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Scusi, Cosa Cerca?

Parlavamo di storia e romanzi storici, ricordate? E ci eravamo lasciati con il drammatico quesito:

Che cosa cerca davvero il lettore in un romanzo storico?

past_and_presentPer cominciare, potremmo dire – e, badate, non vale solo per il romanzo storico – che quel che cerca il lettore non è necessariamente quel che cerca chi scrive. Anzi, direi che abbastanza spesso possiamo essere ragionevolmente sicuri del contrario. Per non parlare poi di quel che i lettori trovano nelle storie. Se avete mai scritto qualcosa e l’avete fatto leggere a chiunque – fosse pure la vostra metà, l’amico del cuore o la mamma – odds are che siate rimasti basiti di fronte alle altrui interpretazioni di quel che credevate di avere espresso con cristallina chiarezza…

Ma questa è un’altra faccenda, una vasta e perenne fonte di più o meno ilare sconcerto che, magari ci terremo per un’altra volta. Per ora limitiamoci a nuotare in acque più circoscritte: che cosa si cerca in un romanzo storico – quando lo si scrive o quando lo si sceglie da uno scaffale di libreria?

* Un senso della sostanziale parentela che ci lega a questi antenati? È quel che sostengono i fautori dell’uso del linguaggio contemporaneo nella narrativa storica, a partire da Josephine Tey. Considerando la gioia vertiginosa dell’incontrare in una storia vecchia di millenni o in una teca di museo qualcosa che non è mai cambiato, direi di sì. Questo naturalmente fa del romanziere storico una specie di traduttore, e si sa che le traduzioni sono irte di pericoli…

* Uno sguardo agli usi, costumi e pensieri di un mondo che il passare dei secoli ha reso estraneo? Una specie viaggio nel tempo inteso à la Hartley, come un paese straniero dove fanno le cose in maniera diversa. In un certo senso è la teoria opposta: non le parentele, ma l’estraneità. Osservate, o Lettori, gl’indigeni nei loro pittoreschi costumi… Dopodiché qualche ponte bisogna pur lanciarlo, perché stiamo parlando di narrativa, e il lettore deve potersi identificare con questa gente che non solo fa le cose, ma pensa e sente in maniera diversa. Attraverso i secoli il peso relativo dei fattori che condizionano pensieri, credenze e decisioni è cambiato piuttosto drasticamente – tanto che può essere difficile simpatizzare con un’inadulterata mentalità, say, quattrocentesca. La questione intricata diventa dunque non la necessità dei ponti, ma la quantità, larghezza e spessore dei ponti stessi.

* Qualcosa – qualcosa che riempia lo spazio tra le righe dei libri di testo? Ombre, luci, spessore, tridimensionalità dietro gli elenchi di date… Che cosa facevano tra una battaglia e l’altra? Tra un trattato e l’altro? Chi erano? Che cosa pensavano? Si combina bene con uno dei precedenti a scelta e offre il destro a quantità variabili di speculazione. Perché, e ne abbiamo parlato ancora, ci sono tante Cose Che Non Sappiamo Più – e allora il mestiere del romanziere storico consiste nel ricostruire quel che non sappiamo più sulla base ed entro i limiti di quel che sappiamo. La libertà con cui si trattano le basi e i limiti dipende in parte da quale dei due atteggiamenti qui sopra si decide di sposare.  A meno che non vogliamo dire che quel che si cerca alla fin fine sia più di tutto…

* Una buona storia e basta? Perché non c’è dubbio: i secoli passati sono una miniera di faccende, di gente e di guai che strepitano per essere narrati… E probabilmente questo è il motore primo di tutta la narrativa storica, che diamine. Ma aspettate, non è finita. Potremmo cercare anche…

