Vitarelle e Rotelle

ABDCE

vitrotOggi, dopo un sacco di tempo, vitarelle e rotelle.

Ci sono un sacco di modi per strutturare una storia, e guai se non fosse così. Ce ne sono sessantanove, dice Kipling – e ciascuno di essi è quello giusto. Tuttavia, gli sviluppi dell’arte narrativa nella civiltà occidentale ci hanno abituati ad aspettarci certe cose da una narrazione, senza le quali la storia non appare compiuta, non sembra risolta. E’ principalmente una questione di forme: forma mentis e categorie di pensiero, e forme narrative… Non solo narrative, se vogliamo: non posso fare a meno di pensare a quella scena de I Buddenbrook in cui il giovanissimo Hanno improvvisa/compone al pianoforte, e ritarda la conclusione della frase musicale per il gusto della sospensione, dell’attesa. Il gioco gli riesce e lo gratifica perché c’è un modo in cui le frasi musicali “devono” risolversi perché le sentiamo complete.vitrotstructurure

Ecco, allo stesso modo, l’uomo occidentale struttura le sue storie in un arco narrativo, che parte da un punto, raggiunge un culmine e da lì discende verso un altro punto di arrivo, diverso da quello iniziale.  Aristotele lo aveva già teorizzato un buon numero di secoli fa, individuando una serie di elementi comuni alla struttura di tutte le storie: esposizione, complicazione, azione ascendente, crisi, climax, azione discendente, risoluzione. E infine morale.

Ovviamente, nei secoli con questa struttura è stato fatto, tentato e sperimentato di tutto ma, se è vero che l’esposizione iniziale e la morale alla fine sono alquanto cadute in disuso, è vero anche che l’arco narrativo di base è ancora un ottimo metodo per raccontare una storia.

ABDCE (a suo tempo scoperto leggendo Lazette Gilford) è una forma molto semplificata dell’arco aristotelico, che inverte la posizione di alcuni elementi, ne sfronda altri e ne accorpa altri ancora. Personalmente la trovo ottima per la traccia di base dei racconti brevi. Dopo si varia, si sposta, si aggiunge, si sottrae… Oppure si lascia tutto com’è e si è certi di avere una storia che, se non altro, funziona.

Vediamo un po’.

vitrotredridinghoodAction, ovverosia l’azione. Lo diceva già Omero di cominciare in medias res. Tanto per fare un esempio… “Capuccetto Rosso* fece un ultimo saluto con la mano a Mamma, e s’inoltrò correndo nel folto del bosco. Finalmente una giornata di vacanza, si disse, e infilò una mano sotto il tovagliolo a quadri che proteggeva il cestino. Nonna non si sarebbe nemmeno accorta della mancanza di una sola, piccola ciambella.”

Background. Adesso che abbiamo mostrato al lettore la nostra protagonista in azione, è ora di frenare un attimo, e fornirgli qualche spiegazione. Non troppe, giusto perché sappia in che compagnia è finito. “A volte non era facile essere figlia unica di madre vedova, e tanto meno vivendo sul margine di un bosco… Mamma aveva un bel dire, ma a che ti serve un bosco, se non puoi mai metterci piede? Era una gran fortuna che Nonna abitasse giusto all’altro lato, e che avesse bisogno di ciambelle, ogni tanto…”

Development. Ok, la scena è pronta. Adesso è il momento di sviluppare la nostra storia, di far succedere qualcosa o, in termini tecnici, di introdurre il conflitto. “Il Lupo comparve con l’aria di chi vuol fare conversazione, ma CR non gli diede retta. Tutti sapevano che non bisogna dare confidenza agli sconosciuti. – Non posso fermarmi a ciarlare, Herr Wolf, – disse la bambina. – Nonna aspetta le sue ciambelle. Tante belle cose. – E, fatta una mezza riverenza, passò oltre. Se si fosse guardata indietro, avrebbe visto il Lupo sorridere sotto i baffi (hanno i baffi, i lupi?). Invece non si voltò, e non si fermò più, se non per raccogliere qualche margherita qua e là, fino a che non arrivò a casa di Nonna. Casa che, a dirla tutta, suonava stranamente silenziosa…”vitrotgrannywolf

