lostintranslation · Shakespeare · teatro · Traduzioni

Piccolo Bollettino Compiaciuto

Gioite con me: ho finito di tradurre in Inglese L’Uomo dei Sonetti!

Sì, be’ – non i Sonetti in senso stretto, quite obviously – ma la storia che ho intrecciato attorno ai sonetti, il dialogo incidentale, quel genere di cose. Continua a leggere “Piccolo Bollettino Compiaciuto”

elizabethana · Storia&storie · teatro

L’Uomo del Globe

Globe WanamakerSam Wanamaker era un attore americano trentenne quando nel 1949 sbarcò a Londra e, per primissima cosa, chiese al tassista di portarlo “nel posto di Shakespeare.”

“Io a Stratford-upon-Avon non ce la porto,” gli rispose il cabbie, e Sam, convinto di avere trovato il tassista più tetragono delle isole britanniche, fece un sorrisetto e spiegò che intendeva il posto di Shakespeare a Londra.

“Shakespeare, ha presente? Il poeta e drammaturgo.”

Il cabbie alzò le spalle. Chi diamine si credeva di essere, questo transatlantico del cavolo? ” E io che ho detto? William Shakespeare, essere o non essere. Stratford-upon-Avon.”

Sam cominciava a sentire un vago sconforto, ma si fece portare a Bankside, giusto sull’altra riva del Tamigi, dove, secondo lui, dovevano esserci quanto meno le rovine del Globe Theatre…

Il tassista fece quel che gli si chiedeva: chi era lui per rifiutare denaro dagli Americani squadrellati? Era il Quarantanove, e l’Inghilterra faticava assai a riprendersi dopo la guerra… se il piccolo coloniale voleva pagare per essere portato a vedere un bel niente, erano fatti suoi, giusto?

E così Sam arrivò a Bankside e scoprì, sconcertatissimo, che il cabbie aveva ragione: non c’era… niente. Oddìo, c’era una placca commemorativa sulla parete di una birreria: In questo luogo sorgeva… eccetera eccetera. E basta. Nient’altro. Della culla del teatro inglese non restava nulla.

Sam, pieno di sacro fuoco artistico, non capiva come ciò potesse essere – ma vedeva un soluzione: perché non ricostruire un Globe al posto giusto? E in uno di quei momenti che cambiano la vita, sposò quello che sarebbe diventato il suo Sogno con la S maiuscola: un nuovo Globe. Globe_Theatre_mid

Ma il nostro transbardolatra non aveva fatto i conti con due problemi: da un lato, l’Inghilterra era, come dicevamo, stremata dalla guerra, e dall’altro… Be’, immaginatevi il mondo accademico inglese davanti a un attore americano ansioso di prendere in mano delicate questioni shakespeariane, e ricostruire un teatro elisabettiano distrutto da secoli, e portarci dentro pubblico e turisti… Heavens above – giammai! E il povero Sam se ne tornò in America sospinto dal fragore delle loro esclamazioni inorridite.

Ma non per questo rinunciò. Anzi, fece qualcosa di geniale: cercò alleati tra le file nemiche, per così dire, cominciando a corrispondere con singoli accademici su entrambe le sponde dell’Atlantico, raccogliendo le più accreditate opinioni su come dovesse/potesse essere stato un teatro elisabettiano… Come dovesse/potesse essere stato il Globe. Perché il fatto era, vedete, che allora come adesso nessuno lo sa con certezza. Abbiamo qualche descrizione, una certa quantità di evidenza archeologica da altri posti, lo schizzo di un turista svizzero, e un contratto per la costruzione di un altro teatro che riporta con dettagliata precisione alcuni particolari da copiarsi dal Globe – ed è tutto. E considerate che ai tempi di Sam “tutto” era considerevolmente meno del “tutto” che sappiamo noi. Ma ciò non impediva agli studiosi di intrecciare teorie su teorie, e ogni sorta di ragionevoli ipotesi…