* Possibilità alternative, spiegazioni outlandish, ipotesi controverse? Ci sarà un motivo, non credete, per tutta quella sterminata produzione romanzesca sulla questione del Vero Autore. Domande che magari non sono del tutto domande, ma che è interessante o divertente esplorare. E allora si va dal Supponiamo Per Gioco Che Shakespeare Non Abbia Scritto Il Suo Canone allo storico extraaccademico convinto di possedere la Prova Inoppugnabile che, dopo aver trovato chiuse tutte le porte editoriali per il suo saggio, contrabbanda le sue più o meno bizzarre teorie in forma di romanzo. Ma anche giochi di altro genere: fingiamo che Napoleone non sia stato sconfitto a Waterloo, immaginiamo un Cinquecento in cui la magia esisteva e funzionava davvero come la gente dell’epoca credeva che funzionasse, ipotizziamo che Costantinopoli non sia caduta, supponiamo di riuscire a tornare nella Roma repubblicana con la macchina del tempo, costruiamo un medioevo immaginario à la Walter Scott… Non è come se stessimo davvero uscendo dal territorio – ed è per questo che a me anche l’ucronia e il fantasy storico piacciono ragionevolmente accurati, ma ammetto la possibilità di standard diversi dai miei. E infine…

* Qualcosa d’altro – in costume? Sesso rovente in (o più che altro senza) abiti regency, parabole contro l’emarginazione/il razzismo/la discriminazione delle donne/la guerra/younameit in vesti del tutto inadatte al tema in questione… E qui, temo di dover confessare, divento un nonnulla impaziente. Mi va benissimo il giallo in cui il detective di turno, più o meno dilettante, indaga plausibilmente e alla maniera e secondo le conoscenze del suo secolo, su qualcosa che sarebbe potuto accadere all’epoca. Quando si distorce un mindset passato per sostenere una tesi, quando si mettono in costume personaggi contemporanei con la logora scusa dell’Eroina Anticonvenzionale, quando si finge di ambientare nella Grecia classica una storia cui basterebbe aggiungere un po’ di tartan e qualche cespuglio d’erica per spostarla nella scozia del Settecento, allora divento acida – e fatemi causa. Ma ciò non toglie che anche questo sia qualcosa che lettori e scrittori possono cercare in un romanzo storico. Che poi io mi rifiuti di considerare il prodotto un romanzo storico at all fa davvero poca differenza.

E però questo è davvero un elenco di massima – anche abbastanza personale. Voi, o Lettori, che cosa  cercate in un romanzo storico?

Shakeloviana

Shakeloviana: L’Inferno E La Terra

H&EAvevo detto che vi avrei tenuti aggiornati su The Stratford Man, giusto?

Ebbene, già da diverse settimane ho finito l’ultimo volume, Hell and Earth – solo che non c’è mai stata l’occasione di postarci su. E adesso eccoci.  L’ho letto, dicevo, e… hm. Per carità, non ha nulla che non vada. Concetto, personaggi, scrittura e caratterizzazione restano quel che erano: una gioia. Il mio problema, semmai, è con la trama.

La trama, alas, non è più così fluida e tesa. Non è nemmeno che scricchioli – in realtà non lo fa, e se non arriva a combaciare con Whiskey and Water, scopro che non m’importa poi troppo. È che comincia a girarsi un po’ attorno. C’è qualche ripetitività, qualche insistenza… Honestly, quante volte devono salvarsi a vicenda Kit e Will? Quante volte devono essere disposti a sacrificare la vita l’uno per l’altro? E soprattutto il complesso del martire di Kit comincia a farsi un tantino più pronunciato di quanto potrebbe.

E poi sia chiaro: è pieno di bellissime scene. Kit e la sua viola nel bosco gelido e ostile. L’irreale galoppata tra i mondi del climax. Ogni volta che entra in scena Sir Robert Cecil. L’uscita dalla Torre (con corvo). Il dialogo con l’angelo nell’oubliette. Mastro Troll…

È un peccato che l’intero sia un po’ meno della somma dei suoi componenti – ma resta una gradevole lettura e, nell’insieme dei due volumi, un ottimo fantasy storico. Tanto che vi dirò: francamente, se prima o poi arrivasse un altro volume, non ne sarei soverchiamente dispiaciuta. Come dicevo: il posto c’è, perché tra questo finale e l’inizio di W&W è chiaro che manca qualcosa.

Stiamo a vedere.