Climax. Pronti? Siamo al culmine della storia. Adesso la nostra eroina si mette proprio nei guai e deve darsi da fare per uscirne. E’ il momento dei fuochi d’artificio. “Nonna era a letto, e non aveva un bell’aspetto. Proprio no. – Che occhi grandi che hai! E che orecchie! E che bocca! – Con un luccichio famelico negli occhi, il Lupo si gettò su CR a zanne spalancate. – Per mangiarrrrrrrti meglio! – CR strillò a tutte tonsille e gettò cestino, tovagliolo, ciambelle, margherite e tutto quanto sul muso di quella che incontestabilmente non era Nonna. – Soccorso! All’assassino! – Con una risata di gola particolarmente malvagia, il Lupo atterrò su CR con tutte e quattro le zampe.”

Ending. E infine risolviamo i guai che abbiamo creato. Oddìo, potremmo anche non risolverli, e lasciar annegare la nostra eroina nelle conseguenze della sua stupidità (una che dice al Lupo dove sta andando, difficilmente verrà candidata al Nobel per la Fisica), ma per stavolta seguiamo la tradizione. “BANG! Il lupo si irrigidì e stramazzò di lato. CR si rialzò tremante, e vide sulla soglia della porta un cacciatore con lo schioppo fumante tra le mani. – Hai buoni polmoni, piccola, – disse l’uomo, e tese una mano per aiutare la ragazzina a rialzarsi. Insieme liberarono Nonna dall’armadio in cui il Lupo l’aveva chiusa. Poi CR raccolse le ciambelle da terra e le spolverò con cura, Nonna prese il sidro dalla credenza, e tutti e tre festeggiarono la felice risoluzione con una buona merenda, perché il pericolo mette una gran fame.”

Visto? Una storia! E se volete un passatempo del pari economico e istruttivo, provate a badare a quante favole, racconti, film, miti, telefilm, articoli di giornale e servizi del TG seguono questo schema, con limitate variazioni. Sarete sorpresi.

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* Ve l’avevo detto che uso sempre Cappuccetto Rosso per i miei esempi. As far as fairy tales go, nemmeno mi piace granché, Cappuccetto Rosso – ma bisogna ammettere che va bene per queste cose.

scrittura · Vitarelle e Rotelle

La Formula Pattison

Story formulaOgni tanto ci s’imbatte in qualche “formula per il racconto perfetto”, come questa dello scrittore e insegnante di scrittura Iain Pattison, ripresa e adattata dal sito inglese Ideas4Writers:

1) Qualcosa d’importante capita a un protagonista interessante con cui il lettore non può non simpatizzare;

2) Di qualsiasi cosa si tratti, è un problema che richiede l’immediata attenzione dell’interessante protagonista.

3) L’interessante protagonista ha qualche remora a lasciarsi coinvolgere, ciò che gli crea un dilemma. Se non bastasse, ecco che emerge qualche notevole guaio che deve essere risolto.

4) La soluzione del problema e il superamento del dilemma si prospettano estremamente difficili…

5) … Ma il protagonista si troverà in guai ancora più grossi se non risolve&supera: è, come suol dirsi, in ballo e gli tocca ballare.

6) Per risolvere il suo problema, il protagonista dovrà riconsiderare e cambiare qualche aspetto di se stesso o della sua relazione con qualcun altro.

7) Se doveste scommettere sulle sue possibilità di risolvere il problema, preferireste non giocarvi granché…

8) … Ma naturalmente il protagonista risolve il problema, con una soluzione tanto ingegnosa quanto inaspettata, che evolve logicamente dal personaggio e dagli eventi della storia.*

