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Niente scrittori per favore

Mi è capitato di recente d’imbattermi nelle linee guida di una rivista letteraria americana in cui supplicava ironicamente l’aspirante contributor di non, non, non mandare storie incentrate su scrittori all’opera, blocco dello scrittore e processo creativo in generale.  Non se ne può più, dicevano in sintesi le Guidelines: vogliamo storie, non storie su come si scrivono le storie!

E, benché la storia che avevo – e ho ancora – intenzione di mandare parlasse di tutt’altro, mi sono sentita colta in fallo, perché… vi ho mai detto che adoro la metanarrativa? Che poche cose mi fanno felice come le storie su come si scrivono le storie?

Ve l’ho detto, vero? Giusto qualche migliaio di volte. E quindi… er. Continua a leggere “Niente scrittori per favore”

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Ricapitolando…

E mi rendo conto  solo adesso – tempo di bilanci and stuff – che all’inizio del Ventuno non ho fatto propositi pubblici. Nemmeno l’ombra, né qui né su Scribblings…

Qui addirittura avevo iniziato l’anno rimuginando cupamente su come e perché avessi rinunciato a un concorso importante sull’Isoletta. Gloomy, nevvero? Niente propositi – e una rinuncia… Continua a leggere “Ricapitolando…”

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Piccolo Bollettino di Maggio

Oh, guardate: un Piccolo Bollettino! Da quanto tempo non scrivevo un PB di alcun tipo…? Un tempo c’erano i Piccoli Bollettini Notturni, i Piccoli Bollettini Soddisfatti, all’occasione i Piccoli Bollettini Furibondi…

Well, never mind. Questo è un Piccolo Bollettino di Maggio – giusto per vedere come stanno andando le cose. Continua a leggere “Piccolo Bollettino di Maggio”

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Una storia al giorno – di nuovo

Ricordate #StoryADay, Julie Duffy e le 23 storie in 31 giorni?

Una di quelle sfide internettiane, dicevamo l’anno scorso – la cui versione completa richiederebbe di scrivere ogni giorno la prima stesura di un racconto, per tutto maggio. Però poi in realtà si è invitati a stabilire le proprie regole – perché l’idea non è quella di affondare nelle sabbie mobili di un obbiettivo irragionevole, ma piuttosto quella di spingersi “oltre”. E converrete tutti che “oltre” può essere una faccenda molto, molto soggettiva… Continua a leggere “Una storia al giorno – di nuovo”

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Ancora Gente nei Guai

E così lunedì scorso abbiamo terminato la prima edizione online di Gente nei Guai, il mio corso di scrittura narrativa.

Mi dichiaro molto soddisfatta. Con la mia mezza dozzina di partecipi e bravissime allieve abbiamo esplorato principi narrativi, discusso di massimi sistemi applicati alla narrativa – e narrativa applicata ai massimi sistemi – dissezionato storie classiche, giocato con l’arco aristotelico e ogni genere di conflitti, immaginato personaggi, coltivato idee e trame, sperimentato, offerto mutuo incoraggiamento e soprattutto, si capisce, abbiamo scritto.

Dal mio punto di vista è stato interessante e stimolante – e i commenti delle allieve sono stati molto positivi.

Il mezzo… well, yes – Zoom non è come incontrarsi una volta la settimana, starsene seduti nella stessa stanza, discutere e scrivere insieme… Ovviamente non è la stessa cosa. Però è più semplice dal punto di vista logistico, annulla le distanza (un’allieva si collegava da Milano, un’altra da Verona…), e permette comunque un buon grado d’interattività. Una chat dedicata su Whatsapp e la posta elettronica per dispense ed esercizi fanno il resto.

Per quanto mi riguarda, direi che l’esperimento è riuscito, e Gente nei Guai 2.0 si è rivelato un sentiero felicemente percorribile.

Tanto che ho ogni intenzione di ripetere. Cominciando dal 13 aprile, per otto martedì.

Siete interessati a esplorare con me i meccanismi della scrittura narrativa? Conoscete qualcuno a cui l’idea potrebbe interessare? Trovate una certa quantità di informazioni – e un form per chiederne altre, se volete – sulla nuova pagina dedicata

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Gente nei Guai – un corso di scrittura

Parlando con C. mi è albeggiata in mente una cosa: sono secoli che non propongo Gente nei Guai, il mio corso di scrittura narrativa. E mi è albeggiato in mente anche questo: se lo rifacessi? Online?