E insomma, ecco fatto. Se vi venisse voglia di leggere, Hell and Earth si trova su Amazon

E questo era, credo, l’ultimo appuntamento di Shakeloviana. Tireremo le somme lunedì prossimo – e poi avremo finito del tutto.

grilloleggente · Storia&storie

Fatti Veri Mai Accaduti

The Armor of Light, di cui parlavamo qualche giorno fa, ha anche una nota dell’autore – in realtà delle autrici – che inizia così:

I fatti raccontati in questo libro sono veri – solo che non sono mai accaduti.

Toby Morison illo for Simon JenkinsIl che va a dimostrare che le note dell’autore andrebbero sempre, ma sempre lette – per non rischiare di perdere gemme come questa, che in una manciata di parole riassume perfettamente la mia idea di fantasy storico.

Perché sì, o Lettori, stiamo ancora rimuginando su storia&narrativa. Vi avevo detto che saremmo andati avanti per un po’, vero?

Allora, ci siamo chiesti di che cosa si vada in cerca aprendo un romanzo storico, ricordate? Ebbene, riformuliamo la domanda – in termini abbastanza simili a quelli usati da V. via mail: di che cosa si va in cerca, invece, aprendo un fantasy storico?

Ebbene, credo che questa volta le risposte siano un nonnulla più complicate a catalogarsi, per cui mi limiterò a dirvi di che cosa vado in cerca io.

1. Ipotesi, giochi, colori diversi. Prendiamo un secolo passato, cambiamo un ingrediente o due, e vediamo che cosa salta fuori. Da un lato, c’è il fatto che molti dei secoli che mi piacciono abbondavano in credenze preternaturali perfette per essere romanzate. Dall’altro, si può prendere qualcosa di completamente diverso e piazzarlo in un secolo passato come se fosse il suo posto naturale. Oppure ancora, si può cambiare qualche premessa, alterare qualche sequenza di eventi, aggiungere o sopprimere qualche svolta fondamentale. O una combinazione qualsiasi delle tre possibilità.

2. Domande. Finito il libro? Molto bene. Adesso immaginiamo come sarebbero potute andare le cose a partire da quel secolo passato a piacere modificato così come l’ha immaginato l’autore. Ipotizzando il Cinquecento di Scott&Barnes, come sarebbero andati i secoli successivi? Come si sarebbe sviluppata la scienza gomito a gomito con la magia? Come si sarebbe mossa la religione tra le due? Come sarebbero andati la Rivoluzione Americana, la conquista dell’Impero e tutto il resto? Come sarebbero le cose oggidì? Domande, appunto.

3. Fatti veri che non sono mai accaduti. Non reali, veri. Plausibili nel quadro modificato dalle premesse dell’autore e coerenti con quel che del quadro originario resta.

E qui arriviamo, credo, al punto fondamentale. A me un certo grado di rigore storico serve anche qui – perché siamo d’accordo, di fantasy si tratta, ma per me l’aspetto chiave rimane quello storico. Quel che cerco è, in definitiva, non un fantasy ambientato in altri secoli, ma un What If che contempli possibilità alternative e/o preternaturali.

Questione di lana caprina? Nemmeno troppo, considerando. È narrativa d’immaginazione, e su questo non si discute – ma nel momento in cui basa le sue ipotesi sulla storia, a me piace che ne tenga conto fino in fondo. Non è che me lo aspetti, ne senta la necessità o nulla del genre: è che mi piace. Ci trovo molto più gusto. Col che non voglio dire che il mio sia un atteggiamento più sensato o più ragionevole di altri – però è il mio. È quel che cerco nell’aprire un fantasy storico. Mi piace che la mia storia immaginaria funzioni come storia vera che non è mai accaduta.

E voi? Leggete il genere? E che cosa cercate?

anglomaniac · blog life · libri, libri e libri · lostintranslation · romanzo storico

Leggendo In Inglese

Ricevo una mail che, tra molte altre cose, dice anche questo:

Sul fatto che tu legga solo libri inglesi e americani, non dico niente. Sono fatti tuoi e ciascuno legge quel che gli/le pare e poi ne scrive sul suo blog. Quel che mi domando è perché tenere un blog in italiano e poi recensire libri che in italiano non sono stati tradotti. […] Tutti i tuoi lettori sanno l’inglese abbastanza bene per leggere le cose che recensisci? Io ti leggo da un po’ meno di due anni, e noto che ultimamente ti sei messa a recensire cose non tradotte. In tutta sincerità, quando trovo un post così, mi fai venir voglia di leggere e poi alla fine scopro che non posso. Ci resto male, non è divertente, e sinceramente ti fa anche sembrare un po’ snob. Possibile che non trovi niente di tradotto, che possiamo leggere anche noi?

Ah già, le recensioni di libri non tradotti…

Ok, parliamone. Ho raccontato qui*, come e perché una ventina d’anni fa io abbia cominciato a leggere in Inglese e sia rimasta folgorata dall’esperienza. La versione breve della storia è che negli ultimi due decenni ho letto tutto quello che potevo in lingua originale – in Inglese, ma anche in Francese e, in anni più recenti, in Spagnolo. Sul Tedesco sto ancora lavorando, ma nutro speranze.

All’inizio è stata una faccenda di pura esuberanza, entusiasmo da scoperta. Ho riletto in originale libri che avevo già letto in Italiano, per il gusto del diverso colore della lingua, e per la quantità di parole, modi idiomatici, costruzioni e colloquialismi che si potevano assorbire. Il che può essere parzialmente responsabile delle sfumature dickensian-austenesche del mio Inglese, ma questa è un’altra storia.

Dunque, per un po’ di anni ho letto anche in Inglese, anche perché non è che fosse facilissimo procurarsi edizioni in lingua originale. A Pavia sì, ovviamente. A Cardiff e a Londra il problema non si poneva. Una volta tornata a Mantova… oh well, stendiamo un tulle misericorde.

Ma nel frattempo avevo scoperto internet e Amazon, e le possibilità si erano allargate enormemente – e anche di questo abbiamo già parlato.

Poi ho scoperto un’altra cosa. E cioè che, se volevo leggere nel mio genere, in Italia non c’era gran trippa per gatti. E non sto parlando di nulla di spaventosamente esoterico: romanzi storici.

Alas, non c’è paragone tra la scelta di romanzi storici italiani e romanzi storici inglesi e americani, in fatto di abbondanza, di varietà di periodi storici e ambientazioni e anche di qualità generale. Di tutto questo bendidio in Italia si traduce poco – qualche romanzo storico propriamente detto, un po’ di saggistica, pochissimi gialli storici – e quel poco non sono particolarmente ansiosa di leggerlo in traduzione, ma non è questo il punto. Il punto è tutto il resto che non si traduce affatto: treni merci di straight historicals, gialli ambientati nei secoli più improbabili, saggistica meravigliosa e fantasy storici.

Quindi, o Corrispondente, non leggo in Inglese perché sia snob, ma perché molto di quel che mi piace leggere si trova in Inglese o non si trova affatto e, se anche volessi leggerlo in traduzione, non potrei. Quanto alle recensioni…

Lo confesso: ho esitato prima di cominciare a dedicare post interi alla recensione di titoli non tradotti – e finora credo di averlo fatto non più di un paio di volte. Interesserà a qualcuno se lo faccio? Si sentirà maltrattato chi non legge in Inglese? A decidermi è stata la lettura di una certa quantità di ottimi fantasy storici e fantasy of manners, generi trascuratissimi alle nostre latitudini e, a mio timido avviso, meritevoli di scoperta. Perché sono diversi, perché tendono ad essere originali, intelligenti e ben scritti. Perché mostrano alcune affascinanti direzioni che può prendere la narrativa a sfondo storico se non vuole anchilosarsi.

E allora sì: credo che continuerò a recensire libri non tradotti – titoli recenti e classici da riscoprire, e bizzarrie vecchie e nuove, perché… be’, perché c’è un mondo là fuori. E perché leggere resta il mio modo preferito di imparare ed esercitare una lingua. E perché penso che valga la pena di sapere che ci sono altre possibilità.

Ecco, alla fin fine è questo il punto: credo davvero che ne valga la pena.

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* E a dire il vero un pochino anche qui

 

bizzarrie letterarie · libri, libri e libri

Sorcery & Cecelia – Il Gioco Delle Lettere

caroline stevermer, patricia wrede, sorcery & cecelia, fantasy storico, reggenza, jane austen, georgette heyerSorcery & Cecelia, The Enchanted Chocolate Pot, di Caroline Stevermer e Patricia Wrede, è un libro delizioso.

Sorcery & Cecelia è un fantasy storico ambientato in un’Inghilterra Reggenza in cui la magia è un dato di fatto, e i maghi notevoli fanno parte del Royal College of Wizards e/o dello stato maggiore del Duca di Wellington.

Sorcery & Cecelia, se a questo punto siete tentati di chiedervelo, precede di sedici anni il notevolissimo Jonathan Strange & Mr. Norrel, di Susanna Clarke – che in qualche modo gli somiglia, ma nemmeno troppo.

Sorcery & Cecelia è deliziosamente austenesco e heyeresco, avendo per protagoniste due giovani cugine della upper middleclass, una a Londra per la sua season, l’altra in campagna a scoprirsi un inatteso talento magico. E ciascuna delle due si ritrova alle prese con un diverso giovanotto tanto fascinoso quanto esasperante, ma anche con gente molto malvagia e molto potente. Per non parlare del bricco da cioccolata. Che è magico per sbaglio. E azzurro. Molto azzurro.

Sorcery & Cecelia è un romanzo epistolare, scritto in via epistolare.

Sorcery & Cecelia è stato scritto per gioco, e la nota conclusiva delle due autrici non è meno deliziosa del libro.

Insomma, a quanto pare, Caroline Stevermer aveva imparato il Gioco delle Lettere da Ellen Kushner, e ci aveva sporadicamente giocato per anni, fino a quando le capitò di parlarne ad un gruppetto di scrittori. Il Gioco delle Lettere, non sarete troppo sorpresi di scoprirlo, consiste nello scambiarsi lettere in character – non necessariamente raccontando una storia. Si finge di essere due personaggi e ci si scrive e risponde senza mai uscire da dietro la maschera. Caroline Stevermer avanza l’ipotesi che si tratti di uno strumento di studio del personaggio nato ad uso degli attori teatrali. Converrete che ha anche tutta l’aria di un magnifico gioco per scrittori*, e in effetti i commensali di Caroline, quelli cui le capitò di parlarne, rimasero affascinati. La più affascinata di tutti era Patricia Wrede, che subissò Caroline di domande in proposito e poi le diede il tormento finché non riuscì a convincerla a giocare. Allora Patricia rimuginò sulla faccenda e, poiché entrambe amavano il fantasy storico e la Reggenza, creò Cecelia, Kate e la loro Inghilterra immaginaria ma non troppo. E Caroline rispose, e poi entrambe ci presero gusto oltre ogni dire e, trattandosi di due romanziere, in men che non si dica, si ritrovarono tra le mani un romanzo.

Un romanzo pubblicabile. Un romanzo delizioso. Un romanzo che uscì per la prima volta nel 1988, rimase pressoché introvabile fino al 2003, fu ristampato, proseguì per altri due volumi, e finalmente ora arriva in edizione Kindle.

Traduzioni italiane? Manco a parlarne, si capisce, ma vale la pena di leggere l’originale, con le sue due voci ben distinte e perfettamente accostate, con la sua commistione di balli da Almack’s e stregoneria riprovevole, sedute dalla sarta e omicidi magici, eterodosse proposte di matrimonio e sacchetti di erbe magiche per scacciare i malefici… Una volta di più, nessuno sta cercando di conquistare il mondo, e la magia è una faccenda perfettamente mondana, un’arte che s’impara, si usa e si abusa, un mezzo ragionevolmente utile sui campi di battaglia e pericoloso nelle mani delle femmes fatales senza scrupoli.

Un altro fantasy fuori da quelli che da queste parti si cerca di far passare per confini – con un attraentissimo gioco in regalo, for good measure.

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* Mi viene in mente, scritto alla stessa maniera, Freedom And Necessity, di Emma Bull e Steven Brust.