Sam era un visionario e un uomo perseverante. A dispetto di un sacco di oppositori che temevano una specie di Disneyland pseudoelisabettiana nel cuore di Londra, e con qualche appoggio dalla famiglia reale, nel 1970 fondò lo Shakespeare Globe Trust, e cominciò a raccogliere fondi in tutto il mondo. Perché il fatto è che l’interesse per il progetto era enorme, e si cominciava a vedere che l’Americano faceva le cose molto, ma molto seriamente.

globe-todayNon che i problemi fossero finiti: non era possibile costruire là dove erano sorti i due successivi Globes originali (costruiti rispettivamente nel 1599 e nel 1614), e il progetto che andava emergendo era spaventosamente incompatibile con le moderne norme antincendio… Sam e i suoi scesero a ragionevoli compromessi: si spostarono nel punto utile più vicino, incorporarono modifiche antincendio, fecero qualche concessione all’idea generale di come dovesse apparire un teatro elisabettiano… E in premio ebbero un colpo di fortuna: nei tardi anni Ottanta gli archeologi trovarono, a poca distanza, le fondamenta di quello che era stato il teatro rivale: il Rose di Philip Henslowe… Henslowe aveva detestato con qualche energia i Burbage, forza motrice del Globe, e teatri e rispettive compagnie si erano fatti guerra per anni: decidete voi se sia una beffa o una poetica riconciliazione il modo in cui il ritrovamento del Rose servì a consolidare e definire il progetto del Globe risorto, i cui lavori di costruzione cominciarono nel 1991.

E alla fine la perseveranza, l’entusiasmo e l’intelligenza di Sam Wanamaker vinsero la partita – anche se lui non visse abbastanza a lungo per vederlo: quattro anni dopo la sua morte, lo Shakespeare’s Globe Theatre ha aperto i battenti nel 1997, ed è una meraviglia – a vedersi e per le meravigliose stagioni teatrali e musicali che vi si tengono. Per l’opera educativa che vi si svolge. Per la sensazione di viaggio nel tempo che offre…GlobeWan

Dopodiché non è come se ci si fosse fermati: da qualche anno il Globe è affiancato da un altro piccolo teatro al chiuso: la ricostruzione – ipotetica ma molto ragionevole – di un teatro giacobita indoor. Ed è solo giusto – non trovate? – che quest’altra meraviglia, dove si recita rigorosamente a lume di candela, porti il nome del sognatore che ha dato inizio a tutta l’avventura: the Sam Wanamaker Playhouse.

 

Shakespeare · Storia&storie · teatro

Il ritorno dei Sonetti

Eugé, o Lettori! Dopo quasi sei anni di attesa, i Sonetti tornano in scena.  Tornano nella forma di una delle letture di Racconti d’Estate, nel bellissimo cortile di Palazzo d’Arco, con un meraviglioso cast costituito da Diego Fusari, Francesca Campogalliani, Luca Genovesi, Rossella Avanzi e Davide Cantarelli. Tornano incorniciati tra le due più incantevoli fantasie shakespeariane – Ariel e Puck…

E non ho bisogno di dirvi, credo, quanto sono affezionata a questo testo -per tutti i motivi ovvi, e per il delizioso gioco che è stato scriverli…

Perché non c’è niente da fare: in realtà non sappiamo se i Sonetti raccontino una storia, se ci sia alcunché di autobiografico, se l’ordine in cui li conosciamo abbia nulla a che fare con quello in cui sono stati scritti… non sappiamo quasi nulla. Però la tentazione di prenderli come sono e vederci in trasparenza una storia è di quelle cui non si resiste.

Mettete loro in bocca le parole appassionate, acidognole, sublimi e petulanti dei Sonetti, illuminateli con la luce di taglio di una delle tante teorie in proposito, e il Sonettista, il Bel Giovane, la Bruna Signora e il Poeta rivale prendono vita – e non vogliono più saperne di essere soltanto una cifra senza volto.

In un certo senso, mi sono limitata a dar loro retta.

