi credito di una cosa: ho imparato a premettere le istruzioni per l’uso. Questa non è una recensione, questa è un’analisi: faremo il libro a pezzetti molto piccoli, smonteremo il giocattolo, riveleremo senza misericordia trama, sorprese e finale… Lo dico sempre, nevvero? Ma d’altra parte, e questo mi sembra fondamentale, SEdS è quel genere di blog: i miei lettori sanno che qui si parla di meccanismi narrativi, di tecnica e talvolta anche di editing.

E difatti non si tratta di recensioni.

Le recensioni sono quelle che scrivo, ad esempio, per la HNR – e qui qualche ulteriore scrupolo mi coglie. Per una serie di circostanze, come ho già avuto occasione di lamentare, mi sono ritrovata a recensire negativamente tre libri di seguito – e non è come se non fosse mai capitato prima. Rileggendo le mie doléances numero per numero ritrovo problemi narrativi e, più spesso, magagne stilistiche – più un certo numero d’inaccuratezze storiche. Queste ultime mettiamole pure da parte: scrivo per una rivista specializzata, ed è ovvio che l’accuratezza storica sia un elemento fondamentale su cui richiamare l’attenzione del potenziale lettore. Ma il resto? Sto confondendo recensione e editing? infliggendo al potenziale lettore le mie ubbìe in fatto di goffaggini espositive e dialoghi stentati? Sto soggiacendo alla mia conclamata ossessione per la fabula?

Confesso, arrossendo di nuovo e chinando contrita il capino, che la cosa non è del tutto impossibile.

E tuttavia…

Penso a una collega HNRiana che si limita a raccontare la prima metà della trama. Ho fatto acquisti molto incauti leggendo le sue recensioni. Penso alla volta in cui, lievemente incredula, cercavo recensioni su un libro (pubblicato in Italia) e trovavo soltanto citazioni verbatim della IV di copertina – del tutto inutili perché, a dispetto delle premesse allettantissime, il libro era davvero brutto.

E so benissimo che non è questo che intende Davide Mana. La sua posizione in materia è che le regole sono per gli scrittori e non per i lettori – e condivido in pieno. Il fatto si è che quando parliamo di scrittura, non mi stancherò mai di dirlo, la forma è sostanza. La sostanza non giungerà mai (o almeno non giungerà bene) al lettore se non è in buona, attraente e ragionata forma. Per cui, se è vero che le “regole” sono per gli scrittori, è pur vero che l’effetto delle regole è rilevante dal punto di vista dei lettori. Non vorrò spiegare dettagliatamente al lettore che l’autore X si macchia del gravissimo peccato di dire anche quando dovrebbe mostrare, ma sarà caritatevole da parte mia avvertirlo che il libro non risulta coinvolgente – perché questo al lettore interessa molto.

Pertanto, credo che qualificherò un pochino la massima siskeliana: il soggetto del reportage è come ritengo che si sentirebbe il potenziale lettore leggendo il libro – perché “io” potrei avere il dente avvelenato, l’ossessione della fabula, la deformazione professionale o whatever.

Che ne pensate? Che cosa cercate in una recensione?