ThreeActIn realtà, nessuna sorpresa trascendentale: una variazione sul tema perenne di tutta la narrativa (il Protagonista deve Risolvere un Problema), combinato con un duplice conflitto – interiore ed esterno. E se vogliamo, è di nuovo la buona vecchia struttura in tre atti: I. il Protagonista vive felice finché non sbatte contro un Problema; II. il Protagonista affronta il Problema (e i connessi rovelli); III. il Protagonista risolve il problema e tutti vivono felici e contenti. Siamo sinceri: è dalla notte dei tempi che l’umanità si racconta storie di questo genere. Il dilemma aggiunto (o conflitto di II grado) è un’aggiunta un po’ più recente – ma nemmeno troppo. Segno che funziona – se non altro perché è quel che il nostro cervello occidental-aristotelico è fatto per riconoscere come Una Storia. Detto ciò, la Formula Pattison, come tutte queste cose, non è affatto una formula, ma contiene una serie di utili consigli che, più che con la costruzione della trama, hanno a che fare con la complessità e logica della storia:

a) il protagonista deve essere interessante e attraente;

b) il dilemma (scaturito dalla morale, dalle circostanze o dal passato del protagonista) deve intralciare la soluzione del problema – sennò è troppo facile;

c) il protagonista deve imparare qualcosa** per risolvere i suoi guai;

d) la soluzione deve essere inaspettata ma logica: mai imbrogliare il lettore!

Siamo alle solite: non ci sono ricette, non ci sono istruzioni per il montaggio – però ci sono sensati e pragmatici consigli per dare una forma (più o meno efficace) alle idee.  Nessuno pretende davvero che siano universali, o infallibili, o esclusivi: queste faccende esistono come traccia di base, pronti per ogni genere di esperimento, variazione e gioco… E davvero, dite la verità: non vi punge l’uzzolo di provare a giocarci?

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* Yes, well – oppure (e questo lo aggiungo io) deve fallire in una maniera che evolve logicamente dal personaggio e dagli eventi della storia. Anche se, allora, potremmo voler modificare di conseguenza il punto 7 migliorando considerevolmente gli odds del nostro protagonista…

** Oppure deve pagare il prezzo per non aver saputo imparare o cambiare – ma questa è un’altra storia.

 

scrittura

Tagli, Ricorsi e Potature

Scissors5Non è che passi il tempo a rileggere il mio blog – ma per una serie di circostanze mi è ricapitato sotto gli occhi questo post, ed è stato piuttosto bizzarro.

Se non avete voglia di andare a (ri)leggervi il vecchio post, ve lo riassumo: due anni e una settimana fa, mi lamentavo di una storia che volevavolevavoleva essere scritta, nonostante stessi lavorando su tutt’altro e avessi non una ma due scadenze al breve orizzonte. Dopo un po’ di inutile resistenza, l’Altra Storia e io eravamo giunte a un compromesso: io ti butto giù in prima stesura, e tu mi lasci in pace. E così era andata. Cinquemila parole e rotte in due giorni e una notte. Non male, trattandosi di me.

Dopodiché le scadenze incombevano e mi ero rimessa a lavorare sul serio – ma insomma, ci avevo guadagnato una prima stesura non del tutto insoddisfacente, e chissà che in futuro non potessi farne qualcosa… eccetera. Scissors

E che cosa c’è mai di bizzarro in tutto ciò, vi chiederete. Ebbene, il fatto è questo: ne ho fatto qualcosa. In questi giorni. Finendo ieri. Quelle cinquemila parolette o giù di lì che si erano fatte scrivere con la forza adesso sono rimaste in 2750 dopo una campagna di feroce potatura. E il racconto che ne è uscito partirà nei prossimi giorni per un certo concorso Oltremanica…

Come sempre capita in queste circostanze, è stato un esercizio estremamente istruttivo. Tagliare e asciugare è sempre interessante: che cosa posso togliere senza snaturare la storia? Questa parola mi serve davvero? E ho davvero bisogno di entrambi quest aggettivi? Non posso fare con uno solo? O sostituirli con uno che in qualche modo li comprenda entrambi? E questa considerazione è necessaria? E se eliminassi queste due battute, cosa succederebbe al dialogo? E così via… E in realtà, in via di principio, propenderei per la decapitazione – ma questa volta proprio non si poteva, e così più che potare ho limato, limato e limato quasi parola per parola. Confesso che levare le ultime cento o centoventi parole è stato come scartavetrarsi i canini.