E magari l’Io Narrante dei Sonetti non è affatto Will Shakespeare da Stratford – però è molto più divertente fare finta che lo sia, non credete?

 

il Palcoscenico di Carta · Shakespeare · Storia&storie

Il Palcoscenico di Carta: Coriolano

Rieccoci! Dopo essere stati costretti a cancellare Molière lo scorso settembre, torniamo alla ribalta con un titolo dello Shakespeare meno noto: Coriolano.
PdCCoriolanoLocSmall
Attraverso l’ascesa e caduta di un generale abrasivo e provvisto di scarsa pazienza nei confronti della democrazia, l’ultima delle Tragedie Romane esplora temi ancora sorprendente attuali: l’austerità in tempo di crisi, il peso della guerra, i compromessi della politica, la disconnessione tra governanti e governati… il tutto condito con un’abbondanza di battaglie, duelli, intrighi, tradimenti e mamme ingombranti.
Le date sono il 4, 11 e 18 aprile alle ore 18.00, e il luogo è, come di consueto, la nostra beneamata libreria IBS+Libraccio, an n. 50 di Via Verdi.
Se volete leggere con noi, fatevi sentire compilando il form che trovate qui.Vi assegneremo un ruolo e spediremo il testo.
Se invece volete soltanto assistere, tutto quel che dovete fare è unirvi a noi in libreria, a partire da giovedì 4 aprile alle 18.
Vi aspettiamo!
anglomaniac · elizabethana · Poesia

Emilia

EmiliaLa miniatura che vedete qui accanto si trova al Victoria & Albert Museum, è opera di Nicholas Hilliard e potrebbe essere l’unico ritratto esistente di Emilia Bassano – forse la Signora Bruna dei Sonetti.

Personaggio interessante di per sé, Emilia – also spelled Aemilia, Emelia… il selvaggio spelling elisabettiano, you know. Ad ogni modo, figlia di musici di corte, talentuosa musicista a sua volta, intelligente, bella, brillante, educata da una contessa, amante di Lord Hunsdon – che era cugino (o forse fratello) illegittimo della Regina, sposata in fretta e furia, quando rimase incinta, a un cugino bellissimo e lestofante, divorziata, direttrice scolastica (o l’equivalente elisabettiano) poetessa… in fact, la prima poetessa professionalmente pubblicata d’Inghilterra – con una rinarrazione in versi del Vangelo dal punto di vista delle donne…

Insomma, una signora notevolissima, coraggiosa e rivoluzionaria – una “prima” sotto tanti aspetti. Non so voi, ma io la vedo bene nei panni della spregiudicata seduttrice dagli occhi neri di Shakespeare, la donna che induce il non-ancora-Bardo a coniare un canone nuovo di bellezza, che ammalia piccoli aristocratici biondi e poeti di genio con un batter di ciglia…

Oh, queste cose mi mettono una feroce nostalgia de L’Uomo dei Sonetti… chissà se riuscirò mai a farne quel che intendo – ovvero portare in scena la versione completa…!

E per tutto questo, e perché sono in un periodo frizzantemente elisabettiano, e perché mi piace la voce di Tom Hiddlestone…  Che ne dite del celeberrimo, inconsueto, acidognolo Sonetto 130?

Gli occhi della mia donna nulla hanno del sole.
Il corallo è ben più rosso del rosso delle sue labbra.
Se la neve è bianca – il suo seno è certo bruno.
Se son setole i capelli, nere setole avrebbe in capo.
Ho visto rose screziate, rosse e bianche
Ma non vedo tali rose sulle sue gote.
E in certi olezzi vi è maggior delizia
Che non nell’alito che la mia bella emana!!
Io amo la sua voce eppure ben conosco
Che la musica ha un suono molto più gradito.
Ammetto che mai vidi l’inceder d’una dea:
La mia donna nel camminar calpesta il suolo.
Eppure, per il cielo, per me è tanto più bella
Di ogni altra donna falsamente decantata.