Partendo dal presupposto che gli ingredienti fondamentali di ogni storia siano il conflitto e i personaggi, Gente Nei Guai propone una serie di teorie, principi, tecniche ed esercizi – strumenti per imparare a maneggiare gli elementi base della narrazione scritta.

L’idea è quella di otto incontri in cui esploreremo i misteri della struttura drammatica e del conflitto narrativo; costruiremo personaggi, li faremo agire e parlare; passeggeremo dietro le quinte della scrittura e analizzeremo i Grandi all’opera; passeremo al setaccio la pubblicità delle macchine da caffè e impareremo a misurare la tensione delle storie, delle scene e dei dialoghi…

In video-conferenza, una volta la settimana in orario serale.

Che ne dite? Se siete interessati, qui c’è la brochure, e per informazioni o adesioni, potete contattarmi qui.

 

 

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Segni del Destino

Ieri sera ho ricevuto in regalo un segno del destino.

Un regalo di compleanno – poi ci si sono messi in mezzo il virus, l’Africa e cose così – composto di due parti: il numero di Topolino uscito tre giorni dopo la mia nascita (perché P. è il tipo di persona che ha questi pensieri deliziosi e whimsical) e poi… il segno del destino.

E il segno del destino è una versione a fumetti di Lord Jim. Opera di Fabio e Stelio Fenzi, supplemento a il Giornalino del 4 agosto del 1993.

Sapevo dell’esistenza di questa cosa e ne ero curiosissima – ma non ero mai riuscita a procurarmene una copia fino a ieri sera, quando P. me l’ha messa tra le mani a titolo, come dicevasi, di regalo di compleanno. E naturalmente poi ieri sera l’ho divorato, e ho finalmente placato la mia curiosità. Nonostante le mie radicate perplessità sul fatto che LJ sia in alcun modo una lettura da fanciulli, devo ammettere che Fabio Fenzi ha fatto un discreto lavoro nel semplificare e smussare la storia senza snaturarla completamente*. Persino il finale… Well, se nella vostra infanzia siete stati lettori de Il Giornalino, saprete anche voi di una certa tendenza a edulcorare il finale negli adattamenti dei classici.** Oddly enough, al desolatissimo finale di LJ Fenzi aggiunge dosi di zucchero radicali ma, tutto sommato, ridotte .

Quindi alla fin fine posso dire che, pur non approvando l’operazione editoriale in sé, inorridisco solo in parte al modo in cui è stata realizzata.

E tutto ciò è molto bello e istruttivo, o Clarina, mi par quasi di sentirvi mugugnare a questo punto, ma non vagare per i prati. Ci hai promesso un segno del destino: in che modo la versione a fumetti di LJ è un segno del destino?

Giusto – il segno del destino. Ebbene, il fatto si è i tempi dell’arrivo sono di una serendipitudine perfetta oltre ogni dire. Proprio qualche giorno fa ho cominciato a dirmi che è tempo di rileggere LJ – perché non lo rileggo da secoli, e perché è ora di rimettere mano all’idea di un adattamento.

Un adattamento, sì. Idea già accarezzata secoli orsono, quando ero una matricoletta alle prime*** armi in fatto di scrittura teatrale e adattamenti. Per cui l’idea all’epoca era dissennatissima, considerando le complessità molteplici e stratificate del testo… E infatti cominciai piena di sacro fuoco – ma mi fermai presto.

Adesso, però…

Adesso è passato un quarto di secolo. Ho scritto molto, in questi anni, adattato molto, studiato e praticato, letto e riletto, pensato… Ogni tanto l’idea tornava a galla, e io la contemplavo un pochino e poi la spingevo di nuovo sotto il pelo dell’acqua. Non ancora. Non ancora.

Fino a qualche giorno fa, quando è riemersa più lucida e compatta. Pronta, forse? E forse sono pronta anche io? E ho cominciato a strologare e buttar giù qualche appunto, e a chiedermi se ho davvero il coraggio di riprovare. Perché a parte il mio legame*** con questo particolare romanzo, c’è il fatto che questa non è una faccenda discussa con un regista e destinata con certezza a uno specifico palcoscenico, e non ho idea se se ne potrà mai fare qualcosa, e a dire il vero non so nemmeno in che lingua farlo, e voglio davvero impelagarmi in una faccenda del genere? E…? E…? E…?