Ma ci siamo arrivati – e bisogna dire che ci fosse parecchia imbottitura, perché alla fine è ancora la storia di partenza, seppur considerevolmente più asciutta. Come dicevo, ritrovare il post in cui raccontavo la nascita del racconto… A parte tutto il resto, secondo voi posso considerare la storia punita per la sua prepotenza originaria?

E ancor più bizzarro, a ben vedere, è questo. Ieri, oltre a questa potatura, ne ho finita un’altra: quella del romanzo. Pensavo di prendermi un giorno di pausa, oggi, prima tuffarmi nelle ultime scene da aggiungere… E sapete chi si intrufola nel giorno di pausa? Un’Altra Storia, ovviamente… Qualcosa che voglio scrivere da tempo, e la cui prima scena mi è balenata in mente mentre guidavo sotto la pioggia, l’altra sera, di ritorno dalle prove. “Non ho tempo, non ho tempo e non ho tempo,” le ho detto – perché proprio non ne ho…

scissors4Ma quest’accidente adesso ha delle pretese: vuole che domani, mentre non scrivo altre cose, la butti giù. Almeno una prima stesuretta…

E che bisogna farci? Si vede che certe cose proprio non cambiano.

 

 

lostintranslation · romanzo storico · scribblemania · teatro

Piccolo Bollettino Generale

draft announcingAllora, ricapitoliamo, volete? Una volta consegnato il Serpente è arrivato il momento di quella che, se tutto va bene, sarà l’ultima e definitiva stesura del romanzo.

La Terza Stesura.

No, non c’è un contaparole, perché questa volta non funziona così. Sto asciugando, per cominciare, e assottigliando, e potando, e sfoltendo, e tagliuzzando, e sfrondando, e snellendo – e quindi un contaparole sarebbe di scarso aiuto. Magari lo sarà di più quando inizierò ad aggiungere le scene che ho lasciato indietro nella seconda stesura… Potrei forse organizzare uno di quegli arnesi che, anziché le parole, contano i capitoli. Questo magari sì, perché sto procedendo capitolo per capitolo… Non in ordine – perché mai in ordine? Ieri ho lavorato sul quinto capitolo, oggi sul secondo, domani ancora un po’ di secondo e poi il terzo entro la fine della settimana. Il quarto è già a posto. Sentite: sul campo ha più senso di quanto possa sembrare dalla descrizione – e ad ogni modo potrei davvero aggiungere un contacapitoli.

Ma in fondo è lo stesso. Quel che importa è che va piuttosto bene. Per lo più si tratta di aggiustare e potare. Ho eliminato qualcosa, girato come un guanto qualcos’altro, non ho ancora deciso che fare dell’abominevole William Bradley (tre o quattrocento parole…) e in questa stesura il protagonista litiga molto di più con suo fratello. Nel complesso: so far, so good.

Nel frattempo ci sono in corso altre cose, naturalmente. Draft

1) Il Project F. Questo è una traduzione… Una terrificante traduzione con secondi fini di natura teatrale. Dico che è terrificante perché sotto molti aspetti è un sogno che si realizza, ma mi rendo conto di essermi assunta un compito dannatamente complicato – e per di più me lo sono assunto da miscredente. Quante volte ho detto di non avere un briciolo di fede nella traduzione letteraria? Ebbene, eccomi qui, ma non è come se fossi convertita o nulla del genere. Sono quei secondi fini che vi dicevo e nient’altro. È una traduzione strettamente mirata, e con l’intenzione di riprodurre una serie di idee e condizioni, più che altro… Ma basta così. Dopo tutto, se fosse facile forse non ne varrebbe la pena, giusto? Vi farò sapere.

2) L’editing. Un editing in Inglese che promette molto bene. Su un tipo di testo diverso dal consueto. Non sono certa di avere una zona di sicurezza in fatto di editing, e di sicuro, se ne avessi una, tutto questo è troppo piacevole per poterlo considerare un’escursione… Ma di sicuro è qualcosa che non ho mai fatto prima, à la Colazione da Tiffany – e ciò è bello e anche istruttivo.