Ci voleva, ammettiamolo, una certa audacia a dedicare un sonetto così a una donna – e tanto più in una società in cui la bellezza era per radicata convenzione bionda&bianca… Ma d’altra parte, Emilia era una donna non comune – e c’è da scommettere che possedeva tutta l’intelligenza e lo spirito che servivano ad apprezzare per davvero un tributo così unico, don’t you think?

grillopensante · Poesia

Poesia, Ad Alta Voce, Nel Buio

by the fireIn realtà questa è una vecchia piccola storia, ma mi è tornata in mente per vari motivi più intricati che interessanti – e ve ne metto a parte.

Due anni fa, con Hic Sunt Histriones, eravamo in piene prove per il debutto di Shakespeare in Words. E proprio la sera del 25 luglio, a prove finite ci ritrovammo riluttanti a disperderci. Era una sera caldissima – e, for once and for a wonder, le prove erano andate davvero bene… insomma, per farla breve, invece di andarcene a casa, ci sedemmo in cerchio, più o meno al buio, nel giardino della palazzina liberty che ospita la nostra sala prove, e cominciammo a ripeterci l’un l’altro la combinazione dei Sonetti 55 e 81 che conclude il play.

Uno dopo l’altro, a turno, ripetevamo i versi ancora e ancora, cercando (su richiesta di G. la Regista) di farlo nel modo più diverso possibile da chi ci aveva preceduto. E così, ancora e ancora…

Né marmo né aurei monumenti principeschi
Sopravvivranno a questi versi possenti;
Voi splenderete di più luce in queste parole
che nella pietra consunta e polverosa.
Quando la guerra famelica travolgerà le statue
E i tumulti raderanno al suolo le sculture,
Non si estinguerà la vostra memoria eterna.
Contro la morte ed ogni forza ostile dell’oblio
Il vostro monumento sarà nei miei versi
Che occhi non ancor nati leggeranno;
E lingue future ripeteranno la vostra esistenza
Quando sarà spento ogni respiro di questo mondo.
Voi vivrete sempre – tal virtù ha la mia penna –
Sulle labbra di ogni uomo, dove aliti la vita.

candle_light1Ed erano i giorni in cui notizie terribili giungevano quotidianamente, come le distruzioni a Palmira, e gli archeologi trucidati… In un tempo in cui davvero la guerra famelica travolgeva le statue e i tumulti radevano al suolo le sculture, il fatto di sedere insieme al buio e recitare questi particolari versi aveva una sua singolare bellezza.

Era un po’ come accendere una fiammella e tenerla viva per quegli occhi non ancor nati e quelle lingue future… Lo sentivamo bello – e lo sentivamo importante.

E sono passati gli anni, ma quel piccolo momento è rimasto inciso nella mia memoria come un’illustrazione del perché faccio quel che faccio – e del perché si continua a farlo anche nei momenti bui.

elizabethana · teatro

Mettendo in Scena Marlowe – Atto III

Kit or soVi avevo detto che di plays su Marlowe ce ne sono tanti? Be’, era proprio vero. D’altra parte va detto che è un personaggio perfetto: poeta, tragediografo, ateo, spia, irrequieto sotto tutti gli aspetti con un talento per mettersi nei guai… Quindi non c’è da sorprendersi poi troppo se questa faccenda sta diventando una storia in molti atti.

Soprattutto se consideriamo come ai plays che hanno Kit per protagonista, vadano aggiunti quelli in cui il nostro giovanotto ricopre un ruolo più o meno secondario, di solito a lato di Shakespeare.

