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Dentro un libro

Mentre cercavo la Survey of London di Stow* – che ho ritrovato quasi subito benché non fosse, per qualche motivo, nello scaffale elisabettiano – mi è tornato in mano Buio in Sala, di Camilla Salvago Raggi.

E perché in seguito non abbia mai letto nient’altro di questa signora – romanziera, saggista, poetessa, traduttrice dall’Inglese – proprio non so, perché Buio in Sala (sottotitolato Una serata all’Opera) è assolutamente incantevole. Un caleidoscopio di personaggi raccolti a teatro per un Werther di Massenet cantato da un tenore di culto – e tutti pensano, guardano, ascoltano, fanno scoperte su se stessi, sulla musica e sui massimi sistemi…  Se avete letto i miei Insorti di Strada Nuova forse riconoscerete qualche tipo di parentela ideale.

E non ho idea di che genere di successo abbia avuto Buio in Sala – spero sia stato notevole – ma sotto certi aspetti è un po’ una cosa da melomani. Io nel Novantasette, quando uscì e lo lessi, ancora non lo sapevo. Studiavo a Pavia, all’epoca, e l’opera mi piaceva – ma non ci andavo granché. Era qualcosa che coltivavo per lo più a forza di CD e letture di libretti – e l’occasionale spedizione a Mantova o Verona. A piacermi tanto era il modo in cui la faccenda era strutturata: un’opera come prisma di lettura per una carota di umanità.

Un po’ d’anni dopo, tuttavia, il mio melomanissimo Mentore decise che era tempo di passare dai CD alle platee, dando inizio alla mia stagione di pellegrinaggi operistici. Se siete appassionati d’opera, sapete come funziona: ci si sceglie un cantante e lo si segue. Io per un po’ seguii Thomas Hampson, baritono americano che in Italia cantava poco o nulla – e questo portò a un certo numero di blitz ferroviario-musicali in giro per l’Europa… Ah, mais j’étais jeune!**

E quando facevo queste cose, mi capitava abbastanza spesso di pensare a Buio in Sala e alla sua descrizione dell’ambiente che gira intorno all’opera… ma la prima, primissima volta che ciò accadde, fu a Jesi. La mia prima spedizione operistica overnight, in compagnia del Mentore, per l’unica ripresa (che io sappia) del Ruy Blas di Marchetti. L’opera fu quel che fu – ma il ricordo indelebile, è quello dell’attesa che aprissero le porte del Teatro Pergolesi, seduta su un qualcosa di marmo (panchina? Parallelepipedo decorativo?) in compagnia del Mentore, e dell’arrivo – a due, a tre, a singoli – dei melomani. Quelli che si conoscono tutti tra di loro. Quelli che chiamano i cantanti per nome. Quelli che “Ah, ma la Carmen al Liceu, nel Novantuno…”.  Io ero una faccia nuova – oggetto di curiosità blanda e benevola e appena un poco scettica, perché ero un compagnia di un membro piuttosto in alto nel pecking order, ma non si sa mai con questi giovani che iniziano e poi si perdono per strada…

E all’improvviso mi accorsi che ero dentro un libro. Ero dentro Buio in Sala fino all’ultimo dettaglio, con vertiginosa perfezione – tranne l’opera: anziché un Werther a Roma, un Ruy Blas a Jesi – ma chiaramente non importava poi troppo. Il mondo del libro, il colore, l’umanità ritratta… era tutto lì.

Capitano, questi momenti.

Come la sera della prima assoluta di Di Uomini e Poeti al Bibiena. Ad applausi finiti, a cena al ristorante con gli attori e una manciata di ospiti di riguardo. Ero seduta con due attori e una signora dell’Istituto di Cultura Italiana di Dublino (mi par di ricordare), con un calice di vino bianco in mano, e stavo rispondendo a qualche tipo di domanda, e intanto nel chiacchiericcio della sala continuavo a risentire gli applausi di nemmeno un’ora prima, e…

E di nuovo: dentro un libro. Mio, questa volta – o, se non proprio un libro, il mio primo tentativo di romanzo. Una faccenda d’ambientazione teatrale, e questa scena in cui un’autrice debuttante è a cena dopo la prima del suo primo lavoro. Gli attori, il ristorante, il vino bianco, l’eco degli applausi in sottofondo alla conversazione… why, avevo persino un vestito di crêpe di seta grigia – come quello che, anni prima, avevo scritto addosso al mio personaggio! Scelto per la serata senza pensarci minimamente, giuro – ma ci fu un momento in cui mi tornò tutto in mente… ero dentro un libro!

Ecco, dicevo: sono cose che capitano. Un respiro trattenuto, un ombra di vertigine, magari il tipo di sorriso che fa levare un sopracciglio all’interlocutore… No, è tutto a posto. Mi è venuto in mente… ma mi diceva della Carmen al Liceu, nel Novantuno? Chi cantava Micaela…? Ed è tutto passato.

E a voi, o Lettori? Vi è mai capitato di trovarvi per un attimo dentro un libro?

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* “Ma è mai possibile che tu stia sempre cercando qualcosa, o Clarina?” E che devo dire? Si direbbe che sia possibilissimo…

** Una volta o l’altra vi racconterò.

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