3) BJ è un racconto. Quasi quattromila parole. Non ne sono affatto insoddisfatta, tanto che mi piacerebbe mandarlo a un concorso di una certa importanza. Peccato che il concorso accetti testi fino a 2500 parole. E duemilacinquecento sono meno di quasi quattromila. Un bel po’ di meno. Quindi sto cercando di capire se vale la pena di provarci. Se posso ridurre BJ alle dimensioni necessarie senza danneggiarlo irreparabilmente. Per ora sono alla fase potatura – con risultati modesti. La settimana prossima comincio a rimuginare su eventuali amputazioni.

Ecco, più o meno è così che funziona. Poi ci sono gli altri lavori, le traduzioni di saggistica, le revisioni, e le idee di tre plays – una vecchia, una nuova e una di mezz’età – che strillano Scrivimiscrivimiscrivimi… Ma quello per ora è rumore di fondo.

More to come. E sarà bene che torni al lavoro.

pennivendolerie

E la Copertina!

Vi avevo detto di The Copperfield Review, ricordate? La rivista americana specializzata che pubblicherà nella sua prima antologia il mio Gentleman in Velvet…

Ebbene, ecco qui la copertina:

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Bella, vero? Io sono di parte – e quindi dirlo lascia esattamente il tempo che trova – ma la la adoro. Bear with me.

History Will Be Kind uscirà il 17 di novembre, e conterrà una quindicina tra racconti e poesie ambientati “in una varietà di periodi storici”, opere di altrettanti tra collaboratori storici di TCR e una manciata di nuovi nomi – tra cui la vostra affezionatissima.

Che posso dire? Non vedo l’ora, non vedo l’ora e non vedo l’ora…

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Oh – e no: ieri niente musica… Influenza. O parainfluenza. O quel che è. Sorry.

pennivendolerie

Oltretinozza

Se non  vi dispiace, oggi mi compiaccio un pochino.

Copperfield

Cominciamo con un paio di paragrafi:

Sono nella bottega di mio padre, quando il servitore in livrea porta il velluto – a ricevere una ramanzina per aver fatto a botte. A otto anni sono un bambino riottoso. Ma l’arrivo della stoffa costringe mio padre a tagliar corto, e tutti – io e i due apprendisti – ci affolliamo attorno al banco del padrone, quello meglio illuminato, per veder sciorinare le dieci o dodici spanne di velluto.

S’increspa come acqua, di un rosso bruno che vira al cremisi nella luce obliqua del pomeriggio, e al nero nel cuore delle pieghe molli. Manda un sentore pulito e caldo, ricco nell’aria greve di pece e cuoio conciato con l’urina. Sembra un tale peccato tagliarlo in un paio di pianelle… Quando allungo una mano per toccarlo, mio padre mi bacchetta le nocche e mi spedisce di sopra, ancora in disgrazia – e che ci pensino mia madre e le mie sorelle, almeno fino all’ora di cena…

E questa è una traduzione improvvisata dell’inizio di Gentleman in Velvet. GiV, o Lettori, è uno dei miei racconti elisabettiani – e la notizia di oggi è che The Copperfield Review l’ha accettato per la sua antologia celebrativa. CopSmall

The Copperfield Review è una pluripremiata rivista americana online dedicata alla narrativa storica che, per festeggiare i suoi quindici anni, pubblicherà in ottobre la sua prima antologia. E GiV è uno dei quindici racconti scelti. L’antologia uscirà in ottobre, in formato elettronico e cartaceo, e questo significa una pubblicazione in America. Ho attraversato la Tinozza – o quanto meno, il mio Gentiluomo in Velluto l’ha fatto per me.

Vi terrò al corrente – ma intanto potete chiamarmi Isabella.

pennivendolerie · Storia&storie

The Circle Review

Vi ho mai detto che SEdS fa parte di un ring chiamato Il Circolo delle Arti, fondato un po’ più di due anni fa da Lorenzo V. di Prospettiva Nevskij, – ovvero @arteletteratura per chi bazzica Twitter?

Ebbene, se non l’ho fatto prima, ve lo dico adesso: SEdS è membro de Il Circolo delle Arti.

“E perché ti salta pel capo di dircelo adesso, o Clarina?”

Perché, o lettori, adesso il ring ha una sua rivista elettronica, ideata, diretta e curata da Lorenzo V. E quindi vi segnalo con molto piacere il varo di The Circle Review.

Con molto piacere e un certo orgoglio, visto che faccio parte dell’equipaggio. Sul primo numero troverete interventi di una quindicina di blogger, tra cui Emma Pretti, Carmine di Cicco e Annarita Faggioni – giusto per citarne qualcuno. E ci sono anch’io, con un racconto intitolato La Ricompensa.

Qui c’è un assaggio:

Capitò che, all’età di quattordici anni e due mesi, l’orfano Hans Jakob Krone, del villaggio di Seckau, in Stiria, si ritrovasse sul campo della battaglia di Lipsia in qualità di tamburino dell’Esercito Imperiale. Non un tamburino particolarmente brillante, a ragione del suo scarso addestramento, avendo Krone raggiunto il suo reggimento da cinque giorni soltanto. Inoltre, anche in momenti più felici, la mente del piccolo Stiriano non aveva mai brillato per prontezza o acume. Nella piana di Lipsia, squassato dal tuono dei cannoni, accecato dal fumo, terrorizzato dal fuoco, dallo scalpitare dei cavalli, dalle urla degli uomini e dall’odore delsangue, il ragazzo non seppe altro che farsi spingere e strattonare dai soldati, perdere subito una bacchetta e, con l’altra, battere fievolmente e alla cieca, senza aver la più pallida idea di quel che si facesse.

Krone non ebbe davvero alcun merito o colpa del fatto che la stessa palla di cannone che gli sbriciolò l’avambraccio destro uccidesse sul colpo un giovane colonnello di cavalleria il quale, benché appiedato e ferito, cercava di riunire attorno a sé qualche dozzina di uomini per tentare l’assalto di una batteria francese. Per nient’altro che un caso, dunque, finita la battaglia, il giovane Arciduca che percorreva il campo conil suo aiutante trovò, uno accanto all’altro, il corpo del suo amico, il Colonnello morto da eroe con la sciabola in pugno, e il piccolo tamburino ferito che si lamentava nel modo più commovente. E ancora questo non sarebbe bastato a forgiare il destino di Hans Jakob Krone, di Seckau in Stiria, se proprio la sera prima,accanto al camino di una stanza requisita, l’Arciduca e il Colonnello non avessero discusso sul destino deitanti feriti che quella guerra si sarebbe lasciata dietro, e il Colonnello non avesse perorato con tutto il suo fervore la causa degli invalidi.

Questo fece sì che all’Arciduca paresse di non poter abbandonare al suo destino quel ragazzo dal braccio dilaniato senza offendere la memoria del suo povero amico e, in men che non si dica, Krone si ritrovò trasportato con ogni cura fin sul tavolaccio insanguinato del capo chirurgo militare, un vero medico con tanto di laurea dell’Università di Augusta, che non si scomodava mai per nessuno che non fosse almeno un generale.

Riscuotendosi un istante dal torpore che gli davano la sofferenza e l’aver perduto molto sangue, il tamburino vide, chino su di sé, un giovane così biondo da parere a sua volta un ragazzo, il cui mantello bianco macchiato di polvere e di fango lasciava intravedere un’uniforme rilucente di decorazioni.

“Coraggio, ragazzo,” disse una voce rauca di fatica. “Sei un buon soldato.”

Hans Jakob ebbe il conforto di una mano sulla spalla sana, dopodiché il giovane dal mantello bianco si allontanò.

“Chi è?” mormorò il tamburino con meno d’un filo di voce.

“Come, chi è? Ma il giovane Arciduca, perbacco!” rispose l’uomo in grembiule di cuoio che brandiva una sega da falegname…

Il resto lo trovate – insieme a una messe di racconti, saggi e poesie – nel primo numero di The Circle Review, che si scarica – gratuitamente e in formato PDF – qui