There’s no place like London… si canta in Sweeney Todd – e lasciate che ve lo dica: sono d’accordo. Lo sono nel modo in cui il giovane Anthony intende la faccenda, e non alla maniera del diabolico barbiere eponimo – ma forse non c’era tutto questo bisogno di spiegarlo, vero?
Di ritorno da tre giorni e mezzo a Londra, e ancora un po’ stordita dal vortice metropolitano, credo che me la caverò con una piccola lista di spunti, suggerimenti, scoperte, riscoperte, momenti memorabili in ordine sparso.
Andiamo a cominciar:
- Trovarsi sull’Isoletta proprio mentre si recidevano gli ormeggi con l’Unione Europea. Non che si sia visto molto in fatto di proteste o festeggiamenti – ma tanti Londinesi così afflitti per la Bexit, così ansiosi di farlo sapere. Il cassiere nel bookshop e la guida alla mostra sui tessuti antichi… Scoprono di avere a che fare con dei continentali, e devono – proprio devono spiegare che loro avevano votato contro, che è un giorno buio, che non doveva succedere…
- Tre musical in tre giorni: la meraviglia, la perfezione, la musica, le interpretazioni stellari, le continue sorprese… Si torna bambini, si guarda incantati ad occhi tondi e bocca aperta.
- La casa-museo dell’architetto e collezionista Sir John Soane a Lincoln Inn’s Fields, colma fino al soffitto (nel più letterale dei sensi) di collezioni d’arte e antichità. Un vero e proprio tuffo in un certo aspetto dell’età georgiana – quella dei collezionisti, degli artisti, dei professionisti-gentiluomini, dei classicisti appassionati, in ascesa social-professionale dopo essere stati grand-touristi low-cost in gioventù.
- Cream tea a Covent Garden: scones, clotted cream, marmellata di fragole, buona compagnia e musica dal vivo nella piazzetta…
- La mostra dei costumi al National Theatre. Non solo una certa quantità di magnifici costumi teatrali – ma anche strumenti di lavoro, appunti, schizzi, modellini, e frammenti di interviste a designers, sarti e guardarobieri che raccontano un appassionato lavoro creativo, pieno di fantasia e di tecnica superlativa.
- Simpson’s in the Strand, il ristorante che vanta il miglior roast-beef del mondo. Ora, non so se questo sia proprio vero – ma di sicuro era delizioso persino per una carnivora riluttante come me. E comunque il posto, arredato come un gentlemen’s club, tutto legni scuri, divanetti di pelle impunturata, legni scuri, argenti, quadri e stampe, ovattato, elegante, con un servizio attentissimo e discreto, è un’esperienza di per sé.
- Il capodanno cinese, con i coloratissimi leoni danzanti nelle hall degli alberghi e Soho illuminata da infinite ghirlande di lanterne rosse… e certa gente di vostra conoscenza che, camminando a naso in su, inciampa in una predellina di legno criminalmente abbandonata in mezzo al passaggio, prende il volo e atterra sul marciapiedi come un’anatra abbattuta. Yes, well. Also, una certa quantità di cinesi provvisti di mascherina, a ricordarci che non tutto è a posto.
Perché sì – mentre noi eravamo in giro per teatri e negozi, per musei e ristoranti, in buona e allegra compagnia, impegnati a bagolare di teatro, storia e carattere nazionale britannico, mentre ridevamo, ammiravamo e facevamo scoperte, tutt’attorno le cose succedevano. Uno strappo storico, un’epidemia, un attentato a Stratham… tutto insieme, tutto… lì.
Un singolare viaggio, non trovate? E una prova in più che davvero, nel bene e nel male, there’s no place like London.