Per cui capite che quando ieri sera P.  mi ha messo in mano il suo regalo… Oh, magari non subitissimo, al di là della sorpresa e della soddisfazione. Ma più tardi, mentre guidavo verso casa nel silenzio della campagna estiva, ho avuto la mia piccola epifania: un segno del destino!

E se volete, si può aggiungere questo: agosto del Novantatre. A poche settimane di distanza dal mio primo malguidato, acerbissimo tentativo di adattamento. Scritto a mano su una vecchia agenda, ascoltando per qualche motivo la Crown of India Suite di Elgar, rannicchiata alla scrivania della mia stanza di collegio a Pavia… E levate pure il sopracciglio, se volete – ma quando suonava la campana della cena mi ritrovavo con le spalle indolenzite dall’intensità del lavoro.

E poi nulla – un piccolo naufragio, perché allora non conoscevo il mestiere. Ma adesso sì. E ci sono persino i segni del destino. Per cui…

Vi saprò dire. Intanto grazie, P. Grazie davvero.

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* A dire il vero non so immaginare le reazioni di un implume interamente digiuno di Conrad. Forse potrei procurarmene uno e sperimentare? O rischierei di bruciarmi un potenziale futuro lettore adulto per LJ? Difficile decisione…

** Magari di questo tipo di politica editoriale discuteremo un’altra volta.

*** Yes, well – anche di questo parleremo, prima o poi.

**** E sì – per i miei standard questo è un post altamente sentimentale. Ecco.

 

 

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E Intanto il Pubblico Che Fa?

JeffHatchHam_Edit_32514State a sentire che cosa dice Jeffrey Hatcher nell’introduzione al suo libro The Art and Craft of Playwriting. Traduzione mia:

Magari col vostro dramma volete rimediare a un torto, o espiare una colpa, o far ridere, o cambiare il mondo… Ok – ma ricordatevi sempre questa domanda – che R. Elliott Stout, il mio insegnante di teatro alla Denison University, aveva incorniciato e appeso sopra la sua scrivania:

E INTANTO IL PUBBLICO CHE FA?

David Mamet […] una volta disse che far passare al pubblico due ore in un teatro significa chiedere molto a una persona. Contate le ore che anche il più occasionale degli spettatori passa là al buio*,  e vedrete che prima di compiere ottantatre anni, a quello spettatore occasionale piacerebbe riaverne indietro parecchie, di quelle ore… Ecco, il nostro mestiere a teatro è far sì che il nostro ottuagenario non rimpianga un singolo momento di quelli che ha passato al buio in platea.

Pensate a tutte le volte in cui siete andati a teatro alla fine di una giornata lunga, dura e faticosa. Dio sa com’è che avete il biglietto, e mentre si fanno le otto, volete solo andarvene e tornare a casa il prima possibile. Dando un’occhiata al programma scoprite con orrore che lo spettacolo ha non uno ma due intervalli. Sarete fortunati se siete a casa per le undici o mezzanotte… Cercate con gli occhi l’uscita, ma prima che possiate fare la vostra mossa la folla si zittisce, le luci di sala si spengono e voi siete intrappolati – e sotto sotto sapete che mettersi a strillare “al fuoco!” sarebbe brutto… Ed ecco che sono passati quaranta minuti, le luci si riaccendono, la folla sciama verso il foyer – e voi non vedete l’ora di scoprire che cosa succederà nel secondo atto. Tornate alla vostra poltrona ben prima che si apra il sipario, perché non volete perdervi una parola. E all’improvviso è il secondo intervallo, e questa volta non vi alzate affatto, perché state discutendo il dramma con lo sconosciuto seduto accanto a voi. E poi le luci si spengono di nuovo, e prima che ve ne accorgiate il sipario si è richiuso definitivamente, gli attori hanno lasciato il palco e voi siete ancora impegnati ad applaudire, siete ancora lì al vostro posto e non volete andarvene, e state cercando di ricordarvi l’ultima volta che vi siete sentiti così a teatro…

Ecco, questo è il nostro mestiere di autori teatrali. È quel che facciamo: questa gente stanca, che avrebbe tutte le ragioni per tornarsene a casa, noi la obblighiamo a restarsene incollata alla sua poltrona. E a volerci restare. E a tornare la prossima volta.

Ecco. Sì, sì – . È quello che facciamo. Quello che vogliamo fare. Rendere lla gente in platea felice di essere obbligata in questo modo.

Credo di volerla incorniciare a appendere anch’io, questa domanda…

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* Be’, è ovvio che le ore in questione tendono ad essere di più in un paese anglosassone…