321C’è persino un’opera lirica in proposito: William, musicata dallo svedese Tommy B. Andersson su libretto del parimente svedese Hakan Lindquist nel una dozzina d’anni orsono… Ora, il libretto non l’ho letto, ma da sinossi e interviste mi par di capire che la storia consista nel piazzare uno Shakespeare innamorato in tutti gli snodi della vita di Marlowe. I due si avvicinano gradualmente, il più cinico e fiammeggiante Marlowe comincia a ricambiare, i due cominciano a meditare di unione delle anime, dei corpi e delle penne – ma, prima che ciò possa accadere in pieno, arrivano Deptford e la coltellata fatale.Channel190

Un rapporto diametralmente opposto – ma a suo modo non meno stretto – si trova in The English Channel, di Robert Brustein, il cui Will Shakespeare non ha una personalità terribilmente definita. È una sorta di spugna che assorbe (e annota) tutto quello che sente. È una manciata di cera morbida, pronta a modellarsi su qualsiasi forma  lo colpisca. È un ladro, dice Kit Marlowe. Un ladro di parole, di espressioni, di sentimenti – e occasionalmente di versi. E lo dice con qualche acidità – ma d’altra parte questo Kit non potrebbe mai essere così neutro e flessibile: un radicale fiammeggiante, è sempre lui a parlare in tutti i suoi personaggi. Marlowe foggia l’umanità a sua immagine e somiglianza, mentre Shakespeare foggia sé stesso in forma di varia e molteplice umanità. E quando Marlowe muore, il suo fantasma inappagato chiede a Will di essere la sua voce, il canale attraverso cui prendono vita le idee che la pugnalata fatale a Deptford ha, so to say, soffocato in culla. E Shakespeare accetta, e tutto diventa una faccenda di rapporto tra artista, ispirazione/i e opere…

Sil2Simili e diverse al tempo stesso sono le cose in Shakespeare in Love – e non sto parlando del film, ma della versione teatrale, in cui il ruolo di Kit è più ampio e più fondamentale. Qui Kit è l’amico e il confidente di Will, il cyrano ironico che gli suggerisce parte del sonetto 18 sotto il balcone di Viola, è il punto fermo la cui perdita fa maturare il ragazzo – e alla fine è il fantasma che rimette tutto in prospettiva. E la prospettiva, a differenza del film, non è quella della storia d’amore, ma quella del teatro. Diverso è il rapporto tra i due poeti, ma simile è la funzione di Kit: chiave di volta, ispiratore (più o meno diretto), pietra di paragone, passatore di testimone…

Insomma, può darsi che io sia di parte – ma si direbbe che non sia la sola: anche quando non è protagonista, Marlowe non rimane precisamente nell’angolo, vi pare? Alla fin fine è sempre la morte di Kit a fare di Will l’autore che è: senza Kit non ci sarebbe William Shakespeare – nel bene e/o nel male.

bizzarrie letterarie · elizabethana

Riveduto E Corretto

RestorationTheatre06E dicevamo che, in Compleat Female Stage Beauty, quel che il re vuole non è una storia diversa – ma proprio l’Otello, finale sanguinoso e tutto, con sorprese. Il che è carino e serve bene per quello che Hatcher vuole dire, ma non rispecchia del tutto la mentalità Restoration in fatto di teatro, e di teatro elisabettiano in particolare. Perché in realtà…

Insomma, mettetevi nei panni degli Inglesi post-Restaurazione. Immaginate i teatri che riaprono nel 1660, dopo diciotto anni di guerre civili prima e cupaggine cromwelliana poi. Immaginate di essere assetati di divertimento, di musica, di gaiezza in generale.

E immaginate di ritovarvi per le mani le opere di Shakespeare. Età dell’oro elisabettiana fin che si vuole, ma che diamine: sono passati sessanta, settant’anni, e il gusto è cambiato. Shakespeare, che già cominciava a passare di moda negli ultimi anni della sua vita, a questo punto appare proprio come il relitto di un’era più cruda, più ingenua, più ferrigna…

E allora che si fa? SI rinuncia del tutto e passa oltre? Niente affatto, perché le storie sono notevoli, la poesia a tratti meravigliosa – se solo il tutto fosse un po’ meno antidiluviano in gusto e stile!  Ma a questo c’è rimedio, giusto? In fondo che ci vuole? Basta riscrivere.

Nahum TateE lasciate dunque che vi presenti Nahum Tate, irlandese e futuro Poet Laureate d’Inghilterra. Nel 1681, giovane e già celebre, scopre il Re Lear, e rimane semifolgorato – e la parte operativa è proprio quel “semi”.

Perché, vedete, Tate si accorge subito di essere inciampato in un mucchietto di gemme. Certo sono grezze, queste gemme, e buttate lì a qualche modo – ma così splendenti nel loro disordine che Tate sente l’impellente necessità di rimetterci mano e rimediare ai molti difetti della tragedia. E così ne riscrive una buona quantità, e cassa cosette del tutto secondarie come la parte del Buffone, ma soprattutto riscrive il finale.

Re Lear, lo sapete, è la storia di questo re vegliardo che caccia di casa l’unica figlia che lo ami veramente, ed è prontamente detronizzato dalle altre due figlie malvagie. Seguono guerra civile, accecamenti in scena, lotte fratricide, follia vera e presunta, tradimenti e controtradimenti, crisi di coscienza – e alla fine muoiono tutti. Ebbene, non ci crederete, ma a tutto ciò Nahum Tate riesce ad appiccicare un lieto fine in cui i malvagi seguitano a morire, ma Lear recupera il suo trono e richiama a corte in trionfo la dolce Cordelia, che così può sposare non il re di Francia cui era fidanzata, ma il giovane Inglese di cui è innamorata.

Er… sì.

Ma d’altra parte, tal dei tempi era il costume, e non è che Tate facesse alcunché di inaudito, scandaloso o inusitato… Non solo il tardo Seicento, il Settecento e l’Ottocento traboccano di riscritture creative (per dire, il Macbeth danzante e canterino di William Davenant…), ma la prassi non era nemmeno limitata al teatro, e sconfinava in campo filologico – vedasi Alexander Pope, che nel 1725, nella sua edizione in sei volumi delle opere complete di Shakespeare, non si fa il minimo scrupolo a riscrivere, potare le irregolarità metriche come se si trattasse di un giardino alla francese, cassare un migliaio e mezzo di versi che gli paiono brutti…

Ma non divaghiamo, e torniamo al Re Lear, che la storia è tormentata.

Prima di tutto, bisogna che sappiate che la versione per ottimisti di Tate ha molto successo – tanto da soppiantare quasi completamente l’originale. Quando nel 1755 David Garrick e Spranger Barry si sfidano a colpi di Lear dai rispettivi teatri, in una rivalità tanto accesa e tanto sentita da provocare tumulti nelle strade, non recitavano Shakespeare, ma Nahum Tate.

Barry_002Il che magari rende un po’ strano in quadro di James Barry* che nel 1788 ritrae il finale tragico, ma si sposa perfettamente con la storia di William Henry Ireland che, nel 1794, tra i suoi falsi shakespeariani include un manoscritto “originale” del Re Lear. E anche William Henry non si limita a trascrivere da qualche edizione discesa dal First Folio, ma ci mette del suo – o quanto meno toglie. Toglie tutto lo humour di grana grossa, raffina e purga il Bardo, anticipando i fratelli Bowdler… E la faccenda funziona, perché siamo in piena Bardolatria, e l’Inghilterra Georgiana è ansiosissima di credere al ritrovamento, di scoprire con sollievo che il Cigno di Stratford era più fine e spirituale dei suoi ribaldi curatori postumi.

Allo stesso modo, quando il ferocissimo avvocato e studioso shakespeariano Edmund Malone convince il parroco di Stratford a passare una mano di bianco sull’orrido busto funerario – dipinto a vivaci colori perché tale era il costume nel 1616 – ebbene, quella mano di bianco è il simbolo perfetto dell’atteggiamento dell’epoca: Shakespeare si venera, ma si venera molto meglio riveduto, corretto, intonacato e neoclassico.

E se poi può scapparci il lieto fine, tanto meglio. Erano in tanti a pensarla come il Dottor Johnson, che avendo visto una volta in gioventù il finale tragico, ne era rimasto insopportabilmente sconvolto, e considerava di gran lunga preferibile la versione per ottimisti…

E anche se già Garrick comincia a ripristinare pezzi dell’originale shakespeariano, resinserendo per esempio il Buffone,** bisogna aspettare il 1823 perché Edmund Kean provi a riportare in scena il finale tragico – e comunque non è come se andasse straordinariamente bene. Kean incassa un passabile successo personale nel ruolo, ma nulla di più. Alla fin fine sarà William Charles Macready a spuntarla, ma anche lui – pur con la sua ossessione per il rigore filologico – dovrà provarci due volte, prima nel 1834 e poi, definitivamente, nel 1838.

E quindi, sì: c’è sempre qualcuno convinto di poter fare di meglio – e in definitiva, Shakespeare per primo era un riscrittore sopraffino. Dubito che, considerando le disinvolte pratiche dell’età elisabettiana, si sarebbe stupito o indignato più di tanto sulla sorte del suo Re Lear. Tutto sommato, è perfettamente inutile stupirsi dei ritocchi di Nahum Tate. Semmai, se vogliamo proprio levare un sopracciglio, leviamolo sui 157 anni che l’originale ha impiegato per riprendersi il suo posto – a riprova del fatto che non solo c’è sempre qualcuno convinto di poter fare di meglio, ma è anche del tutto possibile che quel qualcuno trovi ragione presso un sacco di gente, per un sacco di tempo.

___________________________________

* Magari non sono proprio quei dubbi da dormirci, ma mi sono sempre chiesta: in basso a sinistra, saranno Gloucester ed Edgar con il cadavere di Edmund?

** E prima di commuovervi sulla fedeltà di Garrick al suo Bardo, ricordatevi che Garrick aveva riscritto l’Amleto “per salvare il testo da tutte le assurdità del V atto.”

 

Londra · Shakespeare · teatro

Il Globe, Dicevamo…

globe-todayOh sì – Londra.

Avevo promesso di raccontarvi di Londra, nevvero? Del Globe in particolare…

Ah, il Globe!

Al Globe c’ero già stata. L’avevo visitato un paio di volte, il che è una gran bella esperienza di per sé – ma, per un motivo o per l’altro, non c’ero mai stata per vedere uno spettacolo. Be’, uno dei motivi è il clima: bisogna andarci nella stagione giusta, e nella giusta parte della stagione giusta, perché – com’è fin troppo chiaro – non possiedo la robusta costituzione degli spettatori elisabettiani, che potevano starsene fermi all’aperto per le tre ore dello spettacolo senza pregiudizio. Un altro motivo è che non è carino trascinare compagni di viaggio non angloparlanti a sorbirsi tre ore di Shakespeare in originale, né abbandonarli al proprio destino per le tre ore in questione…

Ma insomma, questa volta la stagione era ragionevolmente giusta ed ero in compagnia della genitrice da cui ho ereditato la mia passione per la letteratura inglese, per cui Globe è stato – e in particolare Much Ado About Nothing. Molto Rumor per Nulla, forse la commedia prediletta di entrambe.

Globe+Full+ColourMa cominciamo con il Globe stesso, e una certa qualità da viaggio nel tempo di tutta la faccenda. Si comincia camminando verso il teatro per le vie affollate di Southwark nel primo pomeriggio, in una maniera che, tolte le macchine fotografiche al collo del turisti giapponesi, non può essere troppo diversa da come andavano le cose quattro secoli orsono… È per questo che, alla fin fine, abbiamo scelto Much Ado invece della pur ugualmente attraente alternativa – un King Lear che però, nei giorni rilevanti, andava in scena soltanto di sera.

E invece volevo uno spettacolo pomeridiano, com’erano tutti nell’epoca delle playhouses all’aperto. Così siamo arrivate a teatro, abbiamo aggirato la coda dei groundlings, gli spettatori da un penny che se ne stanno in piedi nella platea, abbiamo aggirato i venditori di nocciole (se ce ne fossero anche di salsicce, arance e birra non li ho visti…) – ma non quelli di cuscini. Ciascuna con un cuscino sotto il braccio, ci siamo arrampicate su per le scale di legno, fino alla seconda galleria, e ci siamo sistemate sulle panche, con i gomiti sulla balaustra per guardare il palco e la calca di sotto… Oh, non avete idea di quanto fosse emozionante già così.

E poi lo spettacolo.

MuchAdo2“Sarà una produzione tradizionalissimissima,” aveva detto N. nel sentire della mia spedizione… In realtà non ci si può più aspettare nulla del genere da quando la direzione artistica è stata affidata a Emma Rice, un’innovatrice se mai ce ne fu una… magari riparleremo di lei e del Globe, perché è una storia interessante – ma per ora limitiamoci a dire che, ben lungi dall’essere una produzione tradizionale, questo Much Ado diretto da Matthew Dunster era ambientato durante la rivoluzione messicana, e quasi un musical, pieno di musica, danze e canzoni.

MuchAdo7Mi domandavo, a dire il vero, come avrebbe funzionato la trasposizione messicana del quintessenzialmente elisabettiano Globe… ebbene, la mia impressione è che funzioni più o meno come avrebbe funzionato ai tempi di Shakespeare, quando per spostarsi ad Atene, in Illiria o a Venezia bastavano un fondale dipinto, un cartello e un verso in bocca a un personaggio. E quando, va detto, cambiare d’ambientazione una storia era faccenda di ordinaria amministrazione.

Facciamo che eravamo in Messico, e Don Pedro e Leonato erano due capi rivoluzionari, e il fratello malvagio era in realtà Doña Juana, la sorella malvagia… Un pezzo di glorioso make-believe, e lo ripeto: funziona. Funziona in una maniera vivace, colorata, piena di idee, mantenendo l’allegria della commedia e aggiungendoci un filo di famelica malinconia da tempo di guerra.MuchAdo6

Nemmeno del testo abbondantemente riaggiustato sono disposta a lamentarmi. Che Messina diventi Monterrey è quasi obbligatorio nelle circostanze, ma anche le vaste potature e gli aggiustamenti non mi sono parsi terribilmente scandalosi. Di nuovo: non è nulla che le compagnie elisabettiane non facessero praticamente ogni giorno, ed è probabile che quel che ci è arrivato in forma di First Folio non somigli troppo da vicino a quel che andava veramente in scena…

MuchAdoAggiungete ottimi attori (prima tra tutti la favolosa Beatrice di Beatriz Romilly), bei costumi e bella musica, e l’atmosfera specialissima del Globe – e immaginatevi una Clarina felice. Filologico? Nemmeno un po’, ma la filologia sta bene nelle aule universitarie, non sul palcoscenico. A mio timido avviso, il teatro è molto come il diritto internazionale: quel che funziona va bene ed è bello. E Questo Much Ado messicano funziona, eccome.

E io lo sospettavo già da prima, ma adesso lo so con certezza: se fosse appena possibile, passerei felicemente metà della mia vita al Globe, ecco.

 

Salva

grilloparlante · Shakespeare

Vi Dipingo il Suo Carattere

ShakespeareSannaIl carattere di chi? Di William Shakespeare, naturalmente – o almeno ci provo. O almeno almeno, provo a capire perché sia così difficile…

Perché nel Canone si trovano con una certa frequenza immagini “pittoriche”: ritratti, quadri, pittura, colori, immagini, specchi… Abbastanza da indurci a farci qualche domanda in proposito – e a notare quasi un paradosso, per l’uomo il cui ritratto – in immagini e a parole – è uno dei rebus letterari più complicati degli ultimi quattro secoli.

E, in occasione di Essere O Non Essere Shakespearela bellissima mostra di Alessandro Sanna, ne parliamo mercoledì 17 maggio alle 17.30 alla Biblioteca Teresiana:

ViDipingo

Si entra da Piazza Dante – e non occorre prenotare, ma vi consiglio di arrivare un pochino in anticipo, perché nella meravigliosa I Sala Teresiana i posti non sono tantissimi.

Vi